Opinioni & Commenti

L’aborto e la dimensione permanente della misericordia

Si tratta di ripresentare alcuni classici concetti nell’intento di favorire un’appropriata informazione. San Tommaso d’Aquino definiva la scomunica come la separazione dalla comunione della Chiesa, dal frutto di questa comunione e dalle preghiere generali. Questa esclusione, per il Dottore Angelico, imitava il modo di procedere di Dio, il quale talora abbandona l’uomo a se stesso, affinché questi umilmente riconosca la sua colpa e faccia ritorno a Lui.

La scomunica è dunque una maniera per non far mancare ai colpevoli la medicina amara, ma efficace, della correzione. Pertanto essa è sempre stata considerata una pena «medicinale», nel senso che la privazione di alcuni beni spirituali non è fine a se stessa, bensì deve far recedere dalla cosiddetta «contumacia», cioè da quell’atteggiamento arrogante e orgoglioso di chi permane nello stato di delitto e manca di riparare al danno morale causato.

Le scomuniche, nel corso della storia, si sono distinte in ferendae sententiae e latae sententiae. Le prime sono quelle inflitte, mediante l’apposito processo, dal giudice o dal superiore; le seconde sono già previste da una legge e vi si incorre al compimento del fatto (ipso facto) ritenuto delittuoso dalla legge.

Nel diritto canonico per delitto s’intende una violazione esterna e moralmente imputabile di una legge che abbia annessa una sanzione almeno indeterminata. Vi è dunque differenza tra il peccato e il delitto. Il peccato è la violazione di qualsiasi legge morale, il delitto solo di quelle leggi che prevedono una sanzione. Da ciò ne consegue che tutti i delitti sono anche peccati, ma non tutti i peccati sono delitti. La legislazione ecclesiastica ha ritenuto di aggiungere a taluni peccati gravi anche la qualifica di delitti.

Le scomuniche possono essere rimesse, come sì è accennato, se si abbandona la contumacia, tale abbandono si fonda sul pentimento, sulla contrizione, sul dolore e la detestazione del peccato commesso, con il proposito di non più peccare. Il Beato Paolo VI diceva che «al regno di Cristo noi possiamo giungere soltanto con la metanoia, cioè con quel cambiamento intimo e radicale, per effetto del quale l’uomo comincia a pensare, a giudicare e a riordinare la sua vita, mosso dalla santità e dalla bontà di Dio, come si è manifestata ed è stata a noi data in pienezza nel Figlio suo». Il pentimento deve essere prima di tutto pentimento del cuore, per questo Papa Francesco ha rammentato il rischio di una grave malattia morale: la «cardiosclerosi» quella «durezza del cuore» che porta all’incapacità di accogliere l’amore divino. La remissione della scomuniche, salvo un ristretto numero espressamente riservato alla Sede Apostolica, è di competenza dell’Ordinario (Vescovo diocesano o Vicario generale) che può delegare ad un sacerdote tale funzione.

Il vigente Codice di diritto canonico, promulgato nel 1983 (analogamente al Codice di Diritto canonico pubblicato nel 1917) al canone 1398 stabilisce: «Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae». La censura colpisce tutti coloro che hanno cooperato all’aborto sia con la complicità fisica, cioè con una partecipazione diretta, sia con la complicità morale attraverso il consiglio o l’istigazione. La remissione di questa scomunica era di pertinenza degli Ordinari che, in diverse circostanze, avevano provveduto a delegarla ad alcuni sacerdoti. È da rilevare, altresì, che la Santa Sede da molto tempo aveva già concesso ai sacerdoti appartenenti a diversi ordini religiosi quali, ad esempio: Francescani, Domenicani, Carmelitani, Serviti, Gesuiti, Salesiani, il privilegio di assolvere dalla censura dell’aborto.

Nella «Misericordia et misera» si concede a tutti i sacerdoti, diocesani e religiosi, tale facoltà. L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, in un’intervista alla Radio Vaticana ha dichiarato: «La scomunica latae sententiae resta così com’è nel Codice di Diritto canonico. In questo senso, non c’è nessun cambiamento nella concezione della gravità del peccato, nessun attutimento: resta l’eliminazione colpevole di un innocente ed è gravissimo. Il senso del testo papale è appunto nella volontà di far comprendere che chi si pente, anche di questo gravissimo peccato, viene perdonato e abbracciato dal Signore». Questa decisione di Papa Francesco s’inquadra, dunque, nella consapevolezza, offerta a tutto il popolo di Dio, che la Misericordia va ben oltre l’Anno Santo straordinario, per divenire una dimensione permanente e continua nella vita della Chiesa.