Mercoledì 1 giugno 2011 è morto don Giovanni De Robertis parroco di Castiglion Fiorentino. Era nato a Torrita di Siena (diocesi di Pienza) il 15 dicembre del 1944 e fu consacrato sacerdote nella cattedrale di Arezzo da monsignor Telesforo Cioli il 19 marzo del 1972. Subito divenne docente presso l’istituto di scienze religiose di Arezzo e nel 1973 cappellano di Anghiari, incarico che ricoprirà fino al 1990. Nel 1988 divenne parroco anche di Catigliano di Anghiari. Nel settembre del 1990 divenne parroco di San Giuliano a Castiglion Fiorentino e delegato vescovile per il santuario della Madonna del Carmine di Foiano. Nel marzo del 2011 era diventato assistente ecclesiastico dell’Azione cattolica adulti. Era da sempre uno dei più affezionati sostenitori di Toscana Oggi. Il settimanale diocesano gli rende omaggio pubblicando una delle sue ultime omelie, pronunciata nel febbraio di quest’anno durante la novena per la Madonna del Conforto, nel duomo di Arezzo.“Siamo stati convocati da diverse parti per ascoltare la Parola e per spezzare il pane del corpo di cristo, fonte e culmine della nostra fede. Ascoltare. Ci dice il Concilio che il nostro deve essere un «Ascolto religioso». «Ascolto religioso» vuol dire atto di fede. Ascoltare Dio che ci parla. Il discepolo ha orecchie e gambe: orecchie per ascoltare Gesù e per adagiarsi sulle sue parole e le gambe per seguirlo. Ed entriamo nel testo del Vangelo, lentamente, come fa chi gusta bene qualcosa. Era la Pasqua, dice il testo di Luca, e Maria e Giuseppe portano il figlio a Gerusalemme. Maria da quel momento si pone alla sequela di Gesù, si fa attenta e pensosa come la Madonna del presepio. Nel Vangelo di Luca c’è quest’ultima parola di Maria: «Figlio perché ci hai fatto questo?» e subito dopo la prima parola del figlio: «Non sapevate che io devo curarmi delle cose del padre mio?». Così si mette ad ascoltarlo diventando la prima discepola di Gesù. Discepolo vuol dire «andare a scuola». «Maria archetipo della Chiesa. Modello da contemplare e da cui imparare» ci ha scritto nella lettera pastorale il vescovo qualche mese fa. Devozione alla Madonna significa quindi contemplare e imparare da Maria di Nazareth. Questa Santa Chiesa, che siamo noi, è madre e maestra se è discepola. Il discepolo ascolta, i suoi primi due atteggiamenti sono ascoltare e ricercare. L’importante è porre il cuore e le mani nelle cose di Dio. Maria si interroga, criticamente. Nel Vangelo di Luca, fateci caso, la prima e l’ultima frase messa in bocca a Maria sono due domande. All’angelo aveva chiesto: «Come è possibile?» e al figlio nel Tempio: «Perché ci fai questo?». Sono le domande di tutti, che il più delle volte non hanno una risposta immediata. E qui interviene la nostra fede. Maria ha quindi fatto l’esperienza dell’oscurità della fede. E così la nostra Chiesa che ha ascoltato e che ascolta credo che debba interrogarsi di fronte alle sue fatiche apostoliche, di fronte a quello che non va. Non deve però essere un’interrogazione inquieta, ansiosa, angosciosa , ma un’interrogazione agostiniana, prima di tutto ad intra, dentro di noi. Dobbiamo interrogarci con benevolenza sulla trasmissione della fede, sulla carenza delle vocazioni. E poi interrogarsi di fronte al mondo! Non possiamo condannarlo, il mondo, poiché Gesù lo ama! In ogni uomo Dio ha elargito i «semina verbi». Si parla molto di emergenza educativa: bisogna tirare fuori i semi del verbo seppelliti nel mondo. E tutto ciò bisogna farlo con amore.“