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L’anniversario: dieci anni fa il naufragio di Lampedusa

Il 3 ottobre 2013 l'isola nel Mediterraneo fu scenario dell'ennesimo naufragio di migranti. In un solo giorno trovarono la morte 368 persone. Papa Francesco disse: "È una vergogna"

Foto Ansa-Sir

“È una vergogna, è una vergogna!”: così Papa Francesco espresse il suo «grande dolore per le ennesime vittime del grande naufragio al largo di Lampedusa», parlando a braccio durante l’udienza in Vaticano ai convegnisti per il 50° anniversario dell’enciclica «Pacem in terris». Era il 3 ottobre 2013. Morirono almeno 368 persone. Oggi sono quindi dieci anni da questa grande tragedia. E come ogni anniversario è anche un’occasione per un bilancio, per capire cosa e come è cambiato il meccanismo che ha portato a quel tragico evento.

La notte del 3 ottobre 2013 il mare era rabbioso. Due giorni prima era partito dal porto libico di Misurata un peschereccio, di circa 20 metri, stracarico di migranti. Le ipotesi parlano di circa 500 persone. Ma il numero esatto non sarà mai ricostruito. Secondo le testimonianze dei superstiti, nel tentativo di dar fuoco a delle coperte per chiedere aiuto con il natante in difficoltà, scoppiò un incendio a bordo e la barca, in poche ore, s’inabissò.

Oltre alle 368 vittime, con i 20 dispersi, si contarono 155 salvati, di cui 41 minori (uno solo accompagnato dalla famiglia). L’inabissamento finale – dopo molte ore di agonia – sarebbe avvenuto attorno alle 6.30 del mattino. I primi a portare aiuto arrivarono intorno alle 7.

Ci sono stati ritardi nei soccorsi? Forse sì, ma probabilmente dovuti al fatto che quello stesso giorno – alle 5 del mattino – già due barconi con quasi cinquecento persone erano stati soccorsi e portati a riva dalla Guardia Costiera italiana.

Un primo gruppo di cadaveri, 194, venne rinvenuto in acqua, mentre altri 108 corpi vennero recuperati quando diventò possibile accedere alla parte interna del relitto. Di questo gruppo, facevano parte 210 uomini, 83 donne e 9 bambini.

Le salme recuperate vennero trasportate in un primo momento al Molo Favaloro. Il ricordo di quella fila di sacchi di plastica è ancora straziante. Dal pontile un gruppo di ambulanze portarono poi i cadaveri in una struttura dell’aeroporto che in genere accoglie gli elicotteri della Guardia di Finanza e del 118.

Inizia così il riconoscimento delle salme: in migliaia arrivano in Sicilia, nel tentativo di avere notizie di parenti che potevano essere sopra al peschereccio affondato. Le bare – anche quelle non identificate – furono seppellite in vari cimiteri della Sicilia. Ad Agrigento fu celebrata ufficialmente una cerimonia funebre – senza bare – a fine ottobre.

Tante le reazioni istituzionali. Oltre a papa Francesco, il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano – morto proprio in questi giorni – rilasciò una nota addolorata, nella quale diceva di provare «vergogna e orrore; è necessario rivedere le leggi anti-accoglienza». Cecilia Malmström, commissario europeo per gli Affari Interni, chiese di incrementare le attività di ricerca nel Mediterraneo attraverso l’agenzia Frontex per «fare in modo che ciò che è accaduto a Lampedusa sia un campanello d’allarme per aumentare il sostegno e la solidarietà reciproca, e per evitare tragedie simili in futuro». José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio dei ministri italiano Enrico Letta andarono a Lampedusa qualche giorno dopo e vennero duramente contestati dalla popolazione.

Forse, il frutto più importante emerso da quella tragedia fu l’istituzione della missione «Mare Nostrum» per salvare i migranti che cercavano di attraversare il Mediterraneo dalle coste libiche al territorio italiano. Fu attuata dal 18 ottobre successivo alla tragedia al 31 ottobre 2014. Tanti gli interventi fatti, molte le vite salvate. Ma durò poco. E poi tutto tornò come prima.

Oggi, sono passati solo 10 anni. Però, pare, che quella tragedia non ci abbia insegnato niente. Infatti come arriva Lampedusa a questo anniversario? L’isola, letteralmente, esplode. E le persone continuano a morire.

Il Papa, proprio pochi mesi prima del tragico evento, era andato a Lampedusa come mèta del primo viaggio del pontificato. Francesco aveva scelto l’isola per parlare di quella «globalizzazione dell’indifferenza» che l’avrebbe portato poi, nel corso degli anni, a denunciare in numerose occasioni l’indifferenza verso il prossimo e a condannare la cultura dello scarto. In un’altra occasione Bergoglio aveva sottolineano anche i «violentati nei campi di detenzione», che «sfidano le onde di un mare impietoso». Secondo il papa sono solo alcuni degli ultimi «che Gesù ci chiede di amare e rialzare», donne e uomini che fuggono da guerre e povertà.

Sull’onda emotiva di quelle giornate, dopo un lungo iter parlamentare, il 15 aprile 2015 la Camera dei Deputati approvò l’istituzione del 3 ottobre come «Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione». E il Senato della Repubblica poi ratificò tale decisione il 16 marzo 2016.

Oggi dunque si celebra, di nuovo, questa giornata per ricordare quanti sono morti quella notte e delle altre migliaia di migranti rimasti vittime dei viaggi verso l’Europa. Ma come sempre gli anniversari rischiano di ammalarsi di retorica, se non diventano un momento di riflessione e di confronto.

E, soprattutto, un’occasione per non dimenticare bambini, donne e uomini, relegati troppo spesso all’oblio della nostra indifferenza.