Lettere in redazione

L’apertura di Berlusconi alle unioni gay

In molti abbiamo sorriso quando, giorni fa, l’attuale fidanzata di Berlusconi annunciò di essersi iscritta all’Arci-gay, lasciando intuire che a breve distanza l’ex Premier avrebbe fatto una apertura sulle unioni gay. Cosa realmente avvenuta. Il portavoce di «Forza Italia», Giovanni Toti, ha subito precisato che non è stata Francesca Pascale a indurre Berlusconi a questa apertura, bensì Papa Francesco con la nota frase: «Chi sono io per giudicare un gay?». A parte il fatto che la Chiesa ha sempre insegnato a non giudicare le persone, ma quando mai il Papa si è pronunciato in favore del concetto di famiglia omosessuale? Perché strumentalizzare Papa Francesco per fini politici?

Fabiano Bermudezlettera firmata

Quella per i diritti civili degli omosessuali è una battaglia che in un paese davvero moderno e democratico dovrebbe essere un impegno di tutti. Da liberale, ritengo che attraverso un confronto ampio e approfondito si possa raggiungere un traguardo ragionevole di giustizia e di civiltà». Sono parole testuali di Silvio Berlusconi, tratte da un comunicato ufficiale di poche settimane fa. Non mi meraviglia più di tanto questa improvvisa «conversione» del leader di Forza Italia, che fino ad ora si era segnalato per battute anche grevi nei confronti degli omosessuali, come quando – a proposito dello scandalo delle «olgettine» – sentenziò che era «meglio appassionarsi alle belle ragazze che essere gay». Il difensore della «moralità» e della famiglia tradizionale, da buon esperto di marketing e di «media», avrà capito che il vento è cambiato e che oggi gli frutta qualche voto in più presentarsi come difensore dei diritti degli omosessuali piuttosto che dipingersi come l’italico maschio sciupafemmine e omofobo.

Questo cambio di strategia, che non ha scosso più di tanto Forza Italia, può contribuire anche a far chiarezza, mettendo in guardia i cattolici dall’idolatrare chi – a destra come a sinistra – assolutizza un qualche valore della dottrina sociale, infischiandosene poi di tutti gli altri. Ma giustificare questo voltafaccia con il pontificato di Papa Francesco mi sembra fuori luogo. Si cita sempre – estrapolandola dal contesto – la famosa frase pronunciata da Francesco durante la conferenza stampa sull’aereo che il 29 luglio 2013 lo riportava a Roma dopo la Gmg di Rio. Al Papa fu posta una domanda precisa riguardo ad una presunta lobby gay in Vaticano.  «Dicono che ce ne siano – rispose a braccio Francesco –. Ma si deve distinguere il fatto che una persona è gay dal fatto di fare una lobby. Se è lobby, non tutte sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema è fare lobby: di questa tendenza o d’affari, lobby dei politici, lobby dei massoni, tante lobby…questo è il problema più grave».

Utilizzare quel «chi sono io per giudicarla?» per affermare che la Chiesa adesso è a favore del riconoscimento per legge delle coppie gay è una evidente forzatura. Bisogna però riconoscere che Bergoglio, che da cardinale aveva contrastato con decisione la legge argentina sui matrimoni gay, adesso che è Papa preferisce affrontare la questione con pacatezza e discernimento, fedele a quell’immagine di Chiesa come «ospedale da campo» che non condanna, ma si china sulle persone ferite per curarle con la medicina della misericordia. Nell’intervista rilasciata ad Antonio Spadaro per «Civiltà Cattolica», Papa Francesco, ricordando anche il suo dialogo con i giornalisti sull’aereo verso Roma, spiega bene questo atteggiamento: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».

Claudio Turrini