Lettere in redazione

L’apocalisse nipponica e la lezione da trarre

L’orribile cataclisma che si è abbattuto sul popolo giapponese deve indurci ad una profonda autocritica politica, filosofica ed esistenziale della nostra civiltà per constatare anzitutto la finitezza della condizione umana, riflettere sul rapporto tra la vulnerabilità dell’essere umano e la potenza smisurata della natura e prendere atto che la nostra tecnologia, per quanto avanzata possa essere, evidenzia una serie di limiti e di carenze oggettive che soccombono di fronte alla furia spaventosa degli elementi naturali. Il Giappone è stato colpito da una serie impressionante di eventi sismici, tra cui la scossa più violenta è durata 400 secondi ed ha sprigionato un’energia assai elevata, con una magnitudo pari a 8.9 della scala Richter: 20 mila volte superiore al terremoto che distrusse L’Aquila (5.8 gradi Richter). Se un terremoto simile si fosse verificato in qualsiasi altra parte del mondo, avrebbe provocato un eccidio inimmaginabile, mentre il Giappone ne è uscito praticamente illeso non avendo subito vittime, tranne un paio di decessi che pare siano dovuti ad infarto cardiaco. Purtroppo, al sisma ha fatto seguito uno tsunami di una forza inaudita che è penetrato nell’entroterra in un raggio di oltre 5 chilometri con intere città allagate e villaggi rurali sommersi dalle acque e decine di migliaia di morti e dispersi. Come se ciò non bastasse, si sono verificate violente esplosioni in alcune centrali atomiche che hanno generato il pericolo di una catastrofe ambientale e sanitaria, per cui l’allarme e la protesta che si vanno diffondendo in queste ore nel mondo, sono assolutamente inevitabili e più che giustificati.

Occorre prendere atto che la vicenda giapponese fornisce la conferma che anche l’evento sismico più devastante, per quanto imprevedibile, può essere contenuto nei suoi effetti catastrofici mettendo in sicurezza le abitazioni che non sono a norma e costruendo gli edifici pubblici e privati con criteri rigorosamente antisismici come quelli applicati da anni in Giappone, che hanno dimostrato di reggere alle prove più terribili. Un discorso a parte merita la questione delle centrali atomiche e l’uso dissennato dell’energia nucleare. Infatti, mentre i terremoti e i maremoti sono disastri naturali assolutamente inevitabili, benché gli effetti siano arginabili e ridimensionabili almeno nel caso dei fenomeni tellurici, i rischi derivanti dal ricorso all’energia atomica sono evitabili in quanto si tratta di una scelta che dipende dalla volontà politica degli Stati.

Non è «sciacallaggio» l’atteggiamento di chi rileva i pericoli concreti legati allo sfruttamento del nucleare alla luce della drammatica esperienza giapponese, ma il cinismo e l’affarismo che alimentano la propaganda condotta negli ultimi anni per convincere l’opinione pubblica italiana ad accettare l’inganno sinistro delle centrali nucleari come soluzione, puramente illusoria, dei problemi energetici del nostro paese.

Lucio Garofaloindirizzo email

Mi domando come sia possibile insistere a sproloquiare su l’argomento nucleare, che taluni si ostinano a considerare utile, se non indispensabile per l’umanità, quando evidenze inconfutabili dimostrano non il rischio, ma la certezza che il potenziale distruttivo ed inquinante del sistema energetico nucleare prima o poi si manifesta per vetustà, errori umani o altro.

Come possano pensare alcuni nostri ministri (salvo malafede) che gli incidenti e gli errori non siano una costante nell’attività umana; sono statisticamente certi. L’infallibilità non rientra nella realtà antropologica. Se questi personaggi avessero l’umiltà e la correttezza di guardarsi intorno si accorgerebbero di sbagliare non una ma più volte, in un sol giorno. Come possano sciorinare certezze che non esistono.

Dopo l’attuale disastro nucleare, le migliaia di persone umane che si ammaleranno e moriranno, i bambini che sono nati e che nasceranno è tutta roba da sacrificare sull’altare del Dio Pil? La crescita economica di qualche punto vale più della vita di tante persone?

Oggi stiamo attenti a dare il giusto valore all’essere umano e a contenere il Pil nel suo giusto ambito. Perché il Pil non è un Dio ma può diventare un mostro.

Federico Butini GattaiFirenze Nel nord-est del Giappone la maggior parte delle strutture ha resistito ad un sisma di potenza enorme (20 mila volte quello dell’Aquila). Purtroppo poco si poteva fare per evitare che 25 mila persone (ma il bilancio è ancora provvisorio) morissero per il successivo tsnuami, generatosi a pochi km di distanza. Questo dimostra che l’uomo può fare tanto per difendersi dai cataclismi naturali (come costruire con criteri antisismici), ma non può cancellare del tutto i rischi. Questo vale anche per le centrali nucleari, come per qualsiasi altro impianto (nessuno parla – ad esempio – della diga crollata nella prefettura di Fukushima). Quanto avvenuto nella centrale nucleare giapponese impone a tutti però, una riflessione. Dobbiamo capire se le centrali costruite 30-40 anni fa (e sono la stragrande maggioranza) sono ancora sicure. Se abbia un senso costruirle in zone fortemente sismiche e sulla costa del mare (a rischio tsunami) o nelle vicinanze di una diga. Dobbiamo anche trovare il modo per impedire che chi le gestisce possa eludere i controlli o risparmiare sulla sicurezza nel nome del «dio profitto» (come sembrerebbe aver fatto la giapponese Tepco). Ma non possiamo fare a meno del nucleare. Forse tra 15 o 20 anni, ma non oggi. Nel mondo sono in funzione (dati Aiea) 443 reattori che producono il 14% del fabbisogno mondiale di energia elettrica. Altri 63 (di cui 10 in Russia e 27 in Cina) sono in costruzione e ben 158 sarebbero già stati programmati. Nonostante tutte le politiche di risparmio energetico (che andrebbero incrementate) il consumo di energia è destinato a crescere di pari passo con lo sviluppo economico. Le fonti rinnovabili possono dare un contributo, ma per ora non sono sufficienti a sostituire il nucleare né quella quota di energia da metano e carbone, che saremmo chiamati a ridurre per abbassare le emissioni di CO2.

L’Italia, che è l’unica delle grandi potenze industriali a non produrre elettricità dal nucleare, può anche continuare senza centrali atomiche. Oggi come oggi può essere anche vantaggioso acquistare elettricità da quelle francesi, svizzere o slovene. Domani non lo sappiamo, perché questo non fa che accrescere la nostra dipendenza dall’estero. Comunque il problema è sostanzialmente di costi. Sono sempre stato scettico sulla decisione di tornare al nucleare, decisa dal governo nel 2008 ed oggi sospesa per un anno. Impossibile farlo senza il consenso della gente. E gli italiani, a torto o a ragione, non lo vogliono. Ma non si dica che lo si fa per proteggere la nostra salute, perché in caso di incidenti le centrali disseminate per l’Europa sarebbe come averle in casa.

Claudio Turrini