«La memoria è personale. Parliamo di memoria collettiva, memoria, condivisa; la utilizziamo come monumento del passato verso cui volgere lo sguardo e sentirci parte di un’unica entità nazionale con radici solide. Istituiamo persino una giornata della memoria che deve accompagnarsi alla giornata del ricordo, per non scontentare nessuno. Eppure la memoria è individuale e persino effimera. Io per esempio mi scordo di tutto».Questa la prefazione a firma di Ascanio Celestini, attore teatrale e regista cinematografico, de «Il paese dei diari» il romanzo, realizzato da Mario Perrotta, ispirato ai diari dell’archivio nazionale di Pieve Santo Stefano. Il libro pubblicato nel 2009 è diventato ora uno spettacolo teatrale che sta girando l’Italia.Proprio l’archivio dei diari di Pieve sarà ospite d’onore del Biografilm Festival di Bologna, la rassegna cinematografica che si occupa in particolare di storie biografiche.Nell’occasione il fondatore della «Banca della memoria», Saverio Tutino, riceverà il premio «Lancia Celebration of Lives». Durante la cerimonia, Guido Barbieri, presentatore ufficiale del premio, ripercorrerà le tappe più significative, con alcuni dei suoi personaggi «storici», di quest’incredibile avventura diaristica nata nel 1984 dalla fulminante idea del giornalista.Era il 1984 quando Saverio Tutino, giornalista, già inviato per alcune tra le maggiori testate nazionali fondava l’archivio diaristico di Pieve. Oggi i manoscritti depositati sono oltre 6mila e il loro numero cresce di anno in anno. L’Archivio è un luogo unico, nato per raccogliere e conservare i diari, le memorie e gli epistolari della gente comune. Proprio in questo luogo così suggestivo è ambientato il romanzo di Perrotta.Mario, il narratore di questo romanzo-verità, rimane inavvertitamente chiuso una notte nell’archivio, iniziando così un viaggio che lo porterà a incontrare, scalino dopo scalino, stanza dopo stanza, gli abitanti di questo edificio «magico», che ogni notte si animano per raccontare la propria storia. Per esempio quella della contadina Clelia Marchi, che scrisse la sua vita su un lenzuolo a due piazze, quella del cantoniere siciliano Vincenzo Rabito, semianalfabeta, che si chiuse in una stanza per imparare a usare la macchina da scrivere raccontandosi in oltre mille pagine, o ancora quella di Orlando Orlandi Posti, affidata a messaggi clandestini scritti dal carcere di via Tasso a Roma prima di essere fucilato alle Fosse Ardeatine.«Mi guardo intorno e vedo stanze e corridoi riempiti da chili e chili di ricordi, raccolti in milioni di pagine, assemblate in migliaia di diari, lettere e memorie, un festival del ricordo insomma, un inno perenne alla memoria», si legge in un altro passaggio del libro. «Sono il tentativo tenace di opporre resistenza alla dimenticanza, in una battaglia impari tra poche migliaia di sopravvissuti contro milioni di esistenze di cui non sapremo mai nulla. Tutte queste cose mi dice o mi fa intuire Saverio e quel timore che si era appena affacciato nei suoi occhi prende corpo davanti a me sul suo volto […]. Anche lui ha paura, come tutti gli autori dei diari conservati qua dentro, di smemorarsi. Degli altri. E di sé».