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L’arte come resistenza e pace: la storia di Iyad da Gerico
Iyad è musulmano e racconta con passione il suo lavoro al Mosaic Center di fronte ai vescovi della Toscana, nel corso del loro pellegrinaggio di solidarietà in Terra Santa

«Sono profondamente convinto che l’arte sia uno strumento di pace». Iyad Njoom ha 42 anni, lo incontriamo al Mosaic Centre di Gerico, la città più antica del mondo, a pochi chilometri da Gerusalemme. Lì dove la terra scende sotto il livello del mare e diventa deserto: siamo già in Cisgiordania. Iyad è musulmano e racconta con passione il suo lavoro di fronte ai vescovi della Toscana, nel corso del loro pellegrinaggio di solidarietà in Terra Santa.
Il Mosaic Centre sorge in un luogo che, negli anni ’70, è stato la casa di Giuseppe Dossetti. Qui lavorano 25 persone nella produzione e nel restauro di mosaici, anche di edifici storici come quelli di Betania, della tomba di Lazzaro, o nelle copie dei mosaici di Nazareth. Tuttavia, è anche una scuola per studenti di ogni età e per gli appassionati che vogliono imparare questa nobile arte. «Il nostro compito – spiega Iyad – è quello di prenderci cura del patrimonio artistico della Terra Santa e trasmetterne l’amore alle nuove generazioni».
«La mia storia – racconta – non è molto diversa da quella di tanti altri cresciuti da queste parti. Mio nonno, nel 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni, fu costretto a lasciare Gerico. Mio padre aveva appena sei anni, ma ancora si ricorda molto bene quel giorno». Non avevano contezza di quello che stava succedendo: così, la madre di Iyad prese con sé solo un cartoccio di carne, pensando che sarebbero dovuti rimanere in Giordania giusto un paio di giorni, per poi tornare a casa. Non fu così. La sua famiglia, per un anno, passò da un campo profughi all’altro, fino a stabilirsi in uno nei pressi di Amman. È lì che nasce Iyad, nel 1983. I suoi amici lo chiamano “il Palestinese”: lui che è sì nato in Giordania, ma appartiene al popolo palestinese.
«Siamo una famiglia fortunata – aggiunge – perché nel 1996 siamo riusciti a tornare a Gerico. Noi bambini eravamo felici, ma per mio padre è stata dura ricominciare da zero una nuova vita. Dopo qualche giorno, a scuola, iniziarono a chiamarmi “il Giordano”. Avevo 13 anni: non fu facile nemmeno per me».
Adesso Iyad ha cinque figli e una famiglia. «Qualsiasi cosa succeda in futuro – spiega – non lascerò la mia casa. So cosa significa vivere da profugo in un altro Paese. Voglio che i miei figli vivano qui e che i loro ricordi futuri siano legati a questa terra. Capisco chi vive a Gaza e non vuole lasciare la sua casa. So, sulla mia pelle, cosa significa. Voglio vivere qui: non farlo sarebbe come non vivere».
«Sono convinto – conclude – che questa è la terra della pace e che tutti vogliono la pace. Al Mosaic Centre ho trovato me stesso, credo profondamente in quello che facciamo ogni giorno. L’arte è uno strumento di pace. Spero che anche voi possiate pregare insieme a noi perché arrivi la pace. Avete visto i passi di Gesù e dei profeti in questa terra, ed è evidente che questa può essere una terra di pace. Continueremo a vivere e lavorare qui. Credo che Dio troverà una soluzione».