Opinioni & Commenti

L’attuale crisi finanziaria alla luce della dottrina sociale

di Leonardo Salutati

La causa scatenante l’odierna crisi finanziaria è rappresentata dal peso sempre più importante nei bilanci aziendali della vendita di prodotti complessi come gli strumenti di finanza derivata di cui solo alcune decine di giovani traders al lavoro nelle maggiori banche internazionali sono in grado di calcolare il prezzo corretto attraverso sofisticati algoritmi.

Al riguardo già nel 2005 l’allora presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, con riferimento a Fannie Mae e Fraddie Mac le due maxi-banche di credito fondiario statunitensi, invitava il Congresso americano a considerare quanto fosse urgente agire nel modo più chiaro possibile, denunciando che se le due istituzioni semipubbliche avessero continuato a crescere mantenendo basso il proprio capitale e a gestire i loro portafogli con dinamiche hedging (cioè mediante l’utilizzo di strumenti derivati quali opzioni, vendite allo scoperto e contratti future e forward), potevano creare un rischio sistematico ed esponenziale fuori controllo per l’intero sistema finanziario. Di fronte all’autorevole avvertimento il Senato americano, su proposta di un ristretto gruppo di tre senatori repubblicani, in sede di Senate Banking Committee approvò una norma che se fosse divenuta legge avrebbe, presumibilmente, aumentato il livello dei controlli e tentato di arginare l’irresponsabilità di alcuni potenti operatori finanziari. La norma prevedeva un potere regolatore che avrebbe potuto operare un significativo giro di vite e avrebbe obbligato le compagnie a rinunciare ad investimenti «tossici». Quella norma non divenne mai legge per l’opposizione dura del partito democratico e per la decisione dei repubblicani di non procedere a colpi di maggioranza.

Proprio sulla governance, il sistema di regole per governare l’economia di mercato, Mario Monti osservava recentemente come gli Stati Uniti avessero fallito in quella «specialità» che per molti decenni avevano invece insegnato con successo all’Europa e ai Paesi emergenti, arrecando un vulnus severo e durevole all’immagine e all’accettabilità, nel mondo, dell’economia di mercato con la crisi finanziaria che si è generata al loro interno.

Riguardo alla necessità di regole non può allora non riecheggiare nella mente del cristiano il lucido insegnamento di Giovanni Paolo II quando, nella Centesimus Annus, affermava: «Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Tuttavia (…) prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo in forza della sua eminente dignità (CA 34). L’economia, infatti, è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l’occupare il centro della vita sociale e diventano l’unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, (…) quando l’uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora l’economia perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l’alienarla ed opprimerla». (CA 39)   on queste premesse il Papa metteva poi il dito nella piaga con parole che non possono essere equivocate: «Si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile? La risposta è ovviamente complessa. Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di “economia d’impresa”, o di “economia di mercato”, o semplicemente di “economia libera”. Ma se con “capitalismo” si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa». (CA 42) A questa chiara valutazione, nel trattare il tema della proprietà privata, segue un’ulteriore precisazione: «La proprietà dei mezzi di produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve ad un lavoro utile; diventa, invece, illegittima, quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall’espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall’illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini» (CA 43). Probabilmente non era mai stata fatta da nessun Papa una critica così violenta al sistema economico occidentale, e questo è forse il motivo per cui queste considerazioni sono passate nel dimenticatoio. Però, per molti aspetti, il sistema economico e finanziario oggi esistente è proprio quello qui descritto da Giovanni Paolo II nell’ormai «lontano» 1991, con le conseguenze che oggi si profilano sotto i nostri occhi. Per questo è necessario e utile a tutti riconsiderare l’insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa che fornisce l’inquadramento per un’economia che perseguendo il bene comune consegue il bene per ciascun uomo.