Cultura & Società
Le grandi musiche che esaltano lo schermo
di Carlo Lapucci
La storia si potrebbe far cominciare, perché gli antefatti sono troppo lunghi, dal lontano 1952 quando fu recuperato e restaurato il film muto La passione di Giovanna d’Arco di Theodor Dreyer del 1928, capolavoro della cinematografia al quale furono messe come commento sonoro varie musiche di Vivaldi, Scarlatti. Spiccava un Largo per archi e organo di Albinoni: il film girò tutti i cineforum allora in voga strappando l’ammirazione degl’intenditori e soprattutto il Largo folgorò i cuori dell’intellighenzia italiana che ne disse mirabilia, anche se quel pezzo era introvabile nelle storie della musica.
Il fatto è che in realtà il pezzo non è di Tomaso Albinoni, ma d’un musicista contemporaneo, Remo Giazotto che lo compose per accompagnare il suo magistrale studio sul celebre musicista, che uscì nel 1945, con l’intento di pubblicizzare la sua monografia richiamando l’attenzione di un pubblico più vasto. C’è scritto anche sull’involucro del disco, ma guai a dirlo in giro: si passa per ignoranti e guastafeste. La gente non ha voglia di discutere quando si mette in testa qualcosa.
Il film fece scuola suggerendo il colpo basso (1970) dell’Anonimo veneziano (Concerto per oboe di Benedetto Marcello, zampillato poi dappertutto per anni) e i registi dotarono sempre più i loro film con musiche prestigiose: costano il giusto e rendono. Così presero roba grossa: Bach, Händel, Mozart, Scarlatti, Haidn, servendosene senza discrezione.
La musica, arte astratta per eccellenza, si materializza in un mondo dominato e affascinato dal materialismo con una banalizzazione un imbarbarimento dell’immagine e del suono. Già la musica a programma si era messa su questa strada (ci sono brani che già il titolo destina a una precisa scena cinematografica come Il volo del calabrone Rimskij-Korsakov) ma gli americani hanno fatto di più e di meglio e non si sono fermati davanti a nulla, andando ben oltre la musique d’ameublement. Nel film Fantasia del 1940, apparso più tardi da noi, una serie di brani musicali veniva interpretata coi cartoni animati certo con rara maestria, ma con una semplificazione e una rozzezza intrepide e rare. La Toccata e fuga in re minore per organo di Bach si traduceva in una fantasmagoria, in un astrattismo psichedelico che non aveva nulla a che fare e tanto meno sfiorava la grandezza dell’opera musicale. La Danza delle ore dalla Gioconda di Ponchielli diventa una danza d’ippopotami, struzzi, elefanti e coccodrilli, un po’ goffa, un po’ infantile con immagini anche banalotte. Stravinskij avrebbe narrato musicalmente nella Sagra della Primavera nientemeno che i primordi della Terra e degli esseri viventi e lui fu anche d’accordo. Il brano della Sesta sinfonia pastorale di Beethoven diventa una vendemmia e una fuga di satiri e divinità, tutti briachi fradici e così L’apprendista stregone, Lo schiaccianoci e il resto.
Nel 1971 Kubrick ci riprovò con il film Arancia meccanica inserendo musiche di Beethoven e Rossini in sintonia con certi momenti della narrazione, ma qui si scoprì il gioco, soprattutto con la Quinta sinfonia di Beethoven. L’operazione si rivelò un ottimo elemento interpretativo di psicologie malate, megalomanie esasperate, ma si presentò anche come un’operazione un po’ volgare, quella cioè di trasferire materializzandole con enormi limitazioni, altissime opere d’arte nella cultura di massa con semplificazioni e avvilimenti che trovano un nome semplice nel termine massificazione. Nella mente della persona priva di cultura facilmente la Quinta sinfonia si presenta come musica delinquenziale e si associa a qualcosa come la malattia mentale, la violenza, la follia. La musica è magica, misteriosa, anche proteiforme e infida, è vero: ci aveva già pensato Tolstoi con La sonata a Kreutzer ad accusare la musica in genere e quella di Beethoven in particolare di effetti degenerativi, e volendo anche Platone fu dello stesso avviso, ma est modus in rebus.
Ormai questa associazione è diventata e sta diventando sempre più un codice di corrispondenze obbligate, creando dei pasticci spesso sconcertanti, a volte esilaranti di cui non ci rendiamo conto, ma ingenuità della quale i posteri un giorno forse rideranno di cuore.
Ad esempio nella rappresentazione delle battaglie antiche, chi sa come, in tutto quel pandemonio di frecce, lance, spade, corazze, scudi, pietroni volanti e gente che si sbudella, c’è sempre un coro, ben riparato e nascosto, che canta a squarciagola incurante della mischia e del pericolo, senza che nessuno degli armigeri, per quanto urli a distesa, lo senta, se ne curi e tanto meno lo ascolti. E sì che i musicanti non scherzano: non solo cantano forte, ma spesso roba che in certe situazioni è quanto meno di cattivo auspicio, roba funebre. Requiem, Dies irae, canti dell’officiatura gregoriana del morti, messe funebri di Cherubini, Verdi, Mozart, pezzi tosti, da mettere i brividi, ma i combattenti, veri eroi, continuano incuranti a lottare mentre i coristi gridano il malaugurio ai poveretti alcuni dei quali sono già presi dal terrore e non sanno se andare o se stare.
Il matrimonio, riparatore o meno, arriva sulle note di una marcia nuziale a scelta: o quella del Lohengrin di Wagner, oppure quella di Mendelssohn del Sogno d’una notte di mezz’estate.
La celebre Ninna nanna di Brahms avverte che, bene o male, l’amore ha dato il suo frutto e il IV tempo del Quintetto La trota, op. 114 di Schubert vi dice che il bambino cresce vispo e gioca presso un laghetto o l’acqua corrente d’un ruscello. Con il canto del Panis angelicus si sa che sta facendo la prima comunione e il II tempo dell’Aria sulla quarta corda, III Suite per orchestra di Bach, avverte che per i suoi studi ha scelto un indirizzo scientifico di alta rarefazione: astronomia, relatività, geometria analitica.
I casi della vita però sono tanti: la Sonata di Scarlatti K 531 (vecchio intervallo della televisione) indica che fa il pastore e conduce il gregge al pascolo; Pacific 231 di Artur Honegger informa invece che il ragazzo si occupa di meccanica, conduce locomotive, cura ingranaggi in movimento, mentre sarà la Danza delle spade dal balletto Gayané di Khachaturian a dirvi che il protagonista si occupa di rotative. La Rhapsody in Blue di Gershwin suggerisce che l’eroe si trova tra banchi d’aringhe e sardine nei mari della Norvegia, avendo scelto di fare il pescatore d’altura; gli squilli finali di trombe del brano Non più andrai farfallone amoroso delle Nozze di Figaro annunciano che sta partendo per il fronte.
Assalti di truppe, d’aerei, di carri armati sono testimoniati dalla Cavalcata delle Valchirie (III atto de La Valchiria di Wagner) e l’esempio più fulgido l’offre Coppola in Apocalypse NowAleksandr Nevskij, di Prokofev. La Marcia trionfale dell’Aida di Verdi vi rassicura che l’eroe torna vittorioso dalla battaglia, oppure dallo spazio, dove ha sconfitto legioni di orrendi birbaccioni siderei e viene accolto dalla folla festante. Con la Marcia trionfale dell’Aida viene portato in trionfo, infine con l’Alleluia del Messiah di Händel siamo sicuri che viene incoronato imperatore. Ma se avvertite in lontananza le note del Lacrimosa dal Requiem di Mozart, un accenno alle esequie del canto gregoriano, oppure sentite esplodere la Marcia funebre della III Sinfonia o l’inizio della V di Beethoven, le cose sono andate malissimo e si concluderanno con la Marcia funebre di Sigfrido dalla Varchiria di Wagner (per i funerali comuni c’è, tanto comoda, la Marcia funebre di Schubert e anche quella di Chopin: Sonata in si bemolle op. 35).
Se invece al nostro eroe frulla nel capo qualcosa di strano ci pensa a comunicarvelo la Toccata e fuga in re minore per organo di Bach, nel qual caso temete il peggio perché sta scoppiando una tragedia: dopo che Disney l’ebbe fritta come arte astratta in Fantasia, nel celebre film Ventimila leghe sotto i mari (1954) la suonò il Capitano Nemo che non prometteva nulla di buono e l’intellettuale felliniano Steiner la suonò ancora ne La dolce vita prima di suicidarsi e questo l’accreditò e la divulgò come musica di chi almanacca qualcosa di preoccupante. Se sentite La morte del cigno di Ciaykovskij (o il preludio della Traviata) vuol dire invece che è morta lei: l’amata della vicenda amorosa o una foca massacrata sul pack. Il noto motivetto del II tempo de l’Inverno dalle Quattro stagioni di Vivaldi descrive finalmente il vecchio rimbambito nel canto del fuoco.
Sono un po’ i leitmotiv, inventati da Wagner per i suoi personaggi il cui apparire sulla scena è annunciato appunto dal proprio tema. La colonna sonora dice tutto: bastano le prime note della Bagatella in la minore per pianoforte di Beethoven Per Elisa per essere avvertiti che lui ha visto lei e se ne sta innamorando come un somaro e il Sogno d’amore di List per capire che sul teleschermo due progettano di fare un bambino. La caduta di Varsavia di Chopin corrisponde alla disperazione causata da un rifiuto: lei che si strappa i capelli o lui che corre nella nebbia disperato rasentando un baratro (ma non ci casca). Con il Minuetto di Boccherini siamo in un salotto settecentesco, o in mezzo a farfalle che volano; Una notte sul Monte Calvo di Musorgskij è il biglietto da visita per un arrivo di una comitiva di streghe, Il trillo del Diavolo di Paganini dell’imminente presentarsi del Maligno; La Goccia d’acqua di Chopin indica pioggia, la Primavera delle Quattro stagioni di Vivaldi segna bel tempo stabile, sbocciar di fiori, uscita di pulcini dalle uova e sbucare di rospi assonnati dalla melma dopo il sonno invernale; la Marcia turca della nota sonata di Mozart dice che siamo in Turchia e con la musica del Padrino si sente subito puzzo di mafia. Una solitudine sterminata viene segnalata dal flauto di Pan e con una musica vagamente simile a quella di Picnic a Hanging Rock (1975). Tempo che passa, pioggia di petali di fiori, di foglie morte nel vento, capelli che cadono, speranze in fuga: il Valzer dei fiori dello Schiaccianoci di Ciaykovskij che non ha rivali; anzi pare che il musicista abbia spiato a lungo petunie e tulipani a orecchi ritti per carpire i loro segreti musicali e forse ci è riuscito. Oggi, anche se il ventilatore fa volare dalla finestra una collezione di francobolli, il Valzer dei fiori non ve lo leva nessuno.
Il gregoriano poi arriva in occasioni di morte, singola o collettiva, mentre per le stragi, scene di eccidi, massacri sui campi di battaglia i corali di Bach sono come il cacio sui maccheroni. Ma il gregoriano è indicato anche ambienti etruscheggianti, per antiche rovine generiche (in concorrenza con il Vecchio castello dei Quadri di un’esposizione di Musorgskij) templi di civiltà scomparse, catacombe, sotterranei vari.
Ormai il processo è irreversibile e universale: i film, le telenovelas, gli originali televisivi rigurgitano di musiche classiche. La frana è incontenibile e i temi convenzionali ripiovono nei commenti musicali dei filmini che vengono fatti nel corso di cerimonie e viaggi, visite, conferenze, voli, immersioni e propinati, insieme a finti selvaggi Maori (in realtà una banda di guitti di Barletta finiti in Nuova Zelanda che campano facendo le comparse per i turisti), ai malcapitati che credevano di scroccare impunemente una cena.
Ma non sono solo i ragazzi a prendere a schiaffi la musica; basta sentire cosa dicono coloro che stanno ai banchi dei negozi di dischi a proposito di quanto viene loro richiesto.
C’è la romanza che canta il tenore Pallazzo nel film Una pallottola spuntata?
Avete una bella interpretazione della Peripatetica di Beethoven?
Vorrei una buona esecuzione dell’inno dei mondiali di calcio Vincerò cantata da Pavarotti.
Desidero il sesto posto in classifica di Mozart.
Avete i Carmina Burina?… No, forse Buriana o Buridana… Insomma, ce li avete?
Cerco da tempo il Bombardamento di Varsavia di Chopin.
Vi è ritornata la Samarcanda di Bach?
E una bella incisione del valzer Sul bel manubrio blu?