Opinioni & Commenti

Le staminali «riprogrammabili» e l’imbarazzo dei «media» italiani

DI CLAUDIO TURRINI

Il prestigioso «Times» ci ha addirittura aperto lo scorso mercoledì 20 novembre. «Cellule staminali, un passo avanti» ha titolato a tutta pagina. Eppure in Italia la notizia non ha «bucato». Repubblica l’ha messa sì in prima, ma con un titolino in basso e un richiamo a pagina 23. E gli altri quotidiani – ad eccezione di «Avvenire» – sono stati anche più avari. Stesso discorso per i notiziari radio e tv.

È sempre difficile ammettere di aver sbagliato. E per i «media» italiani sarebbe stato il momento dell’autocritica. Non ci avevano detto che per vincere le malattie degenerative, come l’Halzeimer o il Parkinson, era indispensabile fare ricerca sugli embrioni umani? E che quella sciagurata legge 40 (quella che regolamenta la fecondazione medicalmente assistita) con i suoi «assurdi» divieti, imposti dai cattolici, ci aveva posti fuori dal progresso e dalla corsa ai brevetti sulle staminali embrionali? E invece le ricerche condotte parallelamente negli Usa e in Giappone ci dicono oggi che è possibile «riprogrammare» banalissime cellule di pelle umana, in modo da risultare indistinguibili dalle staminali embrionali. Gli esperimenti sulle cellule iPS (cellule pluripotenti indotte), portati avanti in America dagli scienziati del Genome Center dell’Università di Wisconsin-Madison, diretti da Junying Yu, sono stati pubblicati su «Science». Quelli del team nipponico, diretto da Shinya Yamanaka, della Kyoto University, sull’altra prestigiosa rivista «Cell». Due studi epocali, che potrebbero rendere inutili i dilemmi etici sull’uso delle staminali embrionali, assieme alla clonazione umana a scopo terapeutico. Se, infatti, si possono riprogrammare cellule adulte, non occorre creare embrioni «ad hoc» o utilizzare quelli in sovrannumero come fonte di preziose cellule pluripotenti, capaci di trasformarsi nei 220 tipi cellulari che compongono il corpo umano. «Mi fa piacere che ciò che prevedevo due anni e mezzo fa, ai tempi della campagna referendaria, si sia avverato», ha commentato la notizia il genetista Bruno DallaPiccola. «Dopo un lungo e sofferto cammino, che ha immolato sull’altare della ricerca tanti esseri umani in fase embrionale», la scoperta «sembrerebbe un’autentica svolta», ha commentato l’associazione «Scienza & Vita», che tuttavia invita alla prudenza sulla sua immediata applicabilità: «Saranno indispensabili adeguate sperimentazioni sull’animale per chiarire gli aspetti non ancora noti e la possibilità di un’efficace e sicura applicazione clinica». «L’opinione pubblica – prosegue Scienza & vita – è stata già manipolata a sufficienza. Basti ricordare l’inopinato entusiasmo riservato alle tecniche della clonazione e alla ricerca sulle cellule staminali embrionali che avrebbe dovuto dare risposta immediata a tutte le malattie degenerative».

Cambierà qualcosa adesso nei laboratori che studiano le staminali? Per Adriano Pessina, direttore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica, «eliminare la ricerca improntata sulle cellule staminali embrionali dovrebbe essere considerato un bene anche soltanto per i motivi etici, e non semplicemente perché ci sono valide alternative scientifiche». Per Pessina rimane, comunque, da chiedersi «come mai è rimasto questo accanimento attorno alla vita embrionale»: «Se gli unici motivi di tale atteggiamento – spiega – erano di tipo scientifico e terapeutico, adesso questa strada dovrebbe essere definitivamente abbandonata. Se, invece, la preferenza per l’utilizzo delle cellule staminali embrionali deriva dal fatto che c’è una grande disponibilità di queste ultime grazie al materiale derivato dalla crioconservazione, e dalla maggiore facilità di utilizzo, allora la strada verso l’abbandono di tale filone di ricerca rischia di essere ancora lontana».