Cultura & Società

Leggende, Nerone, ovvero come possa morire un tiranno

di Carlo Lapucci

Sembra un paradosso, ma la cosa più difficile per un autocrate risulta in ultima analisi, morire, anche se vengono ammazzati quasi tutti. Il momento più difficile risulta quello in cui un tiranno passa improvvisamente dall’onnipotenza all’impotenza: divenuto inerme nella sua debolezza, come il leone morente non può evitare il calcio dell’asino, insieme agli insulti e alle vendette che gli vengono inflitti, secondo i racconti delle favole, dagli animali più deboli, anche vili e codardi, fino ad allora soggetti e terrorizzati dalla sua oppressione. Pareva che la stagione dei tiranni fosse un po’ passata: dopo grandi campioni del Novecento (Hitler, Stalin, Mussolini, Franco, Mao e altri) si sperava che la tentazione fosse passata, invece pare che l’opzione abbia ancora le sue seduzioni. Contro il rischio dell’infamia i tiranni più avveduti prendono le misure per tempo, facendosi costruire sepolcri inaccessibili, inviolabili, che poi risultano tutti, prima o poi, violati, profanati, saccheggiati e depredati. Tale operazione di garanzia delle proprie spoglie ha fatto ricorso a piramidi, mausolei, moli, caverne, letti di fiumi, ma nessun espediente è valso a qualcosa. Anche perché la stolta avidità del satrapo inserisce nel suo fortilizio funebre proprio quell’esca che lo porterà ad essere espugnato e saccheggiato: l’oro e altre ricchezze che aizzano la cupidigia dei violatori di tombe: dagli eredi, agli archeologi, ai tombaroli. Che si sappia pochi sono riusciti a preservare il loro corpo e l’estrema dimora dalle mani sacrileghe dei ladri. Uno è Gengis Kan: i mongoli ne portarono la salma in un luogo segreto, scavarono una fossa profondissima, ricoprirono le spoglie ripiantandoci sopra la vegetazione primitiva, uccisero tutti quanti avevano lavorato all’impresa e da allora nessuno ha più potuto individuare la tomba del grande conquistatore.

Da noi abbiamo il Re Porsenna che a Chiusi, o nelle vicinanze, si fece costruire una grande tomba, della quale parla anche Plinio, con un labirinto sotterraneo pieno di immense ricchezze, del quale molto si è favoleggiato, ma nulla si è trovato.

Per la sua tomba Tutankhamon non ha saputo fare altro che esercitare una terribile vendetta nei confronti dei violatori: coloro che hanno avuto a che fare con le sue spoglie sono morti in serie malamente. I Goti poi nascosero il corpo del loro re Alarico nel fiume Busento: ne deviarono le acque, scavarono la tomba al centro dell’alveo e vi seppellirono il condottiero; poi fecero tornare il fiume nel suo letto e nascosero per sempre La tomba del Busento, cantata dal Platen e tradotta da Carducci: «Dove l’onde pria mugghiavano, / Cavan, cavano la terra; / E profondo il corpo calano, / A cavallo, armato in guerra».

L’ossessione della fineTeodorico, invece, la cui tomba vuota si ammira a Ravenna, si raccomandò a un immenso macigno squadrato, posto come coperchio del suo sepolcreto, ma la tomba è stata visitata da molti, anche dai turisti. I Faraoni, forse i più accaniti in questa ricerca, sacrificarono popoli interi per farsi una tomba sicura con milioni di tonnellate di pietra, e dopo migliaia d’anni lavorano ancora esibendosi nei principali musei del mondo: l’ultima cosa che potevano immaginare, quando ammucchiavano quelle montagne di sassi.

Le salme poi fanno viaggi spesso lunghi e mirabolanti: vengono nascoste, trafugate, restituite, falsificate e alla fine chi sa chi c’è dentro i preziosi sarcofagi. Questo però capita spessissimo e le spoglie che in assoluto hanno viaggiato di più sono quelle dei Santi, soprattutto alcuni.

Tuttavia molto difficile e controverso risulta proprio il momento della morte, il modo, gli esecutori che l’infliggono, il suo preciso momento: tutte cose che per certi personaggi divengono misteri insolubili, forse perché i tiranni sono in molti a volerli morti, salvo poi a esecrare, perseguire e punire coloro che li ammazzano, e questo è vero ancora ai nostri tempi. Di Mussolini, ad esempio, ancora non si sa chi lo abbia spedito all’altro mondo: le versioni che sono state date della sua fine non si contano, ma non si ha ancora la minima certezza di chi l’abbia ucciso, dove questo sia avvenuto, né quando. Del suo compare Hitler che lo seguì a poca distanza di tempo esiste sulla fine una versione molto probabile, dei resti che possono essere i suoi, ma non si sa cosa sia avvenuto in quel bunker nei giorni della caduta di Berlino. Di Stalin si dice che sia morto nel proprio letto, ma non di morte naturale, anche se era seriamente malato. I satelliti come Beria, Kruscev, che erano al Cremlino in quel tempo si sono a volte vantati, a volte accusati d’averlo soffocato, o d’avergli sparato per paura che si trattasse di una malattia strategica alfine di tendere loro una trappola, secondo il simpatico costume di Ivan il Terribile. Su altri recenti autocrati russi corrono voci di particolari aiuti ricevuti al momento in cui l’esito fatale si vedeva vicino.

Anche la morte naturale non avviene che raramente secondo i programmi: gestori del più grande impero, a cominciare da Nerone conclusero la vita spesso in malo modo: Galba dopo aver regnato sette mesi fu scannato, dilaniato e il suo corpo deriso da gregari e soldati; Ottone dopo 95 giorni di potere, circondato dai nemici si trafisse col pugnale; Vitellio, schernito, deriso, offeso, lordato di fango, fu scarnificato e gettato nel Tevere; Domiziano fu ucciso dai congiurati. Dopo di loro le cose non cambiarono. I re e i dominatori barbarici hanno morti sinistre, almeno nelle leggende, come Alboino e Teodorico.

Anche coloro che riuscirono a morire nel loro letto non ebbero pace: Adriano che regnò oltre venti anni ebbe tempo di prepararsi una tomba di notevole mole, detta appunto la Mole Adriana, oggi Castel Sant’Angelo, pensando di riposare in pace fino al giorno dei Giudizio. I suoi successori, lo seguirono in quel mausoleo con i loro familiari con la stessa speranza fino a Settimio Severo, ma ne furono sloggiati da una serie infinita di nuovi inquilini che adoprarono e continuano ad adoprare quella tomba per altri usi.

La saga di NeroneLa morte sulla quale si è più favoleggiato è stata forse quella dell’Imperatore Nerone, colui che detiene il titolo di Uomo più cattivo del mondo nel fantastico collettivo non può che morire in modo violento e crudele, magari con più sofferenze possibili. Dello storico più attendibile, Tacito, è andata perduta la parte degli Annali che narra questo evento. Abbiamo da quanto scrive Svetonio, insieme ad altri storici minori, quello che è tutto sommato lo schema probabile della vicenda: Nerone, braccato dai rivoltosi, fugge dalla reggia per rifugiarsi nella villa del liberto Faonte, tra la Salaria e la Nomentana, e qui si trafigge la gola con l’aiuto decisivo del suo accolito Epafrodito. Tutto qua, ma non è bastato: troppo semplice, quasi banale. Allora comincia la saga delle morti attribuite da fertili fantasie di denigratori, storici diversi, nemici personali, agiografi cristiani e altri, compresi i suoi seguaci che lo vollero, come Cesare e Augusto, immortale, ossia assunto tra gli dèi.

Versioni sulla sua morte, dalle varianti storiche alle leggende, ve ne sono almeno una ventina d’una certa importanza. Un gruppo consistente di narrazioni collega la sua fine alle selve e ai lupi, forse per la fuga nella campagna narrata anche da Svetonio. Un secondo lo unisce alla figura di Simon Mago, del quale sarebbe stato amico ed estimatore; un terzo fa della sua morte la punizione per aver ucciso Pietro e Paolo, martirio a lui addebitato dalla tradizione.

Goffredo da Viterbo nello Speculum Regum, con Ekkehaero, riprende il tema del bosco e dice che Nerone fugge nella selva e viene dilaniato da ferocissimi lupi. Una variante vuole che egli saputo di dover morire, ritenne che non esistesse al modo un uomo così grande e così nobile da essere degno d’ucciderlo, per cui si gettò sulla spada e i lupi fecero il resto.La Cura sanitatis Tiberii riferisce che Simon Mago aveva vaticinato al despota che sarebbe morto divorato dai lupi, per cui, fuggendo disperatamente i suoi inseguitori per le selve, era terrorizzato d’incontrare vivo le belve e pensò di uccidersi. Trovato un palo aguzzo si trapassò da parte a parte e i lupi poi lo divorarono. La leggenda aurea aggiunge che, non avendo una lama per appuntire un palo, spinto dal terrore, lo aguzzò rodendolo con i denti. Un testo medievale, La Chronica delli imperatori romani, offre una variante singolare: suicida nella foresta non vengono i lupi a dilaniare il fuggiasco, ma sono una mandria di bovi che prima lo incornano e poi lo divorano, miracolosamente divenuti carnivori per dare un’esemplare punizione.

Un altro elemento ricorrente à tolto dalla narrazione di Svetonio e vuole che Nerone sia stato incenerito da un fulmine. Si legge nelle Vite dei dodici Cesari che, durante la fuga verso villa del liberto Faonte, l’Imperatore fu investito dagli elementi della natura irati contro di lui: pioggia, grandine, vento e fulmini e addirittura il terremoto lo investirono finché una folgore lo distrusse.

È sempre Simon Mago a predire al tapino una triste fine e, nonostante le discordanze di storici e autori di cronache, vede sempre giusto. Gli aveva predetto anche che sarebbe morto impiccato e la cosa si avverò puntualmente in una Passio SS. Petri et Pauli Apostolorum scritta prima del Mille: Nerone in fuga, per non cadere in mano degli inseguitori, fabbrica con le sue mani una corda, intreccia il cappio e s’impicca e nuore come Assalonne, ma soprattutto come Giuda, l’unico che gli possa al mondo contendere il primato di malvagità. Un tema ricorrente è il terrore di morire sepolto vivo. Svetonio narra: «Allora ordinò che in sua presenza si facesse una fossa misurata all’altezza del suo corpo, che si mettessero insieme dei pezzi di marmo, ove di potessero trovare, e che anche si portassero acqua e legna per lavare poi il cadavere, piangendo a ognuno di questi ordini e quando a quando ripetendo: – Quale artista muore con me!» Da questi elementi narratori come Egesippo le leggende ricavarono una figura di Nerone che non vuole scendere a nascondersi nei sotterranei per non morire sepolto vivo, o che da solo scava la terra per salvare il proprio corpo dalle ingiurie degli uomini e delle belve. Tutto inutile perché il Patriarca Neceforo, nella sua Chronographia, lo fa morire proprio sepolti vivo.

Svetonio afferma che «Con lui si spense tutta la famiglia di Augusto» e le leggende e le Passiones descrivono il suicidio di Nerone come un eccidio generale intorno alla sua fossa di tutti i suoi parenti larghi e stretti che lo seguono nell’insano gesto.

Non poteva mancare il veleno per colui che se ne servì largamente, insieme ad altri mezzi altrettanto sbrigativi, contro il padre adottivo Claudio, contro il suo rivale al trono, e tanti altri. Sincello narra che Nerone, scoperta una congiura contro di lui e non potendo soffocarla, fuggì in Grecia e fu ucciso ad Argo dove i sacerdoti gli propinarono il veleno.

Nelle versioni cristiane del mito è consistente la presenza del Diavolo, col quale il persecutore dei seguaci di Gesù era in rapporti stretti fin dalla giovane età. Un tardo mistero francese del Quattrocento, uno di quei testi che per la presenza dei diavoli si dicevano diavolerie, riprende questo tema e ne descrive il suicidio con una grande invocazione dei demoni, che vengano ad assistere il loro seguace che si accinge a piombare con loro nell’inferno. I diavoli arrivano e Nerone si consegna a loro anima e corpo con giuramento per tutta l’eternità.

Nel Kaisechronik il tema si arricchisce di malattie dolorose: prima una bella gotta che lo tormenta notte e giorno, poi la lebbra, che non è di poco incomodo e infine una paralisi che lo immobilizza. Allora, sempre ossessionato dall’eventualità che del suo corpo venga fatto scempio, chiama tutti i dignitari e le autorità dell’Impero e fa loro prestare giuramento che la sua spoglia sarà sepolta, quindi scaglia maledizioni, punizioni tremende e vendette contro chi non eseguirà i suoi ordini. Ma nel frattempo il popolo romano si solleva, circonda la reggia e vuole portare l’Imperatore in piazza, giudicarlo e punirlo. A questo punto Nerone invoca i diavoli: uno nugolo di uccellacci neri entra dalle finestre invadendo il palazzo e in mezzo a un fumo nero fittissimo prendono Nerone e lo portano direttamente all’inferno, dove sta ancora. Cosa assai notevole è che anche nelle nostre leggende ricorre il tema di Nerone che vola sulle montagne, nei luoghi orridi e deserti, o transita nell’aria portato dai diavoli.

Variazioni sul temaLa storia più mirabolante è la mitica gravidanza di Nerone: a causa delle sue intemperanze e i disordini ai quali si era abbandonato Nerone si trovò il ventre sempre più gonfio, simile a quello di una donna incinta. Venute delle terribili doglie dovette chiedere ai chirurghi che gli aprissero il ventre e, quando i medici eseguirono l’operazione, non trovarono nulla e il malato morì. Le cose però nelle leggende si complicano sempre e nel Polychronicon Ranulfo Higden spiega che in gioventù il dissoluto Nerone aveva chiesto ai medici di poter concepire e questi, tra gli altri specifici gli avevano fatto inghiottire un rospo e secondo alcuni fu proprio questo mostro che venne fuori dalle sue viscere. Secondo altri lo vomitò e per lungo tempo lo curò e allevò come un figlio.

Il repertorio potrebbe essere l’argomento d’una lunga veglia, perché altre leggende riguardano la tomba di Nerone, il suo soggiorno all’inferno e le sue apparizioni, l’ultima delle quali avverrà insieme all’Anticristo, suo degno compare, come gli ha predetto l’amico Simon Mago. E poi l’albero, il pozzo di Nerone, le collusioni con Pilato e con Giuda: se non è stato un artista nella vita, Nerone lo è stato certamente nella morte, ucciso un’infinità di volte e molte in modo originalissimo.

Rimane inoltre il campione dei tiranni e con i massimi condivide l’esecrazione, la fine ingloriosa e maledetta, le condanne, la persecuzione oltre le ceneri. Con tutto ciò, appena si rende libero un posto di dittatore o tiranno frotte di gente corrono e si scannano per occuparlo, come nugoli di mosche su un barattolo di miele, o qualcosa di peggio. Magari per un posto di comando, ma anche per un posticino di capufficio.

Il mostro di TitoSi narra che Tito, imperatore romano, andasse orgoglioso d’avere distrutto Gerusalemme come se fosse più potente del dio degli ebrei che non era riuscito a resistere al suo esercito. Una notte, dopo che in un convito aveva ripetuto queste sue vanterie, rimasto solo nella sala, dopo aver vuotato un calice di vino sentì uscire da questo una voce che fece tremare le stoviglie dei tavoli: – Tito, poiché sfidasti il dio più grande, sarai distrutto dalla creatura più piccola! Un moscerino di lì a poco, entratogli in un orecchio, gli salì fin dentro il cervello e lì si insediò cominciando a divorarglielo senza posa. Non ci fu medico, mago, stregone, sacerdote che lo potesse guarire. Per sette anni l’imperatore dovette soffrire pene orribili che nessuna medicina riuscì ad alleviare. Quando alla morte gli fu aperta la testa si trovò dentro il moscerino che era cresciuto come un piccione e aveva le zampe con gli artigli di ferro e il becco di rame. La Corona di NeroneMentre il Diavolo portava a volo nell’inferno l’anima di Nerone, passando sopra la terra di Podenzana, cadde dalla testa dell’imperatore la corona d’oro. Era di notte e un boscaiolo si trovava vicino alla carbonaia ad impastare la sua polenta, quando la corona gli piombò dentro il paiolo. L’uomo lavò la corona e per la paura la nascose in una vecchia pentola, la chiuse bene con l’argilla, la mise tra le rocce della montagna e, siccome sapeva qualcosa di magia, fece uno scongiuro: Chi troverà questa coronase parla o se ride o se piangenon abbia che cenere, cenere e cenere.In punto di morte, lo disse ai figli che lo assistevano intorno al letto e capirono che si trattava della corona di Nerone, che nessuno aveva ritrovato dopo la sua morte. Cominciò a Podenzana e nei dintorni la caccia alla corona di Nerone, una ricerca che durò secoli e secoli. Tanto tempo fa un cercatore, dopo aver fatto lunghe ricerche, scavò tra le rocce una buca enorme e finalmente trovò la pentola e dentro la grande corona. Subito si ricordò dello scongiuro e strinse i denti per evitare di piangere, di ridere e di dire qualcosa. Ci era riuscito quando gli venne da pensare che quel trofeo era caduto di notte in un paiolo di polenta… E giù una risata! A quel punto la corona divenne un mucchio di cenere.