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L’enciclica sulla speranza: una stella della storia

di Gaspare Muradocente di filosofia – Università Urbaniana

La Lettera Enciclica “Spe salvi”, promulgata da Benedetto XVI nella festività di Sant’Andrea apostolo, possiede una ricchezza di contenuti teologici, spirituali, scritturistici e filosofici che mostrano efficacemente, nella loro unità e capacità di illuminarsi reciprocamente, cosa significa oggi la “sapienza cristiana”.

Colpisce fin dall’inizio della Lettera che Benedetto XVI scriva che “la figura di Cristo viene interpretata sugli antichi sarcofaghi soprattutto mediante due immagini: quella del filosofo e quella del pastore”. Ecco allora perché diviene possibile una lettura “filosofica” dell’Enciclica. Come un vero filosofo, Cristo ci si presenta nelle antiche raffigurazioni come un viandante che porta in mano un bastone, ma un bastone che porta alla vita oltre la morte. Questo vuole dirci Benedetto XVI: anche oggi Cristo è il vero “filosofo”, che si fa viandante e compagno del nostro pellegrinaggio terreno, ma per condurci alla realizzazione di quelle nostre attese e speranze che le filosofie e le culture del nostro tempo promettono invano. In Cristo, allora, la filosofia diviene speranza, anzi è la stessa speranza, che realizza in noi la sostanza di ciò che crediamo e attendiamo.

Benedetto XVI si rende conto che nel contesto dell’odierna cultura la parola “Eterno suscita in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura”; ma ci assicura che se usciamo dalla nozione di temporalità in cui siamo culturalmente immersi, possiamo intuire l’eternità non come un susseguirsi di giorni, ma come la piena realizzazione di tutto il nostro essere, “come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più”. L’eternità non ha a che fare con il tempo dei filosofi, ma è l’essere pienamente in Cristo, speranza nostra. Ma la cultura filosofica moderna ha elevato seri ostacoli alla visione della speranza cristiana.

Il serrato confronto che Benedetto XVI conduce con la filosofia moderna e contemporanea sembra teso soprattutto a distinguere e separare il significato autentico di “speranza” cristiana dalla declinazione della speranza operata dalla filosofia moderna, che ha espresso sovente questo significato con il termine “utopia”. La prima “utopia” cui ha soggiaciuto il pensiero moderno è quella di Francesco Bacone, che assegna alla scienza e non alla fede la missione di liberare l’uomo. L’ideologia illuministica del “progresso” ha fatto sperare all’umanità, divenuta finalmente libera, un regno della libertà e della ragione; la Rivoluzione francese e poi il marxismo sono state le espressioni storiche di questo pensiero utopico, fondato sull’idea di un “perfettismo” da conseguire con le sole forze dell’uomo. Dal pensiero utopico agli inferni dei Gulag staliniani e dei lager nazisti, il passo è breve. E il confronto che Benedetto XVI fa con il pensiero dei rappresentanti della Scuola di Francoforte, Adorno ed Horkheimer, sembra assumere il significato di una attenta recezione delle tematiche più avanzate della filosofia contemporanea al fine di consolidare una critica severa nei confronti dell'”utopia”.

E poi il riferimento a Kant, ancora una volta, dopo Wojtyla, reinterpretato in senso utile alla fede. La ragione moderna, che ha voluto stabilire sulla terra un regno perfetto dell’uomo senza Dio, “si risolve inevitabilmente nella fine perversa di tutte le cose descritta da Kant”. Kant si arresta sulla soglia che Benedetto XVI valica affermando che “chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12). La vera, grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora sino alla fine, fino al pieno compimento (cfr Gv 13,1 e 19, 30)”.Benedetto XVI afferma, allora, con forza che così come non dobbiamo trasformare la “speranza” in “utopia”, altrettanto siamo impediti, nonostante le numerose tentazioni in contrario, di trasformare la “fede” in “ideologia”, ovvero in progetto storico che può avere successo sull’immanente, ma ci chiude alla “speranza”. Come l'”utopia”, infatti, anche la concezione “ideologica” del cristianesimo è foriera di intolleranza, di violenza, di autoritarismo. Non a caso Benedetto XVI conclude la sua Enciclica con il tema, scabroso e controverso, della “sofferenza di Dio”. Citando San Bernardo scrive: “ Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis“. Ovvero “Dio, che non può soffrire come Dio, tuttavia compatisce”: “L’uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l’uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio , la consolazione dell’amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza”. Il Dio che “soffre con noi” (Raissa Maritain) è la stella della speranza cristiana.