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L’Europa secondo Juncker: lavoro, sicurezza e solidarietà. «Non saremo una fortezza»

Chi si aspettava un intervento ispirato che passasse alla storia è rimasto deluso: Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, nel suo Discorso sullo stato dell’Unione pronunciato questa mattina nell’emiciclo di Strasburgo, ha mantenuto un profilo basso. «La Commissione attuale – ha subito affermato – è un episodio nella lunga storia dell’Ue». Per questo spiega che non traccerà un bilancio di quanto finora realizzato, anche perché «il lavoro deve continuare per fare di una Ue imperfetta una Unione ogni giorno più perfetta». A un documento a parte affida una precisa agenda degli impegni politici e legislativi da ora al prossimo anno. In emiciclo invece afferma: «Uniti siamo più forti, questa è l’essenza dell’Unione europea» e fa suo il motto «modestia e lavoro».

Un lungo elenco. Il Discorso sullo stato dell’Unione affronta i problemi sul tavolo. Il presidente della Commissione sottolinea alcune priorità in ambito economico e commerciale, nei settori della difesa, delle migrazioni e dell’energia, per la protezione delle frontiere, per la lotta al terrorismo, per lo sviluppo dell’Africa. La crisi economica, arrivata 10 anni fa dagli Usa, è superata, ma è necessario – dice – rafforzare l’occupazione e il pilastro sociale dell’Unione. Ribadisce l’impegno per l’adesione dei Balcani, fa accenno alla politica protezionistica degli Usa, segnala il nodo – umano, geopolitico e militare – della Siria e di altre regioni instabili nel mondo. Sulle migrazioni chiede impegni comuni e ribadisce: «Io sono e resto contrario alle frontiere interne, dove sono state create vanno eliminate. Altrimenti questo sarebbe un regresso dell’essere e del divenire europei». «L’Europa deve rimanere un continente di apertura e tolleranza, non sarà mai una fortezza in un mondo che soffre, non sarà mai un’isola, resterà multilaterale».

Non solo «frontiere». Le migrazioni sono ovviamente «il» tema di questa fase della storia comunitaria: «Non è possibile che ogni volta che arriva un’imbarcazione si cerchi una soluzione ad hoc», per cui ci vogliono regole certe e una solidarietà effettiva e duratura. «Oggi presentiamo una proposta per il rafforzamento della guardia frontiera e guardacoste europee, con l’intento di aumentare i funzionari entro il 2020 per arrivare a 10mila unità». Quindi una proposta per «creare un’agenzia europea per l’asilo perché gli Stati membri hanno bisogno di maggiore sostegno nel trattare le richieste». Avanti anche con le iniziative per i rimpatri, ma al contempo occorre a suo avviso «aprire vie di immigrazione legale verso l’Europa; abbiamo bisogno di migranti qualificati».

«Veleno pericoloso». In effetti la Commissione Juncker, che non sempre ha brillato per capacità propositiva, ha messo sul tavolo diversi pacchetti legislativi e ha chiesto un bilancio ambizioso, ma gli Stati membri, rappresentati nel Consiglio, stanno frenando quasi ogni proposta perché in disaccordo tra loro. Il caso tipico è quello delle migrazioni, ma lo stesso si potrebbe dire del bilancio Ue, dell’Unione economica e monetaria, dell’Unione bancaria, dell’Unione dell’energia. Persino sulla difesa comune c’è chi, tra i governi, tira il freno a mano. Prevalgono gli interessi (e gli egoismi) nazionali e le risposte comuni alle sfide che toccano tutta l’Europa si fanno attendere. «Alle elezioni europee del 2019 – afferma, applaudito da metà dell’aula – vorrei che dicessimo no al nazionalismo malsano e sì al patriottismo illuminato», perché, spiega, «il patriottismo è una virtù mentre il nazionalismo è un veleno pericoloso».

Economia, lavoro, Grecia… Durante l’intervento, Juncker ricorda che l’Unione «ha voltato pagina» dopo la crisi economica: la crescita dura da 21 trimestri e sono stati creati quasi 12 milioni di posti di lavoro dal 2014». La disoccupazione giovanile è del 14,8%, «pur sempre troppo elevata – puntualizza – ma ai minimi dal 2000». E il cosiddetto Piano Juncker a sostegno dei settori produttivi ha generato investimenti per 335 miliardi. Non manca un richiamo alla Grecia che, «dopo anni dolorosi, e con la solidarietà Ue, si è rimessa in piedi. Rendo omaggio agli sforzi immani resi dal popolo greco». Tra gli impegni da affrontare nei prossimi mesi, ed entro il summit di Sibiu del 9 maggio 2019, che chiuderà i conti della legislatura prima del voto del 23-26 maggio, compaiono il commercio estero (ad esempio l’accordo con il Giappone), i cambiamenti climatici, la politica spaziale e il sistema Galileo.

…e l’ora legale. «L’Europa deve prendere in mano il suo destino», afferma Juncker nel capitolo della politica estera, «diventando un attore sovrano nelle relazioni internazionali. Sovranità che – specifica – le deriva dalle sovranità nazionali degli Stati membri. Uniti siamo più forti, questa è l’essenza dell’Unione europea». Nei 250 giorni che «ci separano dalle elezioni» occorrerà «dimostrare ai cittadini ciò che facciamo per loro, creando risultati concreti, e che rispettiamo gli impegni». L’abolizione della plastica monouso e quella dell’ora legale sono due capitoletti che non vuole far passare inosservati: sono questioni minime, rispetto a quelle che l’Ue ha di fronte, ma Juncker evidentemente ci tiene a parlarne, forse perché a loro modo simboliche. «Gli europei nel 2019 non ci applaudiranno se due volte l’anno dobbiamo cambiare l’ora». Lo spostamento delle lancette «deve essere eliminato. Gli Stati membri devono decidere loro stessi se i rispettivi cittadini devono vivere con l’ora legale o l’ora solare».

Africa, Regno Unito e  Brexit. «L’Africa non ha bisogno di carità, ma di un partenariato orientato allo sviluppo, con impegni reciproci. Un’alleanza per investimenti e posti di lavoro»: fino a 10 milioni nei prossimi 5 anni, prevede Juncker. E sul Brexit: «Rispettiamo la decisione» dei britannici, «ma la deploriamo profondamente». Puntualizza che il Regno Unito non potrà pretendere di avere gli stessi trattamenti e vantaggi di un Paese membro; che l’Ue si batterà per evitare «un nuovo confine fisico» tra le due Irlanda; però «dopo il 29 marzo 2019», una volta che il Brexit sarà effettivo, «il Regno Unito non sarà mai un Paese terzo ordinario per noi, sarà sempre un partner molto vicino» all’Unione europea. Infine una chiusura ad effetto: «Sì, amo l’Europa e continuerò a farlo».

*inviato Sir