Italia

Libia: Sant’Egidio e Chiese protestanti a Conte, «corridoio umanitario europeo per 50.000 profughi»

Per conoscenza la lettera è stata inviata anche alla viceministra per gli Affari Esteri e la Cooperazione Emanuela Del Re e al sottosegretario Andrea Molteni presso il ministero dell’Interno.

Il meccanismo proposto è analogo a quello adottato per i «corridoi umanitari» che si stanno realizzando sulla base di un protocollo tra la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Comunità di Sant’Egidio, la Tavola valdese e i ministeri dell’Interno e degli Esteri, sottoscritto per la prima volta nel 2015 e rinnovato nel 2017. Grazie a questo accordo, che prevede il rilascio di «visti umanitari» ai sensi dell’art. 25 del Trattato sui visti di Schengen, sono giunti in Italia oltre 1.600 richiedenti asilo, in massima parte siriani, provenienti dal Libano. I ministeri competenti hanno sottoscritto un accordo analogo anche con la Comunità di Sant’Egidio e la Conferenza episcopale italiana per un altro contingente di 500 profughi provenienti dall’Etiopia. Sull’onda della «buona pratica» realizzata in Italia, sono stati aperti corridoi umanitari anche in Francia, in Belgio e Andorra per un totale di quasi 2.500 arrivi finora in Europa.

«La nostra proposta nasce da questa esperienza realizzata sul campo – spiegano Negro e Impagliazzo – e ha come obiettivo l’arrivo in Europa di 50.000 profughi in due anni ripartiti tra i Paesi che intendano dare concreta attuazione ai loro impegni internazionali in materia di asilo e di diritti umani. L’Italia dovrebbe fare da capofila di questo programma, aprendo un altro corridoio dalla Libia, per almeno 2.500 persone all’anno».

Le due realtà hanno già avviato rapporti con Terres des Hommes e altre Ong che operano in Libia per dare concreta attuazione a questo progetto che parte dall’Italia ma che si rivolge ai Paesi e alle istituzioni europee. «Di fronte alle notizie che arrivano dalla Libia, con migliaia di profughi esposti non solo a ricatti, violenze e torture ma anche alla violenza degli scontri militari, non possiamo rimanere fermi a guardare», affermano.