Cultura & Società

L’Immacolata, dogma anticipato dal Tiepolo

di Timothy Verdon

La solennità liturgica dell’Immacolata Concezione di Maria, celebrata l’8 dicembre, non fa parte dell’anno liturgico conclusosi alla fine di novembre ma costituisce la prima festa del nuovo ciclo avviato con l’inizio dell’Avvento. Guarda infatti al Natale, anche se da molto lontano, meditando il misterioso piano di Dio per cui sin dal suo concepimento Maria fu preservata dal peccato per essere una degna dimora per il Figlio  di Dio.

La prima lettura della Messa della solennità dell’Immacolata ricorda l’inimicizia posta da Dio tra il serpente e la donna già all’inizio della storia umana nonché la promessa che questa avrebbe schiacciato la testa al serpente (Gn3,15), mentre la seconda suggerisce il significato universale del privilegio di Maria, affermando che Dio «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno di amore della sua volontà» (Ef1,4-6a). Il vangelo infine – la pagina lucana narrante l’Annunciazione – rammenta il saluto dell’angelo in cui Maria viene definita «piena di grazia», e l’affermazione che «colui che nascerà sarà santo» (Lc1,28.35) – l’una e l’altra cosa possibile perché (come chiarisce il prefazio di questa festa) Dio aveva preservato Maria da ogni macchia di peccato perché diventasse degna madre del suo Figlio. L’opera che riproduciamo qui sopra evoca questi temi. È la Immacolata di Gianbattista Tiepolo, eseguita tra il 1732-1734 per la chiesa francescana di Vicenza e passata alla collezione civica vicentina nel 1854, lo stesso anno in cui papa san Pio IX finalmente definì la Concezione di Maria Vergine libera da ogni macchia di peccato originale come dogma di fede.

L’origine francescana dell’opera è significativa perché erano stati soprattutto i seguaci del Poverello a promuovere, nell’ambito della Contro-riforma (ma anche prima), questo dogma; nel 1621 l’ordine francescano addirittura s’impegnò con solenne giuramento di sostenere l’Immacolata Concezione di Maria come dogma di fede. Il dipinto commissionato al Tiepolo nel quarto decennio del XVIII secolo appartiene ancora a questo clima di dibattito, e celebra la vittoria della posizione francescana con la decisione di Clemente XI, nel 1708, di estendere alla Chiesa universale la celebrazione dell’Immacolata come festa di precetto.

Tiepolo raffigura Maria come orante – con le mani giunte in atteggiamento di preghiera – perché Dio l’ha predestinata «avvocata di grazia e modello di santità» per il suo popolo (come afferma l’odierno prefazio). È poi bella, in un abito bianco ricoperto del manto blu, perché figura della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga (come recita ancora il prefazio della festa, echeggiando la lettera agli Efesini): il bianco dell’abito allude alla purezza umana, il blu all’elezione celeste che avvolge e sublima ciò che è solo umano. Nell’odierno vangelo sentiamo infatti come Maria abbia trovato grazia presso Dio ed era perciò – oltre ogni possibilità meramente naturale – «piena di grazia».

L’Immacolata di Tiepolo ha la testa in cielo, un cielo di luce, perché Maria è quella che l’Autore dell’Apocalisse vide quando si aprì il santuario di Dio ed apparve l’arca dell’alleanza: è lei il segno grandioso, la donna vestita di sole con sul capo una corona di dodici stelle: dodici, il numero dei figli di Giacobbe e degli apostoli, delle tribù d’Israele e delle chiese – Maria cioè è colei in cui vengono sommati tutti i tentativi di radunare il popolo di Dio, è la «vergine figlia di Sion», è la «domina Ecclesia». Così, sebbene abbia la testa in cielo, suo sguardo è invece rivolto alla terra, perché il significato ultimo del suo privilegio unico riguarda noi. A partire da nostra sorella Maria, il Padre in Cristo ci ha scelti tutti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere i suoi figli adottivi per opera del Figlio di Maria, Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà (sono le parole della lettera agli Efesini usate come seconda lettura della festa).

Un altro particolare può rafforzare queste osservazioni. Maria è il segno grandioso, la donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi, dice sempre l’Apocalisse, ed ecco la luna sotto Maria e sotto il globo terracqueo su cui poggiano i piedi di Maria (perché, per mezzo di Maria, in Cristo Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati). Vestita di sole, Maria è avvolta da Colui che è Sol iustitiae, «sole di giustizia», Cristo, perché preventivamente giustificata dai meriti della futura passione di Lui; ha sotto i piedi la luna perché, mentre il sole brilla di fulgore proprio ininterrotto, la luce riflessa della luna cresce e decresce, simbolo della natura umana soggetta al peccato che in Maria per prima viene rivestita dal sole divino. Sotto i piedi di Maria poi vediamo anche, e grande, il serpente che – come ci ricorda la prima lettura della festa – aveva ingannato un’altra donna, Eva, così che essa mangiò il frutto dell’albero. Maria è la nuova Eva, colei del quale Dio intimò al serpente: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Ma ecco, prima ancora della creazione del mondo, prima dell’altra Eva, prima del serpente, prima del peccato, nel cuore di Dio si concepisce un piano e contemporaneamente si concepisce una persona, una donna senza macchia, libera, capace di dire di sì al piano, Maria immacolata: è l’inizio della nostra storia di salvezza.

Abbiniamo poi al capolavoro settecentesco un’opera del XXI secolo, un dipinto contemporaneo intitolato 8 dicembre (qui a sinistra), opera di Filippo Rossi, uno degli artisti chiamati all’incontro nella Sistina lo scorso 21 novembre. Realizzata come meditazione pittorica nel giorno stesso dell’Immacolata nel 2006, l’opera di Rossi vuole «far vedere» il misterioso contenuto della festa: la base su cui si poggia tutto il dipinto è composta da carta frammentata e raggrumata, segno dell’umanità fragile, incline al peccato. Su questa base di debolezza si stacca però un velo bianco, ineffabile e rarefatto, simbolo di una natura «Altra» che si eleva per l’intera altezza del quadro, segno dell’elezione divina di questa donna a modello perfetto per l’umana creatura. Al di là dell’elezione iniziale – la «predestinazione» – di Maria, vi è anche il momento della personale accettazione della sua vocazione, quando al saluto angelico Ave, gratia plena Maria dice di sì: questa viene simboleggiata nel dipinto dalla linea a foglia d’oro che scende dall’alto, da Dio, che l’ha prescelta per la sua umiltà a sua dimora terrena.

Infatti il segno che la vicenda di Maria offre all’umanità è quello di una perfetta unione dell’essere umano con Dio. La sua preservazione dal peccato era in funzione di una libertà interiore così totale da permetterle di dire di sì all’angelo, accogliendo la vita di Dio in sé. In Maria prima e più che in altri venne adempiuta la promessa di Dio, «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo» (Gl3,1), perché già nella sua Concezione, poi all’Annunciazione e infine alla Pentecoste Maria fu purificata, colmata ed animata dallo Spirito Santo.