Lettere in redazione

L’integrazione dei rom e il rispetto delle regole

Prima di tutto complimenti per il giornale: quando lo leggo mi sento a casa mia, condivido idee e ideali! Però con l’esperienza dei miei 53 anni comincio a vedere alcune cose con occhi un po’diversi, ad avere dei dubbi sul modo di aiutare le persone bisognose e tra queste i Rom.

Il nostro modo di intervenire nei loro confronti è doveroso: gli offriamo case, scuole per i loro figli, denaro eccetera. Il tutto senza chiedere niente in cambio e questo mi sembra sbagliato. Invece dovremmo pretendere che mandino i loro bimbi a scuola, che tengano puliti e ordinati i luoghi in cui vivono e che rispettino le leggi del viver comune perché solo così si può realizzare una vera integrazione e viver nel rispetto reciproco. Dovremmo gradualmente portarli ad essere autonomi, insegnar loro vari mestieri che potrebbero svolgere nelle nostre città.

Un famoso detto che ho sentito ripetere in ambito missionario diceva che non basta dare pesci a chi ha fame ma bisogna anche insegnar loro a pescare. Sono madre di due figlie ormai adulte e mi chiedo : se dessi loro tutto senza richiedere alcun impegno, sarei una madre lungimirante?

Raffaella VaccaroPisa

Siamo perfettamente d’accordo. Le cito a questo riguardo il bel documento che mons. Erminio De Scalzi, vescovo ausiliare di Milano, ha presentato alla diocesi ambrosiana, lo scorso 7 ottobre, su incarico del card. Tettamanzi e dopo un’approfondita riflessione con la Caritas e con gli enti gestori dei campi rom autorizzati. Nel testo si parte dal riconoscimento delle «criticità relative alla presenza delle popolazioni rom». «Abbiamo a che fare con una cultura diversa e la loro presenza è un dato con cui fare i conti – scrive il vescovo –. I campi di grandi dimensioni, anche se regolari, non facilitano percorsi di integrazione e rischiano di essere luoghi in cui cresce l’illegalità. A maggior ragione ciò vale per gli insediamenti abusivi». Ma la Chiesa si occupa di rom perché «vuole essere presente dove è presente l’uomo, specie se segnato da povertà ed esclusione». E lo fa  con degli obiettivi precisi, che mons. De Scalzi sintetizza così: «Vogliamo favorire una pacifica convivenza tra i rom e gli altri cittadini. Vogliamo giungere all’integrazione, consapevoli che si tratta di processi lunghi e complessi. Vogliamo superare l’abitare nei campi, sia per le condizioni spesso degradate e disumanizzanti, sia perché ciò non permette l’integrazione. Condividiamo con i rom un percorso nell’educazione vicendevole a vivere nella legalità ed edificando insieme una cultura del lavoro e dell’uguaglianza tra uomini e donne».

Claudio Turrini