Cultura & Società

Lo sguardo di Dickens attraversa «Le Vie d’Europa»

di Gabriella TorriniAssociazione Diesse Firenze

A Firenze, alcuni di noi, docenti di Lettere e di Inglese di scuola media, coinvolti nell’esperienza di Diesse (Didattica e innovazione scolastica), appassionati del nostro lavoro e dei nostri ragazzi, consapevoli dell’efficacia di un certo metodo di approccio della nostra disciplina, abbiamo semplicemente pensato di rendere tutto questo fruibile da parte di colleghi che avessero lo stesso gusto di una intrapresa personale o quanto meno una domanda su come rendere più vera ed efficace la propria iniziativa.

Sono nate così «Le Vie d’Europa», il convegno annuale, giunto alla quinta edizione, destinato a docenti e studenti delle scuole secondarie di primo grado. «La vita è la più grande delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre» recita la frase presente nel sottotitolo che vuole suggerire l’atteggiamento in cui mettersi di fronte alle possibilità inesauribili che a ciascuno di noi offre la vita e, nella vita, lo studio che ne è chiave che chiude o apre, a seconda di come viene girata.

Il titolo Le Vie d’Europa, invece, è suggerito dal fatto che si è pensato di indirizzare l’attenzione verso autori della letteratura europea, poiché questo era l’interesse di noi promotori e poiché questo ci è parso un modo per allargare l’orizzonte degli studenti e dare modo di confrontarsi tra colleghi impegnati comunque a far incontrare i «maggiori» della nostra tradizione ai propri alunni.

In breve, ci è sembrato interessante occuparci ogni anno di un autore della letteratura europea (finora di quella inglese, dato che ogni classe è sicuramente implicata con la lingua anglosassone) ed invitare i colleghi a dedicare buona parte dei mesi scolastici ad un confronto con tale autore, lavorando con i propri studenti, fino alla stesura di un elaborato in lingua italiana o in lingua inglese o di tipo artistico, tenendo conto dell’importanza che ha quest’ultimo modo di esprimersi per giovani dell’età preadolescenziale.

Tale lavoro vive il suo momento conclusivo in un convegno della durata di una mattina, con tanto di relazioni di esperti, esposizione degli elaborati dei ragazzi, lettura drammatizzata di brani e/o poesie dell’autore scelto, premiazione dei vincitori del concorso annesso.

E il 24 marzo 2011, presso il Teatro Odeon in piazza Strozzi a Firenze, docenti e studenti si confronteranno su Charles Dickens («A silent look of affection and regard when all other eyes are turned coldly away», «Uno sguardo muto di amore e considerazione quando tutti gli altri occhi si volgono freddamente altrove»).

Nel giro di pochi anni l’iniziativa si è imposta a livello nazionale, triplicando in breve il numero dei partecipanti che è giunto a quasi settecentocinquanta, dai duecentocinquanta con i quali si è partiti, dimostrando che viene incontro a una esigenza degli alunni come degli insegnanti.

Proviamo a vedere in che senso, dalle reazioni che abbiamo rilevato negli alunni stessi.

Innanzi tutto è mobilitante l’ipotesi di affrontare il più completamente possibile un «autore», di fare cioè conoscenza con uno «autorevole», che può rivelarsi interessante per sé, innanzi tutto, che può avere qualcosa da suggerire per la propria vita.

Si impara, a poco a poco, che per conoscere veramente uno occorre dargli del tempo, «convivere» con lui, partendo direttamente da quanto ci ha lasciato scritto, non certo da quanto di lui hanno detto i critici: tante classi hanno cominciato il lavoro preparatorio leggendo testi dell’autore durante l’estate.

Si impara che per conoscere un altro occorre comprenderlo-ospitarlo dentro di sé, interrogandolo per quello che lui ha veramente voluto comunicare: a questo si giunge per passi, che prevedono una collaborazione, un lavoro comune e guidato, che punti ad una verifica costante tra quanto si pensa di aver compreso, quanto hanno compreso i propri compagni e il testo stesso.

Si impara che per capire un altro occorre interrogarlo, farsi raccontare da lui: per questo occorre immedesimarsi in lui, ripercorrendone tematiche e modalità di soluzioni.

Si impara che c’è un criterio per giudicare tematiche e soluzioni offerte ed è la propria esperienza, che viene così fatta emergere e paragonata.

Si impara, ancora, che c’è una misura più grande di quella che siamo soliti frequentare, che c’è un modo più maturo di affrontare la realtà e di esprimerla attraverso quella dote prettamente umana che è il linguaggio: lo si fa rielaborando, con modalità personale, temi e stile dell’autore.

Si impara, infine, a sintetizzare il sapere maturato, producendo un elaborato che tenga conto di tutte le tappe del cammino.

È dunque la possibilità di affrontare insieme un lavoro, crescendo insieme, imparando a conoscersi e a conoscere i propri compagni, comprendendo l’importanza di una compagnia all’opera a partire da una consegna data, finalizzata a uno scopo e in grado di valorizzare, durante il cammino, le doti dei singoli, sino a far maturare una competenza documentata.

Solo per gli studenti?

L’iniziativa si rivela sempre più una proposta valida anche per gli insegnanti, poiché anche a loro è richiesto impegno di studio per approfondire la conoscenza di un autore e creatività personale nell’impostare un lavoro con i propri studenti che esula dalla routine, anche se poi incide stabilmente sulla modalità con cui si imposta il lavoro scolastico, come ci viene costantemente documentato dai colleghi che aderiscono.

Viene poi facilitato un lavoro comune, anche interdisciplinare, fra gli insegnanti coinvolti, che sono praticamente quelli dell’area espressiva: linguistica ed artistica, ma anche tecnica. Innanzi tutto nel senso che più docenti hanno lo stesso scopo, lo stesso compito comune e anche nel senso che l’elaborato prodotto da uno o più gruppi di ragazzi può abbracciare più discipline; quello che nell’edizione de «Le Vie d’Europa» 2010, dedicata a Stevenson, ha meritato il primo premio di Arte era, in realtà, un’opera complessa, un libro vero e proprio: la trascrizione in termini teatrali in lingua inglese del romanzo «Lo strano caso del Dottor Jeckill e Mister Hyde», illustrata egregiamente, in modo da rendere l’atmosfera e l’ambientazione del romanzo.

È evidente che le conoscenze e le abilità insegnate sono chiamate esplicitamente a finalizzarsi ad un scopo, ad un compito unitario (secondo la migliore tradizione delle indicazioni di morattiana memoria) e che ogni docente è aiutato a concepire il proprio lavoro come un aiuto a far maturare competenze documentate e pubblicamente valutabili negli allievi.

Di non minore importanza ci sembra la possibilità di confronto tra colleghi, nei momenti preparatori al lavoro vero e proprio da svolgere in classe (momenti che vorremmo cercare di incrementare) e in sede di convegno, con la conseguente possibilità di autovalutazione.

Info: 055-7327381 segreteria@diessefirenze.org – www.diessefirenze.org

Uno scrittore «classico» a tu per  tu con i suoi rinnovati lettori

Charles Dickens nasce nel 1812 nel sud dell’Inghilterra da dove si sposta con tutta la famiglia per trasferirsi a Londra. All’età di dodici anni viene mandato a lavorare in una fabbrica per dodici ore al giorno. Della sua istruzione, fino a quel momento alquanto limitata, si preoccuperà personalmente il padrone della fabbrica. La situazione finanziaria del padre è critica e viene imprigionato a causa dei debiti contratti. Tutta la famiglia, escluso Charles, lo segue in carcere come permetteva la legge del tempo. Quando la nonna muore lascia alla famiglia una piccola somma di denaro che li aiuta a saldare i debiti e li fa uscire dalla prigione. Dopo aver completato gli studi, nel 1827 comincia a lavorare prima come impiegato presso un avvocato e poi come giornalista indipendente; scrive anche per vari giornali in forma anonima adottando lo pseudonimo di Boz. Nel 1836 sposa Catherine Hogarth dalla quale avrà dieci figli, ma la coppia si separa nel 1858. Il successo dei suoi primi lavori lo induce a pubblicare a episodi i suoi primi romanzi da allora in poi col nome di Charles Dickens. Da questo momento produrrà lavori senza interruzione fino alla morte facendo anche letture pubbliche delle sue opere non solo in Inghilterra ma anche in America. Si ammala dopo aver soggiornato per qualche tempo negli USA e muore nel 1870.

Uno dei più prolifici autori della letteratura inglese, Charles Dickens ha scritto capolavori che sono stati riadattati per il teatro il cinema la televisione e la radio. Alcuni critici ritengono che la vita degli scrittori non abbia importanza per capirne e apprezzarne la scrittura. Nel caso di Charles Dickens non è così. Non si può capire la forza dei suoi libri se non si conoscono almeno alcuni fatti della sua biografia.

L’esperienza di povertà da lui vissuta durante l’infanzia ha profondamente influenzato la sua persona e la sua opera e gli ha dato una grande sensibilità verso il suo tempo, gli ha fornito inoltre una più profonda conoscenza degli altri, del lato più oscuro del periodo vittoriano che lui ha trasformato in materiale per le sue opere, producendo personaggi indimenticabili e situazioni che mettono in evidenza la disumanità dei suoi giorni. Tuttavia, nonostante la sua profonda critica sociale, Dickens non intese mai proporre cambiamenti rivoluzionari poiché egli fu, dopotutto, un vero vittoriano.

Senza conoscere la sua biografia non si capirebbe neppure la ragione profonda dei moltissimi suoi romanzi sui bambini rifiutati, o nati in famiglie dalle condizioni sociali difficilissime, o trasportati in tali condizioni da una sorte avversa: da Oliver Twist ai personaggi di The Old Curiosity Shop, Kit Nubbles e la piccola Nell; da Barnaby Rudge a Nicholas Nickleby, da Martin Chuzzlewit a Florence Dombey di Dombey and Son. Tanta abbondanza di personaggi bambini ha permesso, tra l’altro, di fare infinite riduzioni per l’infanzia di tanti di questi libri: ma Dickens non è uno scrittore per bambini. È uno scrittore che vuole bene al mondo in generale, e a quello dei suoi personaggi in particolare; la sua forza sono il candore e un ottimismo da cui deriva un’inguaribile fede nella possibilità di un epilogo positivo in ogni vicenda umana. Ha fiducia nella libertà personale. Nella sua opera emergono incontri e fatti che permettono ai suoi personaggi un riscatto sia morale che sociale. Ci sono sempre persone o momenti di persone che permettono un cambiamento. Nella società vittoriana dove prevale l’esperienza di spersonalizzazione dovuta alla filosofia positivista e alla riduzione deterministica dell’uomo, Dickens scommette sulla libertà dell’umano.

I romanzi e i racconti di Dickens sono pieni di pathos, di sentimento e di drammaticità. Il suo umorismo acuto, i dialoghi brillanti e la vasta schiera dei personaggi dei sui romanzi rappresentano quasi tutte le caratteristiche dell’umano ed è questo che attrae ancora il lettore oggi. Dickens è stato inoltre il primo romanziere a comprendere la poesia d’una grande e sinistra metropoli moderna; certe sue descrizioni dei quartieri poveri di Londra, sembrano fatte con una tavolozza carica di colori. Come scrittore Dickens sfruttò i media del tempo pubblicando la maggior parte delle sue opere a puntate. Le famiglie si riunivano insieme la sera per leggere gli ultimi episodi delle sue storie e discutere il possibile epilogo degli eventi prima della puntata  successiva. Questo rese le sue opere uno strumento potenzialmente potente per individuare eventuali cambiamenti sociali e politici. La frase scelta come titolo per la quinta edizione de Le vie d’Europa focalizza l’attenzione sullo «sguardo». Quale sguardo i protagonisti di Dickens portano sulla realtà, su se stessi, sugli altri? Da che cosa muove il cambiamento di alcuni di loro? Sono le «buone opere» che li cambiano oppure essi cominciano ad essere caritatevoli perché sono cambiati, perché hanno recuperato su di sé un modo di guardarsi che era andato perduto? E chi da sempre «è buono» in che cosa racchiude questa sua caratteristica? Il lavoro degli studenti e dei loro insegnanti è una sfida a rispondere a queste domande in un confronto serrato tra l’umanità dello scrittore e quella dei suoi rinnovati lettori.