Cultura & Società

L’odissea di Amerigo Vespucci

di Carlo Lapucci

Ormai la prima nozione legata al nome di Amerigo Vespucci è quella che lo definisce come colui che ha defraudato Cristoforo Colombo dando il proprio nome al Nuovo Continente, gloria che sarebbe spettata giustamente allo scopritore. Certi luoghi comuni sembrano nati da situazioni che costringono la mente a pensare solo in un certo modo e sono inestirpabili anche dalla verità più evidente. Ricordo che la fantasia popolare ai tempi dei tempi voleva che Bartali e Coppi fossero nemici e si odiassero, mentre erano amicissimi: era l’antipatia naturale e reciproca tra bartaliani e coppiani che non poteva ammettere tra i loro idoli un rapporto leale, amichevole e sportivo quale esisteva tra i due campioni. Più volte Bartali, sopravvissuto all’amico, ha continuato a sfatare il pregiudizio: tutto inutile.

Non crediamo che sia proprio il prossimo cinquecentenario della morte del grande navigatore che avvenne il 22 febbraio 1512 a cambiare l’idea generale che Amerigo Vespucci sia stato solo un furbo mistificatore il quale riuscì ad appropriarsi della gloria di quella che è stata forse la più importante scoperta di tutti i tempi, alle spese dell’ingenuo Colombo, tuttavia gioverà rendere a ciascuno il suo e chiarire, oltre ai meriti del grande fiorentino, il fatto che l’attribuzione del suo nome al Nuovo Continente avvenne a sua insaputa e senza che facesse nulla per attribuirsi questo onore.

Infatti il nome alla nuova terra fu dato da altri e proviene da un opuscolo del 1499 dove il navigatore descrisse il suo primo viaggio: una lettera all’amico Vettori che fu stampata in forma di relazione a Saint Dié nel 1507 col titolo Mundus Novus Americi Vespucci. Vi si descrive il viaggio compiuto nel 1501-1502 a servizio del Re del Portogallo, asserendo che si trattava il terzo viaggio dopo altri due compiuti al servizio del Re di Castiglia.

Per la novità e l’interesse delle notizie che vi si trovano il Mundus novus ebbe una risonanza vastissima e in pochi mesi venne ristampato a Strasburgo, Milano, Roma, Anversa, Colonia, Rostock, Norimberga, Augusta, fu volgarizzato dal cosmografo Alessandro Zorzi e si diffuse in ogni parte d’Europa, tanto che in mezzo secolo ebbe almeno cinquanta edizioni. L’originale in latino è perduto e le prime edizioni, sempre in latino, presentano spesso discordanze e imprecisioni.

La storia del nomeIl governatore del principato di Saint Dié, che si trova nei Vosgi, nella Francia orientale a 800 chilometri dal mare, in quel tempo era Renato II, duca di Lorena, grande mecenate e amante della cosmografia. Questi progettò con gli accademici di corte, principalmente Martin Waldseemül-ler con l’aiuto di Ringmann, di fare una nuova edizione aggiornata della Geografia di Tolomeo. Apparve così nel 1507 la Cosmographie Introductio accompagnata da una mappa dal titolo: Universalis cosmographia secundum Pthloloemaei traditionem et Americi Vespucii aliorumque lustrationes: vi campeggiavano le immagini di Tolomeo e Amerigo Vespucci quali descrittori del globo, in quanto gli autori si erano giovati dell’opuscolo scritto dal toscano.

A questa mappa seguì una stampa segmentata della Terra a spicchi che potevano essere incollati su una sfera in modo da ottenere un mappamondo (e questo fu il primo ad essere stampato) dove col nome America s’indicava l’America meridionale. Seguirono altre versioni realizzate in altri istituti e nel 1513-15 apparve il Globo verde, un mappamondo di legno dipinto che si conserva ancora alla Biblioteca Nazionale di Parigi, dove il nome America appare sia sulla parte meridionale che su quella settentrionale del continente. Amerigo, lontano o già morto, non aveva mosso un dito.

L’invidia, di cui fu oggetto ben presto il navigatore, si diffuse rapidamente e molti cominciarono a chiedere giustizia mascherandosi da difensori di Colombo contro un supposto torto da questi subito. La terra scoperta si doveva chiamare Colombia ma il nome non ebbe successo. Fu proposto il termine Fer-Isabellica, in onore dei protettori di Colombo: Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. In onore di Carlo V si pensò di chiamarla Orbis Carolinas; Cabozia e Sebastiania in onore di Caboto; Ganoviana o Odenosaunia ricordando la Long-House americana, quindi Alleghania e anche Ofira, dal nome della regione lontana e sconosciuta, mai individuata con precisione, da cui la Bibbia dice che Salomone traeva oro, metalli preziosi, gemme, legnami rari per la costruzione del Tempio di Gerusalemme e dei suoi palazzi, che si diceva in India, in Arabia o in Etiopia. Ma il nome America rimase.

I meriti del navigatoreAmerigo non era nato per il mare, poco seppe in gioventù di navigazione e di venti di cui ebbe notizia interessandosi del commercio, attraverso il quale arrivò sul ponte di comando di una nave. Non era propriamente un marinaio e, venendo da un altro mondo, tardi e per vie indirette, non piaceva agli uomini di mare. Tuttavia era un uomo di grande intelligenza e di notevoli intuizioni che fece un uso di nuovi strumenti di navigazione che gli altri non seppero fare. Anche Colombo si fidò più delle stelle che del sestante, ma ebbe a suo modo ragione.

Il grande merito di Amerigo fu quello di intuire per primo e a suo modo dimostrare l’indipendenza dell’America dall’Asia: Colombo credé d’essere arrivato nelle Indie, nel Cipango, nel Giappone, quindi in una terra già conosciuta. Vespucci, estendendo la sua navigazione e costeggiando la terraferma in profondità nella zona meridionale, capì che si trattava di un nuovo continente di dimensioni smisurate che non aveva relazione con l’Asia ed era incognito ai navigatori e ai cosmografi europei.

Per comprendere la qualità della ricognizione di Vespucci basta pensare che egli navigò tra latitudini distanti circa 85°, vale a dire quasi 10.000 km, mentre Colombo esplorò terre comprese tra 10° e 11° di latitudine: tra i 1000 e 1200 km e Caboto in quel periodo non andò oltre i 10° e 15° di latitudine: al massimo 1500 km. L’entità della rilevazione immensamente superiore offrì la certezza del fatto che si trattava d’un nuovo continente e non poteva per ragioni di distanze e conformazioni trattarsi dell’Asia.

A questo si aggiunge anche che Colombo pensò di navigare su un globo di dimensioni inferiori del 25% della misura reale per cui poteva anche illudersi d’essere arrivato in Asia.

Quindi Amerigo chiamò Mundus Novus le terre che visitò ed ebbe certezza, per l’estensione e per altri elementi, che si trattava di un mondo finora del tutto ignoto.

In questo il coraggio che Colombo aveva mostrato solcando per primo le onde sconosciute, Vespucci lo fece vedere sul piano intellettuale, sfidando da solo e con argomenti validi un problema di estrema importanza per le sue implicazioni di diversa natura: i religiosi dovevano fare i conti con popoli che non sapevano nulla della Redenzione; i geografi per secoli erano stati sicuri che sotto un certo livello della zona torrida le terre fossero inabitabili; i filosofi dovevano stabilire chi fossero e cosa quegli esseri dai costumi tanto diversi con pratiche sconcertanti come il cannibalismo; i matematici dovevano rivedere i loro calcoli errati sulle dimensioni della Terra: questo per dire lo sgomento e lo sconcerto, oltre alla meraviglia e all’impreparazione in cui si trovavano le popolazioni allora civilizzate di fronte a un simile evento. Lo sbarco sulla Luna non ha provocato nessuno sconquasso rispetto alla scoperta delle Nuove Terre.

La vitaAmerigo Vespucci nacque a Firenze il 9 marzo 1454 da una famiglia molto agiata di buone tradizioni, proprietaria di terre e fondi. Fu battezzato lo stesso anno il 18 marzo: era figlio di Anastagio, notaio, ed Elisabetta Mini. Un affresco nella Chiesa d’Ognissanti, attribuito a Domenico del Ghirlandaio, sull’altare della Famiglia Vespucci, lo ritrae bambino.

Lo zio, Canonico Antonio, fu il suo maestro di varie scienze: lingua latina, grammatica, logica, cosmografia e poco altro si sa dei suoi primi 26 anni fino al 1480 quando partì per la Francia al seguito di una legazione guidata dall’ambasciatore fiorentino Guido Antonio Vespucci, suo parente lontano. Da questo si può arguire che la sua giovinezza sia passata in un apprendistato al servizio di privati o di uffici pubblici. In seguito ebbe vari incarichi nell’ambito degli affari della famiglia di Lorenzo e Giovanni di Pier Francesco de’ Medici, cugini di Lorenzo il Magnifico che avevano col signore della città un rapporto di collaborazione ma non di perfetta sottomissione.

Nel 1491, o l’anno seguente, andò a Siviglia, in Spagna, al seguito di Giovinozzo Berardi, fornitore della marina spagnola, quindi fu curatore degli affari dei Medici in quel paese prendendo sempre più pratica di commerci, trasporti per mare, navigazione finché il 10 maggio 1497 partì da Cadice su quattro navi spagnole per il suo primo viaggio d’esplorazione del continente che doveva prendere il suo nome.

Tornò il 18 ottobre 1498, dopo aver avvicinato uomini dalla pelle rossa dei quali l’avevano colpito la bellezza, in particolare delle donne, e la «disordinata lussuria». Portò 200 di quei nativi in Spagna. Si pensò che avesse toccato già in quella spedizione le terre dell’America meridionale, mentre altri ritengono che abbia visitato soltanto l’odierna Virginia. I ritorni economici del viaggio furono scarsi, ma notevoli gli apporti scientifici.

Il 18 maggio 1499 partì da Cadice facendo la rotta di Capo Verde che accorciava la traversata atlantica tra i punti più vicini dei due continenti. Fece ritorno l’8 settembre 1500. L’impresa più importante fu il suo terzo viaggio compiuto per conto del Re del Portogallo, giovandosi dei mezzi della marina portoghese che aveva fama d’essere la migliore del mondo. La partenza avvenne il 13 maggio 1501 con tre caravelle al comando del capitano Gonzalo Coelho seguendo la rotta lungo le coste occidentali dell’Africa si volse a Capo Verde e poi a Sud Ovest fino al capo detto di San Rocco in Brasile; costeggiò la zona dell’Uruguai e cambiando rotta puntò all’isola detta di Re Giorgio, ma stranamente trovò un freddo terribile e un uragano che lo fecero tornare verso Nord.

Tempeste, vari inconvenienti, disagi tra cui la scarsa intelligenza del capitano misero a dura prova l’entusiasmo di Amerigo che risolse grazie all’astrolabio problemi di rotta. Scoprì molti aspetti antropologici sconcertanti: il libero amore praticato fisicamente anche in pubblico, la bellezza dei corpi degli indigeni, il cannibalismo facendone anche le spese con alcuni membri della spedizione catturati e divorati da una tribù. Tornò a Lisbona il 7 settembre 1502. Fu con questo viaggio che giunse più a Sud dando concretamente le dimensioni di continente alle nuove terre scoperte. Aveva visto il cielo australe e contemplato la Croce del Sud.

Il 6 agosto 1508 fu nominato Piloto Mayor della Spagna con uno stipendio annuo di 75.000 maravedi, carica che tenne fino alla morte che avvenne il 22 febbraio 1512.

Di lui abbiamo la lettera indirizzata a Pier Soderini, gonfaloniere della repubblica e suo vecchio compagno di scuola, con quattro lettere scritte dal 1500 al 1502 indirizzate a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici.

I rapporti con la famiglia dei Medici e il tempoBisogna dire che, uomo tra i più combattuti e contestati, Amerigo è stato sottoposto a critiche, a smentite non solo delle sue affermazioni, ma anche dei fatti della sua vita, come viaggi che secondo alcuni non sarebbero mai avvenuti. Oltre alle giuste osservazioni sui limiti di questa figura, si è scatenata contro di lui la rabbia di popoli navigatori che videro scoprire l’immenso continente da un italiano e battezzarlo da un altro: per questo non c’è cosa del navigatore fiorentino che non sia stata negata, contestata, minimizzata. Perfino un’opera recente sul grande navigatore comincia col veleno in bocca: «Amerigo Vepucci, l’uomo che diede il proprio nome all’America, fu protettore di prostitute da giovane e stregone da adulto», roba che non farebbe onore neppure all’ultimo gazzettiere.

Pure è così, e a quello che abbiamo detto sul livore ingiustificato da cui fu colpito e continua ad affliggerlo, bisogna aggiungere che l’incallito luogo comune fa forza anche sul conformismo accademico: non vale la pena compromettere il successo d’uno studio urtando un sentimento universalmente radicato. Fa gioco inoltre lo schema collaudato del protagonista e dell’antagonista: Bartali e Coppi, Mozart e Salieri, Mario e Silla, Tasso e Ariosto, Cesare e Pompeo, Callas e Tebaidi, che è l’ultima risorsa delle biografie volgari.

Ma un altro elemento non molto percepibile ha giocato contro Vespucci ed è il difficile rapporto della sua famiglia con i Medici, in particolare con Cosimo il Vecchio, poi Piero e Lorenzo il Magnifico. Dissidi interni portarono alla divisione dei due rami della famiglia medicea fino dal 1459: Cosimo, come cugino maggiore padrone della città, amministrò il patrimonio anche del minorenne cugino Pierfrancesco con poca soddisfazione del giovinetto che alla maggiore età si ritirò con la sua parte. Anche il Magnifico, nel clima della Congiura dei Pazzi, allungò le mani sul patrimonio dei congiunti, restituendone poi solo una parte. I Vespucci della famiglia di Amerigo si unirono alla fazione di Pierfrancesco di Lorenzo de’ Medici usando però prudenza e moderazione. Purtroppo nel 1478, con la grande congiura nella Cattedrale, un membro della famiglia, Piero Vespucci, cugino maggiore di Amerigo, ebbe un comportamento inequivocabile: aiutò un congiurato, Napoleone Franzesi, a fuggire e pare avesse mano nella morte di Giuliano, massacrato nella chiesa.

Il Magnifico lo fece torturare mentre la famiglia lo ripudiava, ma fu salvato dalla figlia che chiese pietà a Lorenzo e l’ottenne (forse le donne di casa Vespucci erano belle o avevano un forte ascendente sul Signore fiorentino come Simonetta). Graziato espatriò, ma non sfuggì alla vendetta medicea, già rinomata per altre imprese simili: nel 1490 venne ucciso ad Alessandria, impiccato a una finestra del palazzo del governo, stesso trattamento che il Magnifico aveva riservato ai maggiori responsabili della rivolta e della morte del fratello.

Ora la fama di Amerigo fu esaltata nel breve periodo del ritorno della repubblica nella città dopo la cacciata dei Medici, che al loro ritorno però provvidero a spengere qualunque focolaio di dissenso. La gloria universale che aveva dovuto restare lontano da Firenze per l’odio della casata al potere (non vi fece mai ritorno) pesava e offuscava lo splendore mediceo, particolarmente quello di Cosimo I, prode mandante dei sicari che uccisero Lorenzaccio a Venezia. Vi erano buone ragioni per ridimensionare e tenere a bada anche il ricordo di un uomo, se non altro conosciuto e invidiato in tutto il mondo, mettendogli intralci, gettando ombre e sospetti sulla sua carriera, e mettendo la sordina alle sue lodi. Sta di fatto che per lungo tempo neanche nella sua terra Amerigo Vespucci ebbe buona letteratura, ma solo un ricordo sbiadito. Anche la sua tomba a Siviglia venne distrutta. Oggi Firenze lo ha in parte risarcito: un bel Lungarno, un ponte sull’Arno e l’aeroporto hanno il suo nome.

L’amicizia con ColomboTra Colombo e Amerigo Vespucci i rapporti furono più che amichevoli, uniti a stima e riconoscenza, inoltre l’amicizia fu di lunga durata risalendo a quando il fiorentino provvide alle forniture delle caravelle del grande viaggio dell’Ammiraglio. I documenti sono inoppugnabili e in particolare una lettera che Colombo affidò all’amico diretta a suo figlio, scritta in occasione di una visita che gli fece passando per Siviglia nel 1504, non lascia dubbi. Il figlio di Colombo stava allora alla corte di Spagna ad aggiustare la contesa con un lungo strascico di problemi che il padre aveva con la corona spagnola per i diritti relativi alle sue scoperte e ai viaggi. In questa lettera Colombo raccomanda al figlio anche l’amico Amerigo esprimendosi in termini che non consentono equivoci: «Latore della lettera è un uomo assai rispettabile. La fortuna è stata avversa a lui come a molti altri. Le sue fatiche non gli sono state utili come egli avrebbe potuto sperare. Egli va per ragion mia e bramoso, se gli sia possibile, di fare qualche cosa che mi sia a utile […]. Egli va determinato di fare per me quanto gli sarà possibile… Egli farà ogni cosa, parlerà e metterà tutto in opera».