Cultura & Società

Lucca, il primo cortometraggio girato nel palazzo arcivescovile

A colloquio con il regista, Alessandro Teofano, non ancora venticinquenne

Metti un gruppo di giovani usciti dall’Accademia del cinema di Lucca. Sono pieni di entusiasmo. Hanno voglia di mettersi alla prova con un primo lavoro. Questi ragazzi s’ingegnano. Vogliono fare le cose per bene. Sono professionisti diplomati. Il regista, Alessandro Teofano, ha in mente già qualcosa, si confrontano e poi nasce l’idea di girare un cortometraggio nel Palazzo arcivescovile di Lucca. Ottenuta l’autorizzazione, la scorsa settimana sono state effettuate le riprese. A quanto pare «Massa» – così s’intitola, dal cognome del personaggio principale – è il primo cortometraggio interamente girato all’interno del palazzo. Ne parliamo con il regista, non ancora venticinquenne.

Alessandro, quante persone sono coinvolte in queste riprese?
«In tutto 15 persone, tre attori e poi la troupe. Abbiamo tutti intorno a 25 anni, tranne due attori sui 50 anni».
Come è nata l’dea del cortometraggio?
«L’ho scritto nel primo anno di accademia, come esercizio, e poiché non mi piace lasciare le cose, verso la fine del terzo anno di accademia mi son detto di riprendere in mano vari lavori tra cui questo».
Di cosa parla?
«Il messaggio è quello di parlare delle diseguaglianze sociali. Abbiamo un operaio morto sul lavoro, Agostino Massa, che si trova nell’aldilà dove incontra questo funzionario che prima non lo accetta, all’inizio per motivi validi, poi però gli viene fatto passare avanti un aristocratico morto di vecchiaia. È una allegoria su quelle che sono le nostre idee sull’ingiustizia. È una cosa semplice, si tratta di un dialogo di 10 minuti, in cui questo operaio cerca di rivendicare i suoi diritti e scopre che quello che sperava non era proprio così».
Perché ambientare tutto nell’aldilà? C’è un aspetto religioso?
«Il motivo ideologico è l’ingiustizia sociale, non c’entra nulla Dio o altro. Quello dell’aldilà è un pretesto per estremizzare la situazione».
Come ti è venuto in mente allora di ambientare un’ingiustizia nell’aldilà?
«Non saprei, in fondo è una rappresentazione metaforica. Forse è più una paura mia, se ci fosse un aldilà avrei paura che fosse così. E poiché trovo interessante anche manifestare le proprie paure, i pensieri, credo che mi sia venuto spontaneo per la mia passione per il surreale e quindi ho deciso di rappresentarlo così».
Avete girato tutto in una sola stanza, l’Ufficio dei beni culturali. Come avete scelto il Palazzo arcivescovile?
«Questo palazzo mi era stato consigliato. Però abbiamo cercato varie location, anche con gli altri, la troupe mi ha dato una mano. Poi abbiamo chiesto di vedere anche il palazzo arcivescovile e abbiamo fatto dei sopralluoghi. In fondo ci serviva un ufficio che potesse sembrare datato ma fuori dal tempo. È una specie di limbo questo posto. E alla fine lo abbiamo scelto».
Nel cortometraggio il protagonista è l’operaio morto sul lavoro. C’è un motivo particolare che ti lega a questo tema?
«Ma perché sono giovane e lavoro anche io, ho fatto lavori per mantenermi in accademia, a breve inizio la stagione come bagnino, mio padre era scaricatore di porto a Livorno, ora ha cambiato lavoro. Ci sono anche cose che leggo. Ma tutto viene da una sensibilità mia. Non sopporto vedere ragazzi e ragazze non tutelati sul lavoro, ragazzi come me, o anche più piccoli. Tra l’altro mio padre fu colpito da una sbarra mentre lavorava, non si fece nulla, però poteva essere più grave».
Come renderete fruibile questo vostro lavoro?
«Noi speriamo di metterlo su alcune piattaforme online, ma l’idea è fargli fare un giro festivaliero. Il tema delle ingiustizie, su cui vogliamo sensibilizzare, può trovare spazio in diversi festival tematici. Lo manderemo per la selezione, perché sia in concorso o no. L’importante è che sia mostrato e che poi trovi una vita oltre il festival».
Hai fatto tutto in proprio?
«Sì. È il primo corto che faccio e lo faccio in autonomia».
Ti ispiri a qualche regista?
«In realtà non mi ispiro a registi. A me non piace copiare l’estetica degli altri registi. Penso a che approccio usare per fare qualcosa di non troppo rivisto già in altri film. Certo ci sono tanti registi che mi piacciono tra cui Tim Burton. Desidero andare sul “favolesco”, su novelle surreali. Mi ispiro anche a film di animazione, con inquadrature larghe. Ma sono alla ricerca uno stile mio».