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L’Ue potrà anche cambiare ma il rigore sui conti resterà

Secondo i nostri Salvini e Di Maio l’aspro conflitto fra il nostro governo e le autorità di Bruxelles e la grave crisi finanziaria che ne è derivata non deve preoccupare. Si tratterebbe solo di un breve fuoco di paglia. Ha solo «da passa’ a nuttata» come diceva Eduardo De Filippo. Basta aspettare fino a maggio e saranno rose e fiori. Non perché arriverà la primavera, ma perché con le elezioni europee cambierà completamente il panorama politico nell’Unione. Da Bruxelles se ne andranno i commissari che condannano i nostri conti a loro avviso troppo larghi e arriveranno i misericordiosi rappresentanti dei partiti sovranisti e populisti pronti a chiudere tutti e due gli occhi su deficit e debiti e a perdonare settanta volte sette.

Ma se si dà un’occhiata a quelli che sono i sondaggi nei vari paesi questa rivoluzione ai vertici dell’Ue sembra per il momento più la prece di chi ci governa che la voce dei quattrocento milioni di europei che andranno a votare fra sette mesi. Negli ultimi anni, è vero, la forza elettorale dei più noti partiti europeisti si è ridotta notevolmente. Hanno perso voti un po’ dovunque i due grandi partiti storici dell’Europa, cioè i popolari e i socialisti, e i secondi più dei primi. Ma un esame anche sommario delle attuali intenzioni di voto nei vari paesi non dà assolutamente ancora per sconfitte nel complesso le forze cosiddette europeiste. In Germania Cdu-Csu e socialisti sommati superano oggi, è vero, appena il 40%. Ma cresce anche un’altra forza europeista come i Verdi (dati al 20%) mentre vicino al 10% rimane ancora un partito da sempre europeista come il vecchio partito liberale. Nel paese più grande e più potente di Europa i soli partiti euroscettici sono a destra l’Afd (circa il 16%) e a sinistra la Linke (intorno al 10%). In totale non più di un quarto degli elettori.

In Francia il partito ultraeuropeista di Macron non è più molto popolare (appena il 20%). Ma il fronte europeista è rafforzato dal partito gollista oggi guidato da Laurent Wauquier (intorno al 15%) e da un partito socialista seppure ridotto al lumicino (5%). Due partiti usciti dalle macerie del partito socialista, France Insoumise di Jean Luc Malenchon (circa il 12%) e Generation.s di Benoit Hamon (4%) si battono, è vero, per un Europa con meno austerità e più solidale, ma il solo vero partito euroscettico francese rimane quello di Marine Le Pen che non va oltre il 20%.

In Olanda il partito europeista del premier Mark Rutte naviga intorno al 21%, ma anche nei Paesi Bassi, dove, come è noto, si è molto severi in fatto di conti pubblici, l’Europa può contare su molti altri convinti europeismi come quello dei Democratici 66 (intorno al 12%), dei socialisti (sull’8%) e dei Verdi del Groenlinks (6%). L’unica formazione euroscettica rimane anche qui il Partito della Libertà di Geert Wilders per cui votano non più del 13% degli olandesi.

In Spagna gli europeisti possono fare affidamento sui voti del partito socialista (25%), del partito popolare (22%) e del partito di destra liberale Ciudanos (23%). Non esiste un vero e proprio partito euroscettico anche se il partito Podemos (17%), nato quattro anni fa durante la grande crisi, si oppone decisamente alla austerità di Bruxelles.

In Portogallo il partito socialista attualmente al potere (40%) rimane un leale partito europeista anche se sta attuando un programma decisamente orientato a sinistra mentre solo venature polemiche contro l’austerità di Bruxelles caratterizzano il partito conservatore (38%).

In Grecia, nonostante la durissima crisi e i grandi sacrifici imposti, anche Syriza, il partito del premier Alexis Tsipras, è ormai rientrato completamente nei ranghi di Bruxelles e l’unico partito antieuropeista rimane oggi il neonazista Alba Dorata (8%).

Anche in Finlandia, un altro paese dove si è molto rigidi in fatto di austerità, il partito dei Veri Finlandesi (Ps) è l’unico partito euroscettico accreditato a meno del 10%. Situazione analoga a quella olandese in fatto di culto dell’austerità è quella dell’Austria dove pure al governo c’è anche il partito euroscettico di Heinz Christian Strache (26%). Tuttavia il premier Sebastian Kurz si è mostrato il leader europeo più duro nei confronti del deficit della manovra italiana sostenendo brutalmente una settimana fa che «non abbiamo nessuna comprensione per l’Italia».

Non bisogna infatti prendere la cantonata di credere che un partito euroscettico sia necessariamente un partito tollerante verso i paesi dalla spesa facile. Anzi, almeno quando ci si trova davanti a partiti di destra, succede quasi sempre esattamente il contrario. Sia l’Afd tedesca, sia il Ps finlandese, ad esempio, sette anni fa si opposero ferocemente contro l’intervento europeo per aiutare la Grecia a pagare i suoi debiti che, secondo loro, doveva solo essere lasciata semplicemente fallire.

Un discorso analogo riguarda anche le formazioni politiche dell’Europa Orientale e dei cosiddetti paesi del gruppo di Visigrad. Si tratta, è vero, di paesi in cui ormai predominano partiti di ispirazione sovranista e populista che tendono a difendere il potere nazionale contro il federalismo europeo. In Ungheria il populismo di Fidesz, il partito di Orban, viaggia intorno al 50. In Polonia il Pis (Diritto e Giustizia), partito al potere, può contare su altre il 40%. Sovranista è anche la politica del governo della Repubblica Ceca formato dal partito Ano 2011 di Andrea Babis (30%). Tutti questi partiti attualmente al governo possono inoltre contare su partiti con le loro stesse idee sia alleati di governo sia all’opposizione.

Ma nessuno può illudersi su una presunta solidarietà di questi paesi verso l’Italia in fatto di manovra nonostante le conferenze congiunte fra Salvini e Orban. Al contrario la loro filosofia è addirittura ostile ad ogni espansione della spesa. Si tratta infatti di paesi che trenta anni fa, nel passaggio drammatico dal sistema comunista al sistema liberale, hanno visto azzerare insieme alle loro finanze anche i loro debiti pubblici che ancora oggi rimangono bassissimi. Inoltre allora gli stessi paesi hanno dovuto sudare lacrime e sangue per convertire le loro economie e vedono oggi come una offesa ai loro sacrifici passati tutto quello che a loro sembra una finanza allegra in altri paesi.

In fatto di previsioni, si sa, nulla è mai certo. Bernanos diceva che di fronte alle incognite del domani «l’ottimista è solo uno sciocco felice mentre il pessimista e solo uno sciocco infelice». E tuttavia non giova alla verità, anche se fa bene alla salute, vedere rosa a tutti i costi nel futuro per consolarci delle difficoltà del presente. Teoricamente parlando, dalle prossime elezioni europee può uscire fuori di tutto. Ma onestamente a tutt’oggi sulla carta non la rivoluzione, ma la conservazione o in alternativa addirittura il caos, cioè in assoluto la soluzione peggiore, hanno una chance in più.