Il futuro non è più quello di una volta»: una frase ben impostata, arguta e capace di farci pensare. Chi l’ha scritta? Il riferimento più affidabile (ma non l’unico) ci rimanda a un testo del 1931 di Paul ValèryLa frase è diventata celebre dopo che il writer milanese Ivan Tresoldi l’ha scritta su diun muro alla stazione di Porta Genova a Milano nel 2002. Al di là delle questioni di paternità, credo che questa espressione ci sia molto utile per sintetizzare la presenza di più futuri nel nostro orizzonte culturale. Detto in estrema sintesi: siamo di fronte al passaggio da un futuro immaginato come promessa a un futuro temuto come minaccia. E — proseguono alcuni — patito come condanna.Ma da quanto tempo c’è il futuro? Da molto tempo, ma non da sempre. C’è stato un tempo in cui il futuro non esisteva. È il tempo del mondo antico, compreso quello dei Greci. I Greci non credevano al futuro, probabilmente neppure erano in grado di porsi la questione. Il tempo non ha futuro, ma è svolgimento perenne di un ciclo di vita e di morte. Come avevano fatto molto tempo prima di loro i Sumeri, anche i Greci non hanno nessuna fiducia che questo circolo si possa spezzare. La morte incombe paziente e inesorabile su ogni cosa. Gli uomini possono aspirare a un momento di felicità,ma nulla di più. Presso i Sumeri la vicenda che illyusrra questo destino degli uomini è quella del grande eroe Gilgamesh, giunto sino agli inferi per riportare in vita l’amico, Ma non ce la farà. Così una vicenda simile a quella di Gilgamesh capita anche in Grecia, al grande poeta Orfeo. Questa volta ad essere spezzato dalla morte non è l’amicizia virile di due eroi ma l’amore appassionato tra un uomo e una donna. Orfeo, come Gilgamesh, è animato da un amore così grande che ha la forza di scendere nell’Ade.