Recenti dati Ocse mettono in luce un deficit di lungo periodo della società italiana: la scarsa attenzione alla cultura e alla formazione. La cosa non è indifferente riguardo la formazione di una opinione pubblica consapevole. I populismi che hanno spesso traversato la storia politica italiana hanno visto un uso disinvolto dei mezzi di comunicazione e una sostanziale fragilità nella loro gestione. Tra le due guerre è stata la radio a modellare l’opinione pubblica. Dagli anni Cinquanta la televisione ha vissuto una prima fase monopolistica e paternalistica, ma con aspetti anche pedagogici e moderati. Diversi il discorso per la “neotelevisione” commerciale (che ha poi influenzato anche la Rai) che dagli anni Ottanta ha realizzato un monopolio di fatto capace di abbassare molto il livello medio e di solleticare un generico qualunquismo.Recentemente è la Rete a essere diventata il terreno di scontro politico, con una parte — quella di Grillo — che pretende di averne sostanzialmente l’esclusiva. Ma davvero l’uso che M5S fa della Rete è quello più in sintonia con la logica profonda di Internet? C’è da dubitarne. Anche in questo caso paghiamo uno scotto culturale, come con la neotelevisione berlusconiana.