Opinioni & Commenti

Messaggio di pace da un’isola ponte tra Oriente e Occidente

di Enzo Bianchipriore di Bose

Viaggio di pace e di dialogo in un’isola-ponte. Così si potrebbero sintetizzare i giorni della visita apostolica di Benedetto XVI a Cipro, un’isola-ponte per diversi motivi. Innanzitutto per il suo essere stata «ponte» tra la Palestina e il resto del Mediterraneo nei tempi della prima predicazione del Vangelo, quando san Paolo, accompagnato da Barnaba, intraprese il suo primo viaggio missionario e si fermò sull’isola. Oggi questa natura di «ponte», propria dell’isola, è ferita dalla lacerazione tra due parti: quella cipriota, cristiana ortodossa, e quella turca, con abitanti in massima parte musulmani; ma proprio questo muro di divisione potrebbe essere lo stimolo al superamento di divisioni che non sono estranee alla diffidenza europea verso la Turchia: in questo senso Cipro potrebbe costituire un ponte tra l’Unione europea, di cui fa parte, e la Turchia, desiderosa di accedervi. Un’isola-ponte, infine, tra le Chiese d’Europa e quelle del Medio Oriente e tra l’ortodossia e il mondo cattolico. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che è stato particolarmente accentuato da Benedetto XVI nel corso del suo viaggio.

Fin dal primo giorno, alla presenza dell’arcivescovo ortodosso Chrysostomos II, il Papa ha rivolto un forte richiamo alla «comunione reale, benché imperfetta, che già ora ci unisce» e al desiderio di «ripristinare quella piena unione visibile voluta dal Signore per tutti i suoi seguaci». Quella ortodossa di Cipro è infatti una delle Chiese che, a prescindere del numero relativamente ridotto di fedeli, è da tempo tra le più impegnate nel dialogo ecumenico e lo scorso anno ha anche ospitato i lavori della Commissione teologica cattolico-ortodossa.

A questa qualità non è certo estranea la sua storia di Chiesa che affonda le sue radici nella predicazione di san Paolo e che ha visto nel corso dei secoli l’intrecciarsi di incontri, confronti e scontri sulla rotta che metteva in comunicazione l’Europa e Gerusalemme, il mondo cristiano occidentale e quello orientale. Una Chiesa che ormai da decenni si mostra capace di parola e di ascolto dentro e fuori il mondo ortodosso, in vista di una sempre più grande fedeltà alla volontà del Signore. Del resto, ha ricordato il Papa, «l’unità di tutti i discepoli di Cristo è un dono da implorare dal Padre», ma è anche un anelito affidato alla nostra responsabilità.

Ma Cipro come isola-ponte è stato anche il luogo scelto da Benedetto XVI per consegnare a tutti i patriarchi e vescovi delle Chiese orientali l’«Instrumentum laboris» per il prossimo Sinodo dei vescovi, dedicato proprio alla presenza dei cristiani nel Medio Oriente. Occasione preziosa per tutta la Chiesa per riflettere sul presente e il futuro dell’annuncio del Vangelo in quelle terre che hanno ospitato l’esistenza terrena del Signore Gesù. Sono Chiese che oggi conoscono prove e difficoltà, la tentazione dell’esodo, a volte l’impossibilità a testimoniare con libertà e serenità la propria fede cristiana, ma sono anche Chiese che, proprio in questa difficile stagione, non cessano di richiamare i propri fedeli e la Chiesa di ogni luogo a un sempre più esigente radicamento nell’essenziale della fede cristiana: l’annuncio della buona notizia della morte e risurrezione di Gesù per la salvezza del mondo.

E proprio ascoltando il grido e la preghiera di queste Chiese mediorientali che noi cristiani d’Occidente possiamo fare nostro l’anelito che animerà i lavori della prossima assise sinodale: «Ricomporre – sono ancora parole di Benedetto XVI – la piena e visibile comunione tra le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente, una comunione che deve essere vissuta nella fedeltà al Vangelo e alla tradizione apostolica, in modo che apprezzi le legittime tradizioni dell’Oriente e dell’Occidente, e che sia aperta alla diversità dei doni tramite i quali, lo Spirito edifica la Chiesa nell’unità, nella santità e nella pace». Di questi sentimenti è stato suggello l’abbraccio fraterno tra papa Benedetto XVI e l’arcivescovo Chrysostomos II, promessa di un dialogo nella carità che non mancherà di portare i suoi frutti di grazia.