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Messico, carovana migranti a Guadalajara. Gesuiti contro provvedimenti di Trump

I migranti della carovana centroamericana che sta risalendo il Messico per cercare di arrivare negli Stati Uniti sono giunti a Guadalajara. Anche qui, come è accaduto nella capitale, la città si è organizzata per accogliere la carovana. Intanto dai Gesuiti del centro e Nord America giunge una critica alla decisione di Donald Trump che nega l'asilo ai centroamericani, in violazione dell'articolo 31 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Sono arrivati a partire da sabato e hanno continuato ad affluire domenica e ieri a Guadalajara i migranti della carovana centroamericana che sta risalendo il Messico per cercare di arrivare negli Stati Uniti.

Grazie all’aiuto di numerosi mezzi di trasporto, ci sono dunque voluti, per i più veloci, un paio di giorni per compiere i 500 chilometri circa che separano città del Messico da Guadalajara, la seconda città del Paese. «Ma gli arrivi continueranno fino a giovedì – spiega al Sir padre Alberto Cerro, direttore della Casa del migrante di Guadalajara -. Gli arrivi avvengono alla spicciolata perché i migranti riescono a ottenere via via di compiere il tragitto a bordo di vari mezzi di trasporto. E poi nei giorni successivi arriveranno le altre più piccole carovane che stanno risalendo il Messico».

Anche qui, come è accaduto nella capitale, la città si è organizzata per accogliere la carovana, al palasport Benito Juárez. Spiega ancora padre Cerro: «Quando i gruppi di migranti arrivano a Guadalajara, vengono portati dalle autorità statali e municipali al centro di accoglienza del palasport. Qui, ci prendiamo cura di loro, attraverso un coordinamento che coinvolge Governo, Chiesa e volontari. Prestiamo loro attenzione medica, psicologica e umanitaria, mettendo loro a disposizione alimenti, vestiti, scarpe». Nel frattempo, anche se mancano ancora 2.500 chilometri, la città frontaliera di Tijuana si prepara ad accogliere i migranti (per la verità una prima avanguardia di 80 persone è già giunta ieri nella località di confine).

In una conferenza stampa tenuta venerdì scorso, l’arcivescovo Francisco Moreno, che era assieme a operatori e soggetti che si occupano di mobilità umana, ha invitato tutti – Chiesa, Governo e società civile – a fare ogni sforzo per accogliere la carovana, in un contesto non facile, dato che già ora la Casa del migrante gestita dagli scalabriniani e la Casa dell’Assunta sono al limite della loro capienza.

La decisione del presidente statunitense Donald Trump dello scorso 9 novembre, attraverso la quale si nega l’asilo ai centroamericani e, in particolare, honduregni che stanno cercando di arrivare negli Stati Uniti dalla frontiera Sud, è «illegale e viola l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra sullo statuto dei Rifugiati, il quale stabilisce che non sia criminalizzato l’arrivo senza autorizzazione in uno Stato da parte di persone che sono in situazione di rifugiati». Lo sostiene in una nota – pubblicata tra l’altro sul sito della Cpal, la Conferenza dei provinciali del gesuiti – la «Rete gesuita con i migranti» del Centro e Nord America, presente in 19 Paesi. La nota lancia l’allarme sulla «costruzione continuata di una narrazione che criminalizza i migranti, priva di qualsiasi autocritica o riflessione sul proprio sistema di asilo o sulla propria responsabilità di appoggiare le politiche che alimentano le cause che generano la migrazione forzata di centinaia di migliaia di centroamericani ogni anno».

Secondo i gesuiti la nuova disposizione di Trump «è chiaramente rivolta all’esodo degli honduregni che sono in cammino verso gli Stati Uniti». Secondo la nota il nuovo provvedimento restrittivo «lascia assolutamente da parte i diritti umani delle persone migranti, specialmente di quelle più vulnerabili», che sono descritte «con un linguaggio di guerra e sono viste come un nemico minaccioso». E questo nonostante la stessa dichiarazione del presidente riconosca che negli ultimi anni c’è stato un aumento di persone che chiedono asilo perché hanno effettivamente un timore fondato a tornare nel proprio Paese.