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Non illudiamoci, quella in Ucraina è una guerra fratricida e sarà lunga

Quella in Ucraina è la prima vera guerra europea del dopo 1989: il confitto nell’ex Jugoslavia era legato al disfacimento del vecchio ordine, questo è il sovvertimento del nuovo. Un impero che è stato, anche inutilmente, umiliato da una miope politica occidentale fatta di soldi e turbocapitalismo, tenta di riprendersi i suoi spazi. Lo fa ignorando il diritto altrui; se lo rispettasse non sarebbe più, per l’appunto, un impero.

La guerra, inutile strage, non ha però solo questa spiegazione. Non vale nemmeno quella che vi vede il tentativo di bloccare l’espansione della Nato. Eravamo a Leopoli e Lutsk, in giro per università, quando tutto cominciò nel 2013: sui campanili delle chiese greco-cattoliche non era esposta la bandiera dell’Alleanza Atlantica, bensì quella dell’Unione Europea. Dieci anni dopo l’Unione – splendido esempio, in secoli di mattanze, di paesi che hanno saputo unirsi e realizzare la pace tra di loro – ha una ruga in più sul volto; il Vecchio Continente è ancora più vecchio. Quanto a noi, ci siamo trovati a dividerci sulla questione dell’invio delle armi. Una cosa sola, a riguardo, non è accettabile: anche il solo pensare che chi non è del nostro avviso lo faccia per cattiva fede o tornaconto.

Ricordiamoci che il diritto va ristabilito perché non c’è pace senza giustizia e che l’autodifesa proporzionata è un diritto come un dovere, infatti non a caso deve essere proporzionata. La nostra democrazia, la nostra Costituzione sono nate anche dall’uso delle armi. Proprio per questo l’una e l’altra rifiutano la guerra come strumento per dirimere le controversie internazionali: sanno entrambe di cosa si tratti e, se si spara, è solo ed esclusivamente perché l’iniquo non deve mai prevalere.

Questo è il motivo per cui Volodomyr Zelensky adesso piace un po’ meno di prima: un conto è chiedere aiuto perché si è vittime; tutt’altra cosa dare l’impressione che si spingano gli altri a combattere la tua guerra, magari per regolare vecchi conti. Lui ha commesso questo errore e così facendo ha dato spazio alla propaganda russa che, da sempre e non da poco, è maestra di fake news.

Un giorno questo strazio e questo grande scempio finiranno, ma nessuno sa ancora dire quando. Quel giorno si tratterà di ricostruire. Non illudiamoci: quella in Ucraina è guerra fratricida, e certe ferite si rimarginano, semmai, in decenni se non secoli. Si tratterà allora di non aspettare, perché il tempo è galantuomo ma anche i signori arrivano in ritardo agli appuntamenti. Da subito si ricrei un foro di discussione tra le varie anime di questo Continente tornato nel peggiore dei modi a essere al centro della grande geopolitica, si rilanci il progetto europeo nella sicurezza e nella cooperazione. Anche in Russia esistono orecchie in grado di capire. La fermezza, infatti, è necessaria: lo dimostra il decorso della Storia che ha portato alla caduta del Muro di Berlino. Ma oltre la fermezza ci vuole un progetto politico per le nuove fasi che si aprono.

Non lo abbiamo fatto negli ultimi trent’anni, le conseguenze le pagano ora a Kherson e Kharkiv. Dove i fiori, secondo una vecchia canzone di Pete Seeger, non ci sono più perché li hanno colti le ragazze, e queste non ci sono più perché le hanno preso i soldati, ma i soldati non ci sono più: tutti sono finiti nelle tombe. Seeger la scrisse per il Vietnam ma si ispirò – è storia anche questa – a una ballata ucraina.