Opinioni & Commenti

Non sappiamo più cos’è la fede

di Romanello Cantini

Manifestazioni violente dalla Tunisia all’Indonesia, assassinio di un ambasciatore americano con tre funzionari, decine di morti fra i manifestanti, aumento dell’odio dei musulmani per l’Occidente, rischio che le «primavere arabe» siano travolte dai fondamentalismi e che al di là di Lampedusa si formi un qualcosa di simile ad un enorme Pakistan. Queste sono le conseguenze di un filmetto su Maometto di quattordici minuti prodotto non si sa bene da chi, messo in rete non si sa come.

Sia ben chiaro. La violenza é sempre da condannare. Soprattutto è da respingere l’idea forse più razzista che comunitaria per cui, putacaso, di un singolo gesto di un americano sono responsabili tutti gli americani. Ma, viste le conseguenze che quattordici minuti di pellicola hanno avuto, ne valeva la pena?

In Occidente quasi tutti, dopo aver messo le mani avanti definendo la pellicola un filmaccio, si sono precipitati a difenderne la diffusione in nome della libertà di espressione considerata ormai l’unico valore supremo della nostra cultura a cui tutti gli altri (sentimento religioso, ordine pubblico, amicizia fra i popoli, stabilità politica, perfino la pace e le vite umane) si devono sottomettere. Dopo aver visto in rete qualche spezzone del film anche se non si è musulmani è difficile non provare un senso di repulsione. L’attore che dovrebbe rappresentare il Profeta è filmato mentre compie atti sessuali e mentre, letteralmente lordo di sangue dalla testa alla cintola, impugna una spada insanguinata fino all’elsa. Chi ha fatto il film odia l’islam ma probabilmente sa molto poco dell’islam tanto è vero che sembra che sia andato a chiedere protezione alla polizia terrorizzato solo dopo che si è accorto veramente di quello che aveva fatto. Prima forse non era stato avvertito che per la religione musulmana è proibito rappresentare Maometto, ed è considerato offensivo descrivere l’islam come una religione sanguinaria. Purtroppo è tipico di un certo imperialismo culturale volere imporre all’universo la propria cultura senza sapere quasi nulla delle altre, volere esportare il proprio modello di sviluppo anche quando non è mai stato così in crisi, volere insegnare agli altri il progresso anche quando la religione del progresso è oggi quella più in crisi di tutte.

Un certo Occidente sta perdendo non solo la fede, ma anche la capacità di comprendere che cosa sia la fede e la sensibilità religiosa di un credente. Può capire ancora che un uomo si senta offeso se gli si offende il padre o la madre. Non comprende più che un uomo si senta offeso se gli si offende il suo Dio che pure ama «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente» forse «più di ogni altra cosa». Non è vero poi nemmeno che l’Occidente difenda sempre la libertò di espressione di fronte a tutto e a tutti. Se le vecchie colpe di vilipendio stanno ormai sempre più decadendo l’Europa si fabbrica le sue nuove colpe come quelle di xenofobia, di sessismo, di omofobia.

Diventa reato offendere gli stranieri, le femministe, gli omosessuali. Non è mai reato offendere un Dio o un Profeta anche se a qualcuno un offesa simile brucia più che un’offesa a se stesso. Non si tratta né di rivendicare il reato di blasfemia che sappiamo le infamie che produce laddove è in vigore. E nemmeno quel reato troppo generico e ambiguo di «diffamazione della religione» che da dieci anni i cinquantasette stati musulmani del mondo cercano di fare approvare all’Onu. Più semplicemente la cultura occidentale dovrebbe rendersi conto che la tolleranza, di cui tanto si è parlato a sproposito in questi giorni, non è il diritto di offendere chi ha ancora un Dio, ma più autenticamente il dovere di comprenderlo e di rispettarne la scelta perché resa sacra anch’essa, come quella del laico, dalla libertà di coscienza che è la prima di tutte le libertà.