Vita Chiesa

ORA DI RELIGIONE: CEI, DALLA CULTURA DEL PROGETTO A QUELLA DEGLI ATTEGGIAMENTI

Dalla “cultura del progetto” alla “cultura degli atteggiamenti”, che “educhi il soggetto a saper rispondere agli eventi quotidiani con competenza tecnica e sulla base di una coerente responsabilità morale”. E’ il senso dell’ “educare” nell’attuale contesto culturale, così come è stato delineato nel corso del Convegno Cei su “L’organizzazione dell’Irc tra scuola e diocesi”, in corso a Campora San Giovanni (Lamezia Terme) fino a domani. Secondo Francesco Bellino, ordinario di filosofia morale all’Università di Bari – il cui testo è stato letto nel corso dei lavori, a causa dell’assenza giustificata del relatore – oggi “nessun insegnante o genitore può più illudersi di comprendere i giovani invocando la propria giovinezza o di educarli invocando il principio di autorità, perché è proprio questo principio che è messo in discussione non solo intenzionalmente dai giovani, ma strutturalmente dalla realtà oggettiva contemporanea”. “Il fatto che oggi non esistono anziani che sappiano più dei giovani su ciò che i giovani stanno sperimentando, a causa dell’attuale accelerazione dei mutamenti socio-culturali e tecnologici, contribuisce notevolmente ad aumentare la barriera tra le generazioni”, è l’analisi del relatore, secondo cui “i giovani stanno diventando sempre più degli estranei agli occhi degli adulti, per la frattura nella continuità dell’esperienza”.

Nella società attuale, prosegue Bellino, “va cadendo ogni pretesa storicistica di predeterminare modelli entro cui inquadrare il futuro e si va diffondendo la consapevolezza dell’incertezza del domani”: di qui la crisi della “cultura del progetto”, che ““presuppone una precisa e anticipata idea dell’uomo e della società futura che la crisi attuale della continuità dell’esperienza non permette più di elaborare con sicurezza”. E’ la “complessità sociale” che ha bisogno d i una “cultura degli atteggiamenti”, propone il relatore: “Gli educatori ed i genitori sempre meno possono e debbono insegnare ai giovani che cosa imparare, ma come impararlo, né in cosa impegnarsi, ma il valore dell’impegno”. In altre parole, l’educazione deve creare nei giovani “l’abito o l’atteggiamento o la virtù che lo stimoli alla ricerca della verità, del bene, del bello, dell’utile, del semplice, dell’autentico”, per arrivare a “maturare dei propri criteri di orientamento nel mondo e nelle situazioni quotidiane”. “Caduta l’idea di poter acquisire in gioventù un bagaglio intellettuale o tecnico sufficiente per tutta la vita – suggerisce l’esperto – l’unica strada percorribile per dominare il cambiamento è quella di non continuare a rendere i nuovi individui simili ai precedenti, ma di aiutarli ad essere diversi e aperti all’innovazione”.

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