Vita Chiesa
Padre Lele Ramin, un modello per i giovani. 40 anni fa la sua morte a soli 32 anni
Il 24 luglio ricorrono 40 anni dalla morte del missionario in Brasile. Il ricordo di Mauro Barsi, presidente del Progetto Agata Smeralda

Sono passati 40 anni. Erano le ore 12.00 del 24 luglio 1985. Padre Ezechiele Ramin si è appena accasciato a terra all’interno della fazenda Catuva, nello Stato di Mato Grosso, Brasile, molto vicina ai confini con la Rondonia. Una raffica di proiettili, ottanta circa, lo hanno spento per sempre. Ma, per chi lo ha conosciuto, la sua memoria è ancora viva, vivissima.
È stato crivellato di colpi, mentre cercava di aiutare dei lavoratori onesti. Lui che della pace e dell’anti violenza aveva fatto uno stile di vita. Lui che, a soli trentadue anni, ha perso la vita per la Missione. Voleva far trionfare l’amore anche in quel Brasile povero, poverissimo, dove morte e disperazione erano (e sono tutt’ora) all’ordine del giorno.
Lele, così era conosciuto da tutti, non c’è più da quel maledetto giorno. Ma la memoria è ancora viva e deve essere tramandata! Perché una figura così intensa, come quella di Ezechiele, non può andare persa. Lui martire in Brasile. Lui, martire della carità, come lo definì Santo Giovanni Paolo II, di cui ancora si parla a quelle latitudini e non solo…
Dopo un corso di aggiornamento fatto dalla Chiesa Missionaria, partì subito per la Rondonia. Sapeva che la sua presenza e il suo operato benefico servivano in quella terra così lontana dalla capitale, al confine con Bolivia e Colombia. Sapeva che tanti soprusi si stavano consumando e non poteva attendere… era fatto così. Aveva scelto Gesù. Aveva capito a fondo le parole di Gesù, che promette il centuplo a chi lascia tutto per seguirlo. E Lele lo aveva fatto davvero. Io lo so bene. Padre Ramin lo conoscevo molto bene. Fu collaboratore insieme a me al Centro Missionario Diocesano di Firenze, appena costituito. E lavoravamo insieme, in particolare per l’animazione missionaria nella Diocesi fiorentina, insieme ad altri due giovani comboniani. Lui era molto legato alla Chiesa fiorentina. Più volte la settimana mi recavo con Lele nelle tante parrocchie di Firenze, per incontrare giovani e adulti. Ricordo che la sua testimonianza, di un ragazzo intelligente, sensibilissimo e appassionato riusciva ad incidere moltissimo su tutti. Lo aiutavano la sua buona preparazione culturale e soprattutto il suo grande amore verso i poveri. Anche tra le ragazze faceva breccia, è vero, lo ammetto. Per scherzo, ricordo una volta eravamo appena arrivati alla Parrocchia di Santa Maria a Scandicci, lo avvicinai sussurrando: «Mi rovini la piazza». La sua risposta perentoria non lasciò adito a battute o scherzi: «Mauro, io ho già scelto. Ho scelto Gesù!».
Padre Ramin era così. Aveva deciso di schierarsi al fianco dei poveri, pronto a spendere tutta la sua vita in loro favore. Consapevole che chi porta Gesù, porta la gioia. E poco prima di morire scrisse: «Qui molta gente ha perso il terreno perché gli è stato venduto. Aveva una casa e gli è stata distrutta. Aveva dei figli e gli sono stati uccisi. A queste persone io ho già dato la mia risposta: un abbraccio grande. Amo molto tutti voi e amo la giustizia, non approviamo la violenza, eppure riceviamo violenza. Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia morte».
Come se avesse sentito che qualcosa stesse per accadere. Come se avesse capito che il prossimo martire sarebbe stato lui. Ed è per questo che credo che una figura così intensa come quella di Ezechiele non possa essere dimenticata facilmente, ma che debba diventare un modello da seguire. Un esempio. Un esempio che possa ancora insegnarci tanto, soprattutto in tempi come questi, dove l’usurpatore, il violento e il carnefice sembrano avere la meglio. Dove l’odio prevale sull’amore. Dove le guerre vengono supportate e la pace non fa più notizia. Un grande esempio per i giovani.
Perché Lele era così. Credeva veramente nella parola di Gesù. Aveva lasciato i suoi cari, aveva interrotto gli studi in medicina e aveva lasciato la sua fidanzata per entrare nei Missionari Comboniani. Lo aveva fatto, non senza sofferenza, per seguire qualcosa di più grande. E aveva scelto anche un metodo ben preciso: quello dell’amore e del rifiuto della violenza. Da vero uomo di Dio perseguiva la pace. Per questo era in Rondonia il giorno della sua morte.
Era venuto a conoscenza che un folto numero di lavoratori erano minacciati di morte da un uomo che si professava il proprietario delle terre che da anni coltivavano con dedizione, per vivere. Li stava scacciando come mosche fastidiose, minacciandoli di morte. Qualcuno era già stato ucciso e Lele era intenzionato a fermare quel massacro annunciato. Quel giorno si presentò, in compagnia del presidente del sindacato, al cancello della fazenda. La targa con il nome di fazenda era recente e il titolo di proprietà molto dubbio. Molto prima che il filo spinato circondasse l’area, lì lavoravano contadini che facevano delle loro coltivazioni lo scopo di vita e di sostentamento. Ma quando la fazenda si è installata, per i contadini sono incominciate le minacce e le persecuzioni. Era prudente consigliare i contadini a ritirarsi dall’area per evitare maggiori pericoli. La mattina del 24 luglio, Lele, era lì. Partì di buon mattino per questa missione di pace che, probabilmente, aveva intuito poter essere l’ultima. Ma partì lo stesso. Entrarono nella fazenda senza venire ostacolati e riunirono i contadini, ai quali comunicarono le preoccupazioni dei missionari. La riunione fu breve e, prima di mezzogiorno, stavano già tornando a casa. Ma gli uomini che li avevano fatti entrare senza battere ciglio, li circondarono in un istante. Un’imboscata. Sette sicari lo uccisero a sangue freddo, infierendo sul suo corpo, continuando a sparare nonostante Lele non ci fosse già più. Ottanta fori deturparono il suo corpo. Gli uomini fuggirono rapidamente, proprio come erano arrivati, lasciandolo in una pozza di sangue. Il suo corpo fu ritrovato crivellato da pallottole e da piombini di fucile da caccia. La camicia e i pantaloni macchiati di sangue, il volto sfigurato da un tiro di schioppo a bruciapelo, le braccia incrociate come in un atteggiamento di difesa.
Padre Ezechiele Ramin aveva solo 32 anni, gli ultimi 5 da sacerdote. L’ultimo anno passato tra la sua gente di Cacoal, in Brasile.
Perché fu ucciso? Lele era un missionario di pace. Voleva proteggere la gente e voleva che uscisse dalla fazenda, perché stava preparando una difesa giuridica per riconquistare la terra usurpata. Era un giovane entusiasta, tremendamente critico, determinato, che aveva preso a cuore la causa missionaria, per la quale è stato coerente fino alla fine. Era una figura ingombrante in una cittadina in cui i ricchi potenti spadroneggiavano e spadroneggiano tutt’ora. Ecco il motivo. La sua voglia di pace e di giustizia.
Quelle ottanta pallottole hanno ucciso Lele, è vero. Hanno anche garantito all’uomo di continuare a spadroneggiare in quelle terre. Ma non hanno ucciso il suo sogno. Il sogno di un mondo migliore in cui regni la pace. Lele non ha potuto collaborare con il Progetto Agata Smeralda. La mano degli assassini ha agito prima che potesse farlo. Ha fermato troppo presto la sua umana avventura. Ma davvero sento anche lui come una delle principali radici di questa bellissima storia d’amore che è giunta a 34 anni di vita.
La sua passione, il suo amore per i poveri, il suo impegno diretto, il suo martirio, sono una lampada sempre accesa per tutti coloro che, anche attraverso il Progetto Agata Smeralda, si prodigano a servizio dei bambini di strada e dei poveri di tante parti del mondo.
Il suo martirio non ha segnato solo la storia di Cacoal, è diventato un simbolo, un segnale della Chiesa, della giustizia sociale. E ciò viene ricordato molto e con frequenza dalle comunità in Brasile. È frequente trovare accampamenti dei senza terra con il nome di Padre Lele, nelle diverse parti del Brasile e non solo in Rondonia. Strade e piazze, scuole e centri di difesa dei diritti umani, centri di formazione per i giovani e radio comunitarie, comunità ecclesiali di base e gruppi di preghiera. Tutto intitolato a nome suo.
La lista è lunga, in molti luoghi: dal Brasile al Perù, dal Messico all’Italia, fino ad arrivare negli Stati Uniti. Padre Ezechiel Ramin viene ricordato per quella sua voglia di giustizia, per quella ricerca costante di pace e per il suo spirito puro e genuino. A Caocal, è nata la Scuola Famiglia Agricola Padre Ezechiele Ramin, a Salvador Bahia il Centro Afro di promozione e Difesa della Vita “Padre Ezechiele Ramin”, che aiuta più di 400 bambini e le loro famiglie grazie alla generosità della grande famiglia del Progetto Agata Smeralda.
Il “battesimo di sangue” di Padre Lele è l’espressione di una Chiesa latinoamericana che ha pagato a caro prezzo per le sue scelte e questa è una delle pagine più belle scritta dalla Chiesa lungo la sua storia. E Padre Lele è parte di essa, come Mons. Oscar Romero e i tanti altri martiri che si sono battuti strenuamente a colpi di gentilezza e sorrisi contro odio e armi. Perché Padre Lele sta ispirando tutti noi nel nostro impegno di carità, volto a far vincere la vita e la dignità umana sempre e ovunque. Ed è per questo che la sua figura deve essere tramandata.
La sua maglietta insanguinata appesa sul muro, subito dopo l’ingresso dell’ufficio della Parrocchia Santissima Trinità di Caocal, continua ad ispirarci. Sotto il quadro incorniciato con lo sfondo rosso e dorato che racchiude la maglietta c’è una foto di Lele con quel sorriso amichevole, ingenuo, da ragazzo che guarda il mondo con gli occhi di un sognatore. Accanto alla foto di Lele ce ne sono altre, di missionari comboniani uccisi nel mondo negli ultimi anni. Sono molti. La maggioranza italiani. Testimoni fedeli, sino alla morte. Ezechiele era un uomo coerente con la scelta per i poveri, e coraggiosamente si esprimeva con un linguaggio franco e diretto. Aveva preso particolarmente a cuore la causa degli indios e dei contadini senza terra. Si era accattivato la fiducia dei capi indios. Il problema delle terre in Rondonia è molto grave. 40.000 famiglie di agricoltori non hanno terra per coltivare. Venti gruppi indigeni sono minacciati nella loro cultura e sopravvivenza; questo rappresentava e rappresenta tutt’ora una situazione di ingiustizia sociale assurda e opprimente. La Chiesa si è messa dalla loro parte con una chiara scelta a favore dei più poveri e per questo è costantemente perseguitata e minacciata.
La morte di Padre Ezechiele accusa e condanna il peccato di questa società con una forza ancor maggiore delle sue coraggiose parole. Il suo fuoco ardente di verità, di giustizia, di compassione e il suo amore per quelli che non hanno voce e per i quali ha dato la vita, non possono e non devono essere dimenticati! Ai giovani di oggi, in un mondo sempre più povero di buoni esempi e di guide, serve una figura del genere. Perché Padre Ezechiele Ramin è un modello per la Chiesa di quarant’anni fa e lo è ancor di più per la Chiesa di oggi. Il suo percorso di Beatificazione deve proseguire spedito, senza ulteriori intoppi!
Perché, è vero, sono passati 40 anni da quel maledetto giorno. 40 anni da quando la sete di potere e la forza pensavano di aver vinto. Ma è davvero andata così? Con semplicità estrema, Padre Ezechiele Ramin ha dimostrato al mondo intero che la lotta per la pace è la più difficile da attuare, ma è l’unica che merita sacrifici! Ed è l’unica che viene ricordata, con sincerità.