Vita Chiesa

Papa Francesco a Corpo diplomatico: nazioni cerchino soluzioni comuni per non cadere nella sopraffazione

Il grazie per l’accordo provvisorio con la Cina. «Ringrazio il Signore che, per la prima volta dopo tanti anni, tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il successore di Pietro e con la Chiesa universale». Papa Francesco, nel tradizionale discorso di inizio d’anno al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha salutato uno dei più importanti traguardi raggiunti dalla diplomazia vaticana nell’anno appena trascorso: la firma dell’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi in Cina, avvenuta il 22 settembre scorso. Tale Accordo, ha ricordato Francesco, «è frutto di un lungo e ponderato dialogo istituzionale, mediante il quale si è giunti a fissare alcuni elementi stabili di collaborazione tra la Sede Apostolica e le Autorità civili». «Già in precedenza avevo riammesso nella piena comunione ecclesiale i restanti vescovi ufficiali ordinati senza mandato pontificio, invitandoli a operare generosamente per la riconciliazione dei cattolici cinesi e per un rinnovato slancio di evangelizzazione», ha sottolineato il Papa, secondo il quale «un segno visibile di ciò è stata anche la partecipazione di due vescovi dalla Cina Continentale al recente Sinodo dedicato ai giovani». L’auspicio è che «il prosieguo dei contatti sull’applicazione dell’Accordo Provvisorio siglato contribuisca a risolvere le questioni aperte e ad assicurare quegli spazi necessari per un effettivo godimento della libertà religiosa».

Dal Nicaragua al Vietnam. All’inizio del suo discorso, Francesco ha citato tra l’altro l’«amato Nicaragua», «la cui situazione seguo da vicino», ha assicurato, «con l’auspicio che le diverse istanze politiche e sociali trovino nel dialogo la strada maestra per confrontarsi per il bene dell’intera nazione». Tra gli altri segnali positivi del 2018, «il consolidamento delle relazioni tra la Santa Sede e il Vietnam, in vista della nomina, nel prossimo futuro, di un rappresentante pontificio residente, la cui presenza vuole essere innanzitutto una manifestazione della sollecitudine del successore di Pietro per la Chiesa locale». Non è mancato un riferimento al 70° anniversario del Consiglio d’Europa, organizzazione «con la quale la Santa Sede collabora da molti decenni e di cui riconosce il ruolo specifico nella promozione dei diritti umani, dello democrazia e dello Stato di diritto, in uno spazio che vuole abbracciare l’intero Continente europeo».

I populismi e la crisi del multilateralismo. Nel periodo tra le due guerre mondiali, «le propensioni populistiche e nazionalistiche prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni»: «Il riapparire oggi di tali pulsioni sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni». Questo il grido d’allarme lanciato dal Papa, che nel discorso al Corpo diplomatico ha citato san Paolo VI, il primo Papa a tenere un discorso «memorabile» all’Assemblea delle Nazioni Unite, che «tracciò le finalità della diplomazia multilaterale, le sue caratteristiche e responsabilità nel contesto contemporaneo, evidenziando anche gli elementi di contatto che esistono con la missione spirituale del Papa e dunque della Santa Sede». Menzionando il centenario della Società delle Nazioni, istituita con il trattato di Versailles firmato il 28 giugno 1919, Francesco l’ha definita «l’inizio della moderna diplomazia multilaterale, mediante la quale gli Stati tentano di sottrarre le relazioni reciproche alla logica della sopraffazione che conduce alla guerra». «L’esperimento della Società delle Nazioni conobbe ben presto quelle difficoltà, che portarono esattamente vent’anni dopo la sua nascita a un nuovo e più lacerante conflitto, quale fu la Seconda Guerra Mondiale», ha ricordato il Papa: «Nondimeno essa ha aperto una strada, che verrà percorsa con maggiore decisione con l’istituzione nel 1945 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: una strada sicuramente irta di difficoltà e di contrasti; non sempre efficace, poiché i conflitti purtroppo permangono anche oggi; ma pur sempre un’innegabile opportunità per le Nazioni di incontrarsi e di ricercare soluzioni comuni». «Premessa indispensabile del successo della diplomazia multilaterale sono la buona volontà e la buona fede degli interlocutori, la disponibilità a un confronto leale e sincero e la volontà di accettare gli inevitabili compromessi che nascono dal confronto tra le parti», la ricetta della Santa Sede: «Laddove anche uno solo di questi elementi viene a mancare, prevale la ricerca di soluzioni unilaterali e, in ultima istanza, la sopraffazione del più forte sul più debole. La Società delle Nazioni entrò in crisi proprio per questi motivi e, purtroppo, si nota che i medesimi atteggiamenti anche oggi stanno insidiando la tenuta delle principali Organizzazioni internazionali».

Attenzione al globale senza perdere di vista il locale. Di qui la necessità che «anche nel tempo presente non venga meno la volontà di un confronto sereno e costruttivo fra gli Stati, pur essendo evidente come i rapporti in seno alla comunità internazionale, e il sistema multilaterale nel suo complesso, stiano attraversando momenti di difficoltà, con il riemergere di tendenze nazionalistiche, che minano la vocazione delle Organizzazioni internazionali ad essere spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi». «Ciò è in parte dovuto a una certa incapacità del sistema multilaterale di offrire soluzioni efficaci a diverse situazioni da tempo irrisolte, come alcuni conflitti ‘congelati’, e di affrontare le sfide attuali in modo soddisfacente per tutti», l’analisi del Papa: «In parte, è il risultato dell’evoluzione delle politiche nazionali, sempre più frequentemente determinate dalla ricerca di un consenso immediato e settario, piuttosto che dal perseguimento paziente del bene comune con risposte di lungo periodo. In parte, è pure l’esito dell’accresciuta preponderanza nelle Organizzazioni internazionali di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee, innescando nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, della dignità e della sensibilità dei popoli. In parte, è la conseguenza della reazione in alcune aree del mondo ad una globalizzazione sviluppatasi per certi versi troppo rapidamente e disordinatamente, così che tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione». «Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista ciò che è locale», il monito di Francesco: «Dinanzi all’idea di una ‘globalizzazione sferica’, che livella le differenze e nella quale le particolarità sembrano scomparire, è facile che riemergano i nazionalismi, mentre la globalizzazione può essere anche un’opportunità nel momento in cui essa è ‘poliedrica’, ovvero favorisce una tensione positiva fra l’identità di ciascun popolo e Paese e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto è superiore alla parte».

Dal malessere ai nazionalismi. «Nella nostra epoca, preoccupa il riemergere delle tendenze a far prevalere e a perseguire i singoli interessi nazionali senza ricorrere a quegli strumenti che il diritto internazionale prevede per risolvere le controversie e assicurare il rispetto della giustizia, anche attraverso le Corti internazionali», ha osservato il Papa, che ha spiegato come «tale atteggiamento è talvolta frutto della reazione di quanti sono chiamati a responsabilità di governo dinanzi a un accentuato malessere che sempre più si sta sviluppando tra i cittadini di non pochi Paesi, i quali percepiscono le dinamiche e le regole che governano la comunità internazionale come lente, astratte e in ultima analisi lontane dalle loro effettive necessità». «È opportuno che le personalità politiche ascoltino le voci dei propri popoli e che ricerchino soluzioni concrete per favorirne il maggior bene», l’appello: «Ciò esige tuttavia il rispetto del diritto e della giustizia tanto all’interno delle comunità nazionali che in seno a quella internazionale, perché soluzioni reattive, emotive e affrettate potranno sì accrescere un consenso di breve respiro, ma non contribuiranno di certo alla soluzione dei problemi più radicali, anzi li aumenteranno». C’è «un’intima relazione fra la buona politica e la pacifica convivenza fra i popoli e le nazioni», la tesi di Francesco sulla scorta dell’ultimo Messaggio per la Giornata mondiale della pace, che «non è mai un bene parziale, ma abbraccia tutto il genere umano» e richiede la capacità di «perseguire il bene comune di tutti».

Il ruolo fondamentale della Dichiarazione sui diritti dell’uomo. «Alla politica è richiesto di essere lungimirante e di non limitarsi a cercare soluzioni di corto respiro», il monito del Papa, secondo il quale «il buon politico non deve occupare spazi, ma avviare processi; è chiamato a far prevalere l’unità sul conflitto, alla cui base vi è la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida». Tale considerazione tiene conto dalla dimensione trascendente della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio. «Il rispetto, della dignità di ogni essere umano è la premessa indispensabile per ogni convivenza realmente pacifica, e il diritto costituisce lo strumento essenziale per il conseguimento della giustizia sociale e per alimentare vincoli fraterni tra i popoli», ha proseguito Francesco sottolineando la necessità di tener conto della «dimensione trascendente della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio». Di qui il ruolo fondamentale della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, «di cui abbiamo da poco celebrato il 70° anniversario, il cui carattere universale, oggettivo e razionale sarebbe opportuno riscoprire, affinché non prevalgano visioni parziali e soggettive dell’uomo, le quali rischiano di aprire la via a nuove disuguaglianze, ingiustizie, discriminazioni e, in estremo, anche a nuove violenze e soprusi».

La Chiesa è dalla parte dei più deboli. «La Chiesa è da sempre impegnata nel sovvenire chi è nel bisogno e la Santa Sede stessa si è fatta, nel corso di questi anni, promotrice di diversi progetti a sostegno dei più deboli, che hanno ricevuto appoggio anche da diversi soggetti a livello internazionale»,  ha ricordato il Papa, nella parte del discorso al Corpo diplomatico dedicata alla «difesa dei deboli», ascoltando – come affermava Papa Montini – «la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso». Francesco ha citato, in particolare, «l’iniziativa umanitaria in Ucraina in favore della popolazione sofferente, soprattutto nelle regioni orientali del Paese, a causa del conflitto che perdura da quasi cinque anni e che ha avuto alcuni recenti preoccupanti sviluppi nel Mar Nero»: «Con un’attiva partecipazione delle Chiese cattoliche d’Europa e dei fedeli di altre parti del mondo che hanno raccolto il mio appello del maggio 2016, e con la collaborazione di altre Confessioni e delle Organizzazioni internazionali, si è cercato di venire incontro, in modo concreto, alle prime necessità degli abitanti dei territori colpiti, che sono le prime vittime della guerra», il riconoscimento del Papa. «La Chiesa e le sue varie istituzioni proseguiranno questa loro missione, nell’intento di attirare una maggiore attenzione anche su altre questioni umanitarie, tra cui quella riguardante la sorte dei prigionieri, tuttora numerosi», ha assicurato Francesco: «Col proprio operato e la vicinanza alla popolazione, la Chiesa cerca di incoraggiare, direttamente e indirettamente, percorsi pacifici per la soluzione del conflitto, percorsi rispettosi della giustizia e della legalità, compresa quella internazionale, fondamento della sicurezza e della convivenza nell’intera regione. A tal fine, sono importanti gli strumenti che garantiscono il libero esercizio dei diritti religiosi».

«Dare voce a chi non ha voce», in particolare alle «vittime delle altre guerre in corso, specialmente di quella in Siria, con l’immenso numero di morti che ha causato». È l’appello del Papa, che nel discorso al Corpo diplomatico ha rivolto un ennesimo invito «alla comunità internazionale perché si favorisca una soluzione politica ad un conflitto che alla fine vedrà solo sconfitti». Soprattutto «è fondamentale», per Francesco, «che cessino le violazioni del diritto umanitario, che provocano indicibili sofferenze alla popolazione civile, specialmente donne e bambini, e colpiscono strutture essenziali come gli ospedali, le scuole e i campi-profughi, nonché gli edifici religiosi». «Non si possono poi dimenticare i numerosi profughi che il conflitto ha causato, mettendo anzitutto a dura prova i Paesi limitrofi», ha proseguito il Papa esprimendo ancora una volta «gratitudine alla Giordania e al Libano che hanno accolto con spirito fraterno e con non pochi sacrifici, numerose schiere di persone, esprimendo in pari tempo l’auspicio che i rifugiati possano fare rientro in patria, in condizioni di vita e di sicurezza adeguate. Il mio pensiero va pure ai diversi Paesi europei che hanno generosamente offerto ospitalità a chi si è trovato in difficoltà e pericolo». «Tra quanti sono stati toccati dall’instabilità che da anni coinvolge il Medio Oriente vi sono specialmente i cristiani, che abitano quelle terre dai tempi degli Apostoli e che nei secoli hanno contribuito a edificarle e forgiarle», l’altro appello di Francesco: «È oltremodo importante che i cristiani abbiano un posto nel futuro della Regione, e dunque incoraggio quanti hanno cercato rifugio in altri luoghi di fare il possibile per ritornare alle loro case e comunque a mantenere e a rinsaldare i legami con le comunità d’origine. In pari tempo, auspico che le autorità politiche non manchino di garantire loro la necessaria sicurezza e tutti gli altri requisiti che permettano ad essi di continuare a vivere nei Paesi di cui sono cittadini a pieno titolo e contribuire alla loro costruzione».

I prossimi viaggi in Paesi islamici. «Purtroppo, nel corso di questi anni, la Siria e in generale tutto il Medio Oriente si sono trovati ad essere teatro di scontro di molteplici interessi contrapposti», ha fatto notare il Papa, secondo il quale «oltre a quelli preminenti di natura politica e militare, non bisogna tralasciare pure il tentativo di frapporre inimicizia fra musulmani e cristiani», che nonostante «dissensi e inimicizie» in diversi luoghi del Medio Oriente «hanno potuto per lungo tempo convivere pacificamente». «Prossimamente avrò l’occasione di recarmi in due Paesi a maggioranza musulmana, il Marocco e gli Emirati Arabi Uniti», ha annunciato Francesco: «Si tratterà di due importanti opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil».

«Tra i deboli del nostro tempo che la comunità internazionale è chiamata a difendere ci sono, insieme ai rifugiati, anche i migranti». È il tema della parte centrale del sesto discorso del Papa, che – come nei precedenti – ha richiamato ancora una volta «l’attenzione dei governi affinché si presti aiuto a quanti sono dovuti emigrare a causa del flagello della povertà, di ogni genere di violenza e di persecuzione, come pure delle catastrofi naturali e degli sconvolgimenti climatici, e affinché si facilitino le misure che permettono la loro integrazione sociale nei Paesi di accoglienza». «Occorre che ci si adoperi perché le persone non siano costrette ad abbandonare la propria famiglia e nazione, o possano farvi ritorno in sicurezza e nel pieno rispetto della loro dignità e dei loro diritti umani», ha proseguito Francesco, secondo il quale «ogni essere umano anela a una vita migliore e più felice e non si può risolvere la sfida della migrazione con la logica della violenza e dello scarto, né con soluzioni parziali». «Non posso dunque che essere grato per gli sforzi di tanti governi e istituzioni che, mossi da generoso spirito di solidarietà e di carità cristiana, collaborano fraternamente in favore dei migranti», l’omaggio del Papa, che ha menzionato tra questi la Colombia, che, «insieme con altri Paesi del continente, negli ultimi mesi ha accolto un ingente numero di persone provenienti dal Venezuela». «Sono consapevole che le ondate migratorie di questi anni hanno causato diffidenza e preoccupazione tra la popolazione di molti Paesi, specialmente in Europa e nel Nord America, e ciò ha spinto diversi governi a limitare fortemente i flussi in entrata, anche se in transito», l’analisi di Francesco: «Tuttavia, ritengo che a una questione così universale non si possano dare soluzioni parziali», ha aggiunto sollecitando, di fronte alle «recenti emergenze», »una risposta comune, concertata da tutti i Paesi, senza preclusioni e nel rispetto di ogni legittima istanza, sia degli Stati, sia dei migranti e dei rifugiati».

In tale prospettiva, la Santa Sede si è adoperata attivamente nei negoziati e per l’adozione dei due Global Compacts sui Rifugiati e sulla Migrazione sicura, ordinata e regolare, definiti dal Papa «un importante passo avanti per la comunità internazionale che, nell’ambito delle Nazioni Unite, affronta per la prima volta a livello multilaterale il tema in un documento di rilievo». «Nonostante la non-obbligatorietà giuridica di questi documenti e l’assenza di vari Governi alla recente Conferenza delle Nazioni Unite a Marrakech – ha puntualizzato Francesco – i due Compacts saranno importanti punti di riferimento per l’impegno politico e per l’azione concreta di organizzazioni internazionali, legislatori e politici, come pure per coloro che sono impegnati per una gestione più responsabile, coordinata e sicura delle situazioni che riguardano i rifugiati e i migranti a vario titolo». Di entrambi i Patti, la Santa Sede apprezza «l’intento e il carattere che ne facilita la messa in pratica, pur avendo espresso riserve circa quei documenti, richiamati nel Patto riguardante le migrazioni, che contengono terminologie e linee guida non corrispondenti ai suoi principi circa la vita e i diritti delle persone».

«Gli abusi contro i minori costituiscono uno dei crimini più vili e nefasti possibili. Essi spazzano via inesorabilmente il meglio di ciò che la vita umana riserva ad un innocente, arrecando danni irreparabili per il resto dell’esistenza». Sono nette e inequivocabili le parole dedicate dal Papa ad «una delle piaghe del nostro tempo, che purtroppo ha visto protagonisti anche diversi membri del clero» e che richiede «una seria riflessione sui passi compiuti per vigilare sul bene dei nostri piccoli e sul loro sviluppo sociale e intellettuale, come pure sulla loro crescita fisica, psichica e spirituale». «La Santa Sede e la Chiesa tutta intera si stanno impegnando per combattere e prevenire tali delitti e il loro occultamento, per accertare la verità dei fatti in cui sono coinvolti ecclesiastici e per rendere giustizia ai minori che hanno subìto violenze sessuali, aggravati da abusi di potere e di coscienza», ha sottolineato Francesco citando l’imminente appuntamento da lui convocato in Vaticano: «L’incontro che avrò con gli episcopati di tutto il mondo nel prossimo febbraio intende essere un ulteriore passo nel cammino della Chiesa per fare piena luce sui fatti e lenire le ferite causate da tali delitti». «I giovani sono il futuro», ha affermato il Papa citando il recente Sinodo dei vescovi e l’imminente viaggio a Panama per la Giornata mondiale della gioventù: «È’ quanto mai necessario investire in iniziative che permettano alle prossime generazioni di costruirsi un avvenire, avendo la possibilità di trovare lavoro, formare una famiglia e crescere dei figli», l’appello. «Duole constatare che nelle nostre società, tante volte caratterizzate da contesti familiari fragili, si sviluppano comportamenti violenti anche nei confronti delle donne, la cui dignità è stata al centro della Lettera Apostolica Mulieris dignitatem, pubblicata trent’anni or sono dal santo Pontefice Giovanni Paolo II», l’altra denuncia del Papa, secondo il quale «davanti alla piaga degli abusi fisici e psicologici sulle donne, c’è l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, nelle quali ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità, mentre la promozione di talune forme di indifferenziazione rischia di snaturare lo stesso essere uomo o donna».

«Se non adeguatamente tutelato, il lavoro cessa di essere il mezzo attraverso il quale l’uomo si realizza e diventa una moderna forma di schiavitù». Nel discorso al Corpo diplomaticoFrancesco  ha speso parole anche per «una piaga del nostro tempo» come «le condizioni dei lavoratori». «Cento anni fa – ha ricordato Francesco – nasceva l’Organizzazione internazionale del lavoro , che si è adoperata per favorire condizioni adeguate di lavoro e accrescere la dignità degli stessi lavoratori». «Dinanzi alle sfide del nostro tempo, prime fra tutte il crescente sviluppo tecnologico che sottrae posti di lavoro e il venir meno di garanzie economiche e sociali per i lavoratori – l’appello del Papa – esprimo l’auspicio che l’Organizzazione internazionale del lavoro continui ad essere, al di là degli interessi parziali, esempio di dialogo e concertazione per il raggiungimento dei suoi alti obiettivi». «In questa sua missione – ha proseguito Francesco – essa è chiamata ad affrontare, con altre istanze della comunità internazionale, anche la piaga del lavoro minorile e delle nuove forme di schiavitù, così come una progressiva diminuzione del valore delle retribuzioni, specialmente nei Paesi sviluppati, e la persistente discriminazione delle donne negli ambienti lavorativi».

«Non solo il mercato delle armi non sembra subire battute d’arresto, ma anzi vi è una sempre più diffusa tendenza ad armarsi, tanto da parte dei singoli che da parte degli Stati». Questa la denuncia del Papa che nel finale del suo discorso si è detto preoccupato per il fatto «il disarmo nucleare, ampiamente auspicato e in parte perseguito nei decenni passati, stia ora lasciando il posto alla ricerca di nuove armi sempre più sofisticate e distruttive». «Anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano», l’appello di Francesco, secondo il quale «le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà».

«Ripensare il nostro destino comune nel contesto attuale significa anche ripensare il rapporto col nostro pianeta», ha osservato il Papa: «Anche quest’anno indicibili disagi e sofferenze provocate da alluvioni, inondazioni, incendi, terremoti e siccità hanno colpito duramente le popolazioni di varie regioni del continente americano e del sud-est asiatico. Tra le questioni su cui è particolarmente urgente trovare un accordo in seno alla comunità internazionale vi è dunque la cura dell’ambiente e il cambiamento climatico». Citando il «consenso raggiunto» alla recente Conferenza internazionale sul clima (COP-24) svoltasi a Katowice, Francesco ha auspicato «un impegno più deciso da parte degli Stati a rafforzare la collaborazione nel contrastare con urgenza il preoccupante fenomeno del riscaldamento globale. La Terra è di tutti e le conseguenze del suo sfruttamento ricadono su tutta la popolazione mondiale, con effetti più drammatici in alcune regioni. Tra queste vi è l’Amazzonia, che sarà al centro della prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi prevista in Vaticano nel mese di ottobre, la quale, pur trattando principalmente dei cammini di evangelizzazione per il popolo di Dio, non mancherà anche di affrontare le problematiche ambientali in stretto rapporto con le ricadute sociali».

Trent’anni fa cadeva il Muro di Berlino. «Nel contesto attuale, in cui prevalgono nuove spinte centrifughe e la tentazione di erigere nuove cortine, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di amicizia e avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra». Il Papa ha concluso il suo discorso al Corpo diplomatico ricordando che il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino. «Da lì a pochi mesi si sarebbe posto fine all’ultimo retaggio del secondo conflitto mondiale», le parole di Francesco: «La lacerante divisione dell’Europa decisa a Yalta e la guerra fredda. I Paesi a est della cortina di ferro ritrovarono la libertà dopo decenni di oppressione e molti di essi iniziarono a incamminarsi lungo la strada che li avrebbe portati ad aderire all’Unione Europea». L’11 febbraio di novant’anni fa nasceva lo Stato della Città del Vaticano, in seguito alla firma dei Patti Lateranensi fra la Santa Sede e l’Italia, ha ricordato infine il Papa: «Si chiudeva così il lungo periodo della ‘questione romana’ seguito alla presa di Roma e alla fine dello Stato Pontificio. Con il Trattato Lateranense la Santa Sede poteva disporre di ‘quel tanto di territorio materiale che è indispensabile per l’esercizio di un potere spirituale affidato ad uomini in beneficio di uomini’, come ebbe ad affermare Pio XI, e con il Concordato la Chiesa poté nuovamente contribuire appieno alla crescita spirituale e materiale di Roma e di tutta l’Italia, una terra ricca di storia, di arte e di cultura, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare». «In questa ricorrenza, assicuro al popolo italiano una speciale preghiera affinché, nella fedeltà alle proprie tradizioni, mantenga vivo quello spirito di fraterna solidarietà che lo ha lungamente contraddistinto», l’augurio per il nostro Paese.