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Pasqua, la vita ha sempre la meglio sulla morte

L'editoriale di monsignor Fausto Tardelli, vescovo di Pescia e di Pistoia, scritto per Toscana Oggi

Morte e risurrezione. Un accostamento sicuramente sorprendente perché fuori dalla nostra esperienza. Noi conosciamo infatti il binomio vita e morte; quello sì, lo abbiamo ben presente.

Sappiamo come la vita sia ineluttabilmente segnata da un destino di morte. Si nasce e già si comincia a morire. È un fatto, anche se ciò contrasta coi desideri più profondi del nostro essere. Della morte noi conosciamo infatti ciò che l’accompagna e non ci piace per niente: il distacco, lo spezzarsi dei legami d’affetto, il venir meno spesso nella sofferenza del nostro corpo, l’incognita sul dopo.

La vita è perennemente minacciata, sospesa a un filo, e noi questo lo sappiamo benissimo. Sebbene misteriose quanto il cuore umano, queste dinamiche non ci sono sconosciute. Conosciamo la lotta che si consuma tra la vita e la morte, tra eros e thanatos, tra il caos e l’ordine. Invece non sappiamo niente di risurrezione dai morti.

Questo è il punto. La sua conoscenza è affidata soltanto alla fede. Perciò l’annuncio cristiano che da duemila anni squarcia la notte del mondo è davvero sorprendente. Impossibile assuefarsi a tale annuncio; quello cioè di un uomo che morto e sepolto è tornato in vita per mai più morire e vivere una vita pienamente umana ma trasfigurata e nuova.

Annuncio ancor più stupefacente perché non vuol essere immagine simbolica o poetica per dire che quell’uomo ha continuato in qualche modo a vivere, a essere cioè presente nel cuore dei suoi discepoli anche dopo la sua morte; talmente vivo nel ricordo, da motivarne lo slancio missionario lungo i secoli.

Il kerigma, cioè l’annuncio della morte e risurrezione di Cristo, è comunicazione di un fatto reale e concreto: un uomo che si diceva figlio di Dio, che non cessò di fare del bene e di amare fino all’ultimo istante della sua vita; che fu inchiodato a una croce e sepolto esanime in un sepolcro, in quel sepolcro non fu più trovato, dopo tre giorni, come aveva predetto. Anzi, quel Gesù, pur coi segni della passione e della morte, fu visto e toccato; con lui si mangiò e si bevve, lo si udì parlare, vivo più che mai, trasfigurato in una nuova e luminosa esistenza.

Ecco ciò che racconta l’incredibile annuncio cristiano. Al saluto gioioso, «Cristo è risorto!» che ancora oggi nelle chiese d’oriente ci si scambia per Pasqua, si è soliti rispondere: «Sì. È veramente risorto!», a sottolineare e rimarcare proprio la realtà del fatto. Lo si può accettare giudicandolo credibile oppure no, ritenendolo una favola. Poco importa.

L’annuncio pasquale è quello e porta con sé una formidabile speranza: che nel duello sempre ingaggiato tra la morte e la vita, è la vita ad avere la meglio mentre la morte, quella minaccia che incombe sul vivere umano, perde il suo pungiglione.

Da minacciosa si fa «sorella», come dice Francesco nel cantico di frate sole. Passaggio sempre doloroso e lacerante ma passaggio, transito, verso una pienezza di vita; simile al parto per cui si viene alla luce. «Mors et vita duello conflixere mirando», canta un antico inno di Pasqua: la morte e la vita si sono fronteggiate in un grandioso e mirabile duello.

«Dux vitae mortuus, regnat vivus»: il Signore della vita fu ucciso e la morte sembrò vincerlo per sempre, in realtà egli regna vivo, vittorioso sulla morte. L’annuncio pasquale racconta di questo fatto inaudito. Se fosse menzogna, se dicesse il falso, davvero non ci sarebbe alcuna speranza per l’uomo. Davvero tutto sarebbe inevitabilmente destinato a perire.

E il nostro sempre inappagato desiderio d’amore e di vita finirebbe per essere un tragico inganno, una dolorosa illusione. Al contrario, Colui che fu morto e risorse e che ai suoi affidò il compito di diffondere questa buona notizia, ci dice che chi lo segue e si apre all’amore generoso dell’altro, già fin d’ora passa dalla morte alla vita e oltre la morte sperimenterà pienezza di gioia.

Molti hanno creduto in lui e in suo nome hanno inondato il mondo d’amore, curando piaghe e ferite, consolando e riappacificando cuori affranti e divisi. Molti per questo hanno versato anche tutto il loro sangue, eppure non sono stati sconfitti.