Cultura & Società

Pasque di sangue: Una vicenda editoriale che deve far riflettere

DI FRANCO CARDINI

Ai primi del febbraio scorso, l’Editrice bolognese il Mulino ha pubblicato il corposo volume Pasque di sangue (pp. 366) dello storico italo-israeliano Ariel Toaff, docente nella Bar-Ilan University presso Tel Aviv e figlio d’un personaggio noto, stimato e anche molto amato da ebrei e non ebrei, soprattutto in Toscana: il livornese Elio Toaff, già Gran Rabbino della Comunità romana. La tesi del Toaff è uno sconvolgente caso di «revisionismo»: in sintesi, egli formula l’ipotesi che dietro la sinistra leggenda degli infanticidi rituali di bambini cristiani, dei quali gli ebrei si sarebbero resi responsabili nel giorno di Pasqua, potesse celarsi qualche effettivo caso criminoso.

Il libro di Ariel Toaff ha avuto un drammatico, per molti aspetti doloroso destino: è stato fin dai primi giorni immediatamente seguenti la sua pubblicazione causa di così dure e violente polemiche da indurre a metà mese (quindi pochissimi giorni dopo l’uscita) il suo Autore a chiedere all’Editore di ritirarlo dal commercio. Fin dalle prime battute, il libro ha provocato alcune recensioni entusiaste (io stesso lo avevo definito, dopo una troppo rapida lettura, «una ricerca metodologicamente esemplare») ma anche giudizi durissimi da parte di storici d’indubbia competenza. Ma, soprattutto, ha determinato un duro giudizio da parte dei rabbini delle Comunità ebraiche italiane e reazioni molto forti dall’interno delle Comunità stesse, soprattutto quella romana dalla quale il Toaff proviene. La vicenda ha portato Ariel Toaff a subìre un’inchiesta da parte della sua Università e addirittura una condanna formale dalla commissione culturale della Knesset, il parlamento israeliano. Ma dinanzi a questi eventi molti storici, che pur avevano condannato il libro sotto il profilo scientifico, hanno reagito indignati: la libertà della ricerca storica non può essere politicamente e giuridicamente limitata, né si può stabilire la verità storica per legge.

Personalmente, debbo dire che una lettura più attenta del libro del Toaff, accompagnata dalla considerazione dei rilievi che gli hanno mosso alcuni autorevoli colleghi, mi ha indotto a rivedere il mio primitivo e precipitoso giudizio entusiastico, per quanto continui a ritenerlo un libro importante e degno di discussione e a lamentarne il ritiro. Ma se era stata la precipitazione a farmi sbagliare, ero in buona compagnia: anche molti giudizi negativi non potevano essere stati espressi con maggior ponderatezza del mio, in quanto era obiettivamente mancato a tutti il tempo per riflettere a fondo su quella ponderosa opera.

Ora, siamo tutti molto imbarazzati. È giusto continuar a parlare d’un libro che il suo Autore ha sconfessato? E, dal momento che egli ha promesso di proporcene al più presto una nuova edizione riveduta e corretta, non sarebbe corretto aspettare tale versione? D’altronde, Ariel Toaff ha dato l’impressione di essere stato indotto al grave passo non tanto da una convinzione profondamente maturata (anche per ciò sarebbe mancato il tempo), quanto da forti pressioni ricevute. Si è addirittura parlato di ricatti professionali e perfino di minacce. Insomma, una triste faccenda: contro di lui, almeno da parte di alcuni ambienti, si è messo in atto un vero e proprio linciaggio morale. Ciò impone a chiunque sia e voglia restar intellettualmente onesto di dichiarare nei confronti di Ariel Toaff una ferma solidarietà, indipendentemente dal giudizio scientifico da formulare sul suo libro.

Tutto ciò fa comunque apparire opportuna la lettura (nella pagina accanto) dell’equilibrato saggio di Roni Weinstein, che dà con chiarezza e sobrietà conto della problematica dell’opera ed esprime critiche ispirate a misura, competenza e serenità. Dal canto mio, vorrei solo far notare alcuni punti, a proposito dei quali mi permetto di discostarmi dall’autorevole opinione del Weinstein:

1) il fatto che il libro non presenti documenti nuovi e sconosciuti, non è di per sé limitativo del suo valore. Un’opera storica può benissimo fondarsi sulla rilettura di fonti già note. La storia non è solo scoperta e pubblicazione di fonti: è anche, e soprattutto, esegesi;

2) vero è che il Toaff non offre prove di quanto ipotizza (le sue sono infatti non «tesi», bensì «ipotesi»), dal momento che egli si fonda su indizi. Il «paradigma indiziario» è stato messo a punto anni fa da Carlo Ginzburg, per quanto egli abbia accusato il Toaff di averlo usato scorrettamente;

3) mi sembra tuttavia che gli indizi raccolti dal Toaff siano tali da consentirci di accettare l’ipotesi che qualche caso isolato di follìa, di criminalità o anche solo di atroce vendetta da parte di isolati gruppi che reagivano così a secolari soprusi possa esserci stato e a considerare che delitti di tale genere possano esser maturati in alcuni ambienti ashkenaziti dato il loro particolare rapporto con la «cultura del sangue», che poteva condurre a deviazioni di tipo magico ed ereticale (ma le Comunità non possono comunque esser chiamate nel loro complesso responsabili di eventuali delitti isolati);

4) credo invece improbabile l’ipotesi che potessero esistere davvero sètte che sistematicamente si davano a questi delitti;

5) la rilettura dei verbali d’interrogatorio (con relativa applicazione della tortura) da parte del Toaff non tende affatto ad accettarne la veridicità, ma sottolinea che le confessioni estorte non sempre e necessariamente debbano considerarsi false. Sotto tortura, il torturato finisce sempre col confessare quello che vuole il torturatore, ma di per sé nulla ci assicura che la volontà di quest’ultimo persegua sempre e comunque il contrario della verità. Di per sé, la confessione sotto tortura prova solo che essa è stata estorta: ma non ci dice nulla di sicuro né sull’autenticità, né sulla falsità dei suoi contenuti, che andranno dedotte da altre risorse metodologiche (e va comunque ricordato che non tutte le vittime sono «innocenti»);

6) mi sembra fuori luogo il paragone con il volo delle streghe. Certo che le streghe, confessando di aver volato e di aver amoreggiato col demonio, mentivano dietro le pressioni dei loro accusatori: volare e accoppiarsi fisicamente con uno spirito sono cose impossibili. Esse tuttavia erano spesso ree di crimini effettivi, come aborto e veneficio. Al pari di tali delitti, l’infanticidio è cosa nell’ordine del possibile;

7) resta impossibile a credere, in ogni caso, che un ebreo, anche se folle o criminale o accecato dall’odio, potesse contaminare i pani azzimi e il carattere sacro del Pesach con qualcosa di orribile (per gli ebrei, come per i musulmani, molto più che per i cristiani) come il sangue umano.

Sia chiaro che tra Roni Weinstein e me c’è comunque un’enorme differenza: egli è specificamente competente in quest’ordine di problemi, mentre io non lo sono; i suoi argomenti hanno peso ben più consistente dei miei. D’altronde, la sede (prestigiosa, ma non strettamente scientifica) nella quale il libro ha fatto la sua comparsa, la bella «Biblioteca storica» del Mulino, autorizza anche chi non è a pieno titolo «addetto ai lavori» ad avanzare qualche osservazione.

Mi sembra comunque che, rispetto al tono della polemica che ormai sembra almeno per il momento chiusa, e che ha registrato toni spiacevoli e ingiuste accuse ad Ariel Toaff, l’articolo del Weinstein rappresenti sia per il tono, sia per gli argomenti, un deciso passo avanti verso il recupero della serenità critica. È forse giusto dire che questo libro rappresenta una «occasione sprecata», e senza dubbio è corretto lamentare che a nuocergli è stato il clamore massmediale che gli si è sollevato attorno (ma del quale non direi che sia l’Autore il responsabile, per quanto egli possa aver cercato visibilità). Il Weinstein rileva che uno dei due filoni della ricerca del Toaff, quello della ricerca antropologica relativa alle tradizioni ashkenazi, ha comunque una rilevanza importante ed accorda al libro originalità e profondità di studio, per quanto gli rimproveri conclusioni forzate e tendenziose. È un parere del tutto condivisibile. Ciò induce ad esortare Ariel Toaff a superare le comprensibile crisi anche personale che il drammatico sviluppo della vicenda legata alla pubblicazione di questo libro ha comportato, a non lasciarsi intimidire e ad insistere in una ricerca importante, che può rivelarci sul serio aspetti significativi di un mondo sommerso e dimenticato.

Tra facili verità e verità scomode

di Roni Weinstein*

Dopo aver dichiarato a un giornale israeliano che non rinuncerà mai alla sua verità, al rischio di essere crocifisso da tutto il mondo, Ariel Toaff ha chiesto alla casa editrice Il Mulino di bloccare la distribuzione del suo libro. Così, prima ha reagito alle accuse vestendo i panni cristologici della vittima, e poi è passato all’abiura, mostrandosi pentito davanti alla severa corte inquisitoriale degli storici. La presunta vittima ha motivato quest’atto di auto-censura adducendo sia ragioni personali che religiose – proteggere il gruppo religioso d’appartenenza –; lasciando intendere che i suoi giudizi siano di per sé corretti, ma che le circostanze della loro pubblicazione e i travisamenti operati dai media lo abbiano costretto a rinunciarvi. Cosa resta da aggiungere dopo gli interventi critici degli storici più qualificati? Rimane l’obbligo di ribadire e tenere a mente che si tratta di un libro la cui tesi centrale non regge ad un’attenta verifica storica.

L’argomentazione di Ariel Toaff si dipana a partire da due filoni d’indagine, seguendo una climax che conduce il lettore alla sconcertante rivelazione: le accuse rivolte agli ebrei di usare del sangue cristiano nei loro riti pasquali avrebbero un fondamento di verità, ed è dunque probabile che per procurarselo commettessero degli omicidi, in particolare di bambini. Nel primo filone d’indagine Toaff si avvale delle testimonianze rilasciate sotto tortura dagli imputati di un processo inquisitoriale celebrato a Trento nel 1475 a seguito dell’omicidio di un bambino cristiano, poi innalzato agli onori degli altari col nome di San Simonino. Contrariamente a tutti gli altri storici che si sono occupati della vicenda, Toaff ha ritenuto di dar credito alle loro deposizioni, anche perché concordanti con le rivelazioni di alcuni ebrei convertiti, che accettarono di avvalorare quell’accusa calunniosa, in seguito resa popolare dal Fortalitium Fidei di Alfonso de Espina, un libro polemico, tra i più duri apparsi nel Medioevo. Occorre una certa cautela critica nel vagliare le deposizioni estorte con la tortura o rilasciate da convertiti, persone dalle quali si pretendono sempre nuove prove di fedeltà, e che si vedono costrette, sotto pressioni psicologiche fortissime, a rinnegare in modo plateale e irreversibile la loro precedente identità religiosa e sociale.

Toaff è perfettamente consapevole di tutti questi problemi, più volte richiamati nel libro, ma poi, al momento di confrontarsi con le fonti, pare che se ne dimentichi. Le risultanze del processo di Trento sono ritenute affidabili ed a Toaff non rimane che esporre una ragnatela di storie la cui funzione, nell’economia dell’argomentazione, è quella di rafforzare la tesi centrale del libro. Il Medioevo e la prima età moderna forniscono molti esempi di stereotipi calunniosi elaborati dalle maggioranze; così è stato per i lebbrosi, accusati di congiurare contro il cristianesimo, o per i Templari, divenuti dei nemici da emarginare; mentre la veridicità delle accuse non resta certo garantita dal procedimento giudiziario.

L’esame di documenti come quelli usati da Toaff esige qualche avvertenza critica: la macchina giudiziaria è uno strumento d’accertamento della verità solo in teoria, perché poi nei fatti può essere usata cinicamente per distorcerla. Fino a che punto possono essere ritenute attendibili le deposizioni degli imputati? Un problema così delicato è risolto da Toaff col proverbiale colpo di spada. Le voci dei torturati, così come risultano agli atti, diventano degne di fede, e possono apparire nei primi capitoli del libro tra le prove a carico. L’ipotesi implicita è che queste dichiarazioni parlino di per sé, e che per comprenderne il significato si possa fare a meno di collocarle nel loro contesto. Il mestiere dello storico, allora, diventa poca cosa; e diventa persino un mestiere poco rispettabile, se i dettagli del quadro che possono apparire dissonanti vengono piegati alla tesi che si è deciso di dimostrare. Così, se alcuni ebrei sono scagionati dall’accusa di omicidio rituale si può sempre pensare che debbano la loro libertà a dei giudici corrotti. Il libro non si avvale di nuovi documenti; si limita a proporre un’interpretazione suggestiva di quel che è già ampiamente noto. Non c’è niente di male in questo. Ma come reagiremmo se qualcuno proponesse una nuova lettura del Malleus Maleficarum, un classico della cultura inquisitoriale, sostenendo la veridicità dei voli notturni delle streghe e della loro congiunzione col demonio?

Nel 1993 lo storico israeliano Israel Yuval pubblicò un articolo in cui cercava di dare una spiegazione alle prime accuse di omicidi rituali rivolte agli ebrei. Durante la prima crociata, nel 1096, alcuni genitori ebrei avrebbero immolato i figli pur di sottrarli al battesimo, autorizzando, nei cristiani, una supposizione che, secondo Yuval, sarebbe all’origine della credenza negli omicidi rituali di bambini: se per odio della religione cristiana gli ebrei sono addirittura capaci di uccidere i propri figli, non c’è niente che possa trattenerli dall’uccidere i figli degli altri, in particolare i figli degli odiati cristiani. La ricostruzione non era fondata su prove documentarie convincenti, ma fece ugualmente un grande clamore in Israele, e fuori d’Israele, nell’ambiente dei Jewish Studies, perché andò a toccare uno dei tabù della cultura ebraica, cioè la tradizione ashkenazita.

Il secondo filone di indagine di Toaff riguarda appunto la cultura ashkenazita nell’Europa settentrionale e nelle sue ramificazioni italiane, in particolare alcuni cosiddetti «circoli fondamentalisti dell’ortodossia ashkenazita». I due termini – «ortodossia» e «fondamentalismo» – sono inappropriati nel contesto medievale, ma si prestano a fornire una spiegazione di atti tanto orribili come le uccisioni dei bambini. Le prove sono ricercate da Toaff in espressioni rituali e gestuali che denotano effettivamente una volontà di vendetta verso il mondo cristiano, la cui sconfitta è considerata una condizione necessaria per la salvezza del popolo di Israele. Questo sentimento di vendetta trova piena espressione durante la pasqua, una festività ebraica che è nello stesso tempo al culmine del calendario liturgico cristiano. Durante la pasqua gli ebrei ashkenaziti erano soliti, secondo Toaff, mescolare del sangue cristiano nel vino e nel pane azzimo per esprimere il loro odio e le loro aspirazioni di vendetta. Ancora ipotesi e congetture, perché anche qui di prove documentarie non ce n’è neanche l’ombra. Il presupposto, di natura psicologica, è simile a quello che Yuval scorge in coloro che, a suo dire, gettarono le basi della credenza: una minoranza fanatica può spingere il suo antagonismo violento fino a commettere atti nefandi.

Ma il sangue non è solo legato a rituali che esprimono odio interreligioso. Esiste una fascinazione per la potenza magica e terapeutica del sangue. Le numerose citazioni tratte da libri che intrecciano medicina e magia servono a Toaff per ravvicinare le credenze degli ashkenaziti al mondo magico non ebraico, e al suo profondo interesse per il sangue, già messo in luce da Piero Camporesi. Una volta dimostrato che presso questa piccola minoranza esisteva un uso del sangue come mezzo per rinnovare l’anima e il corpo, e per risanare le ferite (inclusa quella della circoncisione), basta fare un piccolo passo, secondo Toaff, per arrivare ad immaginare che fosse in particolare il sangue del nemico ad entrare a far parte di medicamenti magici. Peccato però che questo interesse per le virtù terapeutiche del sangue non fosse una prerogativa degli ebrei ashkenaziti, e che fosse comune, ad esempio, ad alcuni circoli intellettuali della società italiana del quattrocento. Negli scritti di Marsilio Ficino ci sono alcune affascinanti discussioni che vertono sulla capacità del sangue di ringiovanire i corpi. C’è da dubitare, tuttavia, che questa convinzione incitasse gli umanisti a Firenze a procurarsi il sangue attraverso l’omicidio.

È in questa parte del libro il contributo più interessante alla storia della società ebraica e, in particolare, alla storia della sua componente ashkenazita. Gli ashkenaziti vi sono ritratti immersi in pratiche e credenze magiche, mostrando così un aspetto della loro cultura che gli studiosi fin qui hanno preferito ignorare. Un indice rivelatore di questa tendenza ci è dato dalle ricerche su Il Libro dei Pietisti, uno dei prodotti fondamentali della cultura ashkenazita, composto in maniera collettiva nel corso dell’XI e XII secolo. Nato tra l’élite, il libro si diffuse in altri contesti culturali al di fuori della Germania, e divenne una delle fonti fondamentali del misticismo e pietismo ebraico della prima età moderna. Gli sono state dedicate decine di ricerche, che hanno messo in luce i suoi aspetti innovativi, la sua particolare religiosità, e le sue interrelazioni con la legge ebraica.

Nessuna di queste ricerche si è però soffermata sulle concezioni magiche che lo attraversano. Il legame tra il mondo magico della tradizione tedesca, racchiuso ne Il Libro dei Pietisti, e le uccisioni rituali è del tutto fantasioso, ma bisogna dar atto a Toaff di aver richiamato l’attenzione su una componente importante della cultura ashkenazita, che emerge tra l’altro nei libri di Hagadah, cioè i testi letti durante la notte di Pasqua, dove i bagni nel sangue dei bambini ebrei sono per il Faraone una fonte di giovinezza. Da questo punto di vista, Pasque di sangue è un contributo pionieristico, i cui meriti sono rimasti oscurati dalla parte meno condivisibile del libro. Ariel Toaff ricostruisce una realtà vivace e conturbante, dove gli ebrei non interpretano solo il ruolo della vittima delle persecuzioni, ma interagiscono nella realtà, rendendosi protagonisti di una cultura fatta di riti e credenze magiche che finora si è preferito sottacere. I due filoni di indagine del libro si intrecciano in maniera tendenziosa. Le credenze magiche non possono avvalorare le deposizioni rilasciate agli inquisitori dai torturati e dai convertiti. Diciamo che è stata un’occasione sprecata, perché gli argomenti trattati sono interessanti, e avrebbero potuto essere materia di un libro importante, se invece di cercare il clamore ci si fosse accontentati di trarre dall’ombra un mondo dimenticato.

*Specializzato sulla storia degli ebrei in Italia durante la prima età moderna. In questo periodo è affiliato all’Università di Pisa, dipartimento di storia moderna e contemporanea