Cultura & Società

Passato e futuro dell’uomo

«Guardare il futuro. Speranze, attese, responsabilità» è il tema che anima la seconda parte del «Novembre Stenseniano», gli incontri che si svolgono fino al 1° dicembre all’Istituto Stensen di Firenze. E questo sabato 3 novembre (ore 16-19) sulle attese dalle tecno-scienze parlano Paolo Vezzoni e Nicola Cabibbo. Vezzoni, direttore del reparto Genoma umano dell’istituto di tecnologie biomediche (Itbc) del Cnr di Segrate (Milano), affronta il tema delle «Prospettive dalla biologia». Nicola Cabibbo, fisico, ex presidente dell’Infn e dell’Enea, dal 1993 presidente della Pontificia Accademia delle scienze, tratta invece delle «Prospettive dalla fisica».

di Lorella Pellis

IL BIOLOGO:Controllare le tecnologie senza panico o preconcettiProfessor Vezzoni, l’opinione pubblica è preoccupata dalle biotecnologie. Che cosa dobbiamo aspettarci da esse nel prossimo futuro?

«Possiamo aspettarci molto. Se guardiamo indietro agli ultimi 50 anni, rimaniamo basiti da quanto è successo nel mondo delle scienze della vita. Certo, anche la fisica ci lascia stupefatti e in effetti le nostre conoscenze e le applicazioni hanno mutato il nostro modo di vivere. Quello che però è importante apprezzare è che non abbiamo ancora raggiunto un limite e che dobbiamo aspettarci ancora notevoli progressi».

Potrebbe dirci quali settori si svilupperanno maggiormente?

«Ne voglio citare almeno tre. Il primo è quello della descrizione di noi stessi, che può essere pensato come gli sviluppi del Progetto Genoma. Si tratta di uno sguardo che abbiamo gettato all’interno di noi stessi. Oggi stiamo guardando attraverso uno stretto pertugio, ma questo forellino si ingrandirà sempre più e la nostra vista diventerà sempre più precisa. Questo avrà conseguenze buone e terribili: potremo avere una finestra seppure limitata sul nostro destino. Non è un male, perché si tratta di una tendenza antica, se da sempre l’uomo interroga aruspici e oracoli per conoscere la sua sorte. Oggi per un ristretto numero di malattie (dette monogeniche) possiamo predire il futuro dell’individuo anche prima della nascita. Man mano che si accumuleranno i dati, sapremo sempre di più sulla nostra costituzione fisica e sulle malattie cui andremo incontro. Voglio precisare che per la maggior parte delle malattie non si tratterà di una previsione certa, ma semplicemente di una maggiore o minore possibilità di ammalarsi. Questo non è di per sé solamente negativo, perché è sperabile che nel frattempo si sviluppino metodi di prevenzione o cura in grado di modificare le previsioni».

Questo per quanto riguarda la nostra salute. E per quanto riguarda la nostra stessa specie?

«La nostra specie è certamente il prodotto di una lunghissima evoluzione. Si tratta di un tema che lo Stensen ha affrontato recentemente e quindi non mi dilungo su questo aspetto. Ma la nostra evoluzione è avvenuta in risposta a stimoli ambientali che potremmo definire “aleatori” che hanno forgiato la nostra costituzione attraverso il nostro genoma. Come sappiamo non siamo venuti fuori perfetti e ognuno di noi ha pensato talora che potremmo essere migliori, sotto vari aspetti. Perché non potremmo migliorarci modificando noi il nostro genoma invece che fidarci del “caso” (metto questa parola fra virgolette perché si tratta di una parola che a volte genera confusione)? Perché non potremmo farci più resistenti alle malattie o addirittura meno aggressivi? Non sostengo che questo sia certamente possibile e senz’altro al momento non abbiamo le conoscenze sufficienti, ma mi chiedo se, nel caso, non sia una strada da esplorare. Quello che sappiamo è che già possiamo modificare con precisione il genoma del topo, come ci ricorda l’assegnazione pochi giorni fa del premio Nobel a Mario Capecchi».

Lei sta suggerendo che la biologia potrà cambiare la natura umana?

«Sto solo dicendo che potrebbe esserci questa possibilità, senza peraltro dire che tutto è genetica. No, non tutto è nei nostri geni, o forse molto poco, o forse ancora, alcuni aspetti sono nei nostri geni ed altri no».E lei cosa teme di più?

«Questo ci porta al terzo aspetto che vorrei discutere. Le potrà sembrare strano ma ho meno paura della genetica che delle neuroscienze. Questo dipende probabilmente dal fatto che di neuroscienze so molto poco. Da giovane lessi un libro di Josè Delgado, uno strano neurobiologo. Si intitolava “Genesi e Libertà della mente”. Sollevava la possibilità di manipolare la mente, con metodiche elettro-fisologiche che non erano possibili allora e che peraltro non lo sono neanche adesso. Ma già si parla di nuove macchine della verità basate su test cerebrali, di analisi delle emozioni attraverso NMR e altri strumenti, si è giunti a far muovere cursori su computer a persone che hanno perso l’uso degli arti attraverso un’analisi dei loro pattern cerebrali. Ma questo probabilmente non è ancora nulla. Vi sono degli aspetti che combinano neurologia e psicologia che potrebbero venir utilizzati per un controllo totale, come nei libri più pessimisti. Certo, non è solo una questione di tecnologie: come ha fatto Hitler ad avere l’appoggio nella sua guerra di sterminio della stragrande maggioranza del suo popolo? Attraverso un controllo capillare ed una manipolazione dell’informazione che esulavano dalle biotecnologie. Ma oggi queste potrebbero fornire un livello maggiore di sofisticazione».

Non dipinge un quadro molto favorevole. È necessario allora che ci fermiamo? E cosa ne è della libertà dello scienziato di perseguire semplicemente la verità?

«La storia insegna che l’uomo non ha mai rinunciato alle possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnica. Potrebbe essere che sia venuto il momento di fermarsi a riflettere, ma la riflessione non deve dare l’alibi per bloccare ogni progresso. Bisogna controllare le tecnologie, ma senza panico o preconcetti. Dubito che questo possa accadere nell’immediato, ma è certo che l’uomo ha ancora molta strada da percorrere se riuscirà a non distruggersi da solo».

IL FISICO:Ancora altre innovazioni ci sorprenderannoIl primo scopo delle scienze fisiche è lo scoprire le leggi che reggono il nostro universo nella sua evoluzione, dalla grande esplosione avvenuta circa 14 miliardi di anni fa, il Big Bang, al suo stato attuale. Perché fermarsi qui – si domanda Nicola Cabibbo, presidente della Pontificia accademia delle scienze –? La ricerca – afferma il fisico che questo sabato 3 novembre interviene a Firenze, nell’ambito del Novembre Stenseniano, su «Le prospettive dalla Fisica» – si pone domande sull’evoluzione futura dell’universo, sulla natura del tempo, su cosa determini le masse delle particelle elementari, sul perché il nostro universo sia costituito da materia, mentre quasi assente è l’antimateria. Domande che potrebbero apparire oziose, lontane dai pressanti problemi che l’umanità deve oggi affrontare, ma non è così». In questa ricerca sulle leggi ultime – sottolinea Cabibbo che interviene allo Stensen con Paolo Vezzoni che parla sulle «Prospettive dalla biologia» – abbiamo imparato moltissimo sul comportamento della materia ordinaria e su come modificarlo ed utilizzarlo a nostro vantaggio, mentre dallo sviluppo degli strumenti necessari alla ricerca abbiamo visto sorgere un flusso inarrestabile di nuove tecnologie che sono ormai parte irrinunciabile della nostra vita.

Si vede spesso in Leonardo un precursore di moderne tecnologie, ma le sue geniali idee, come ad esempio l’elicottero, dovevano aspettare una più profonda comprensione del comportamento della materia, con lo sviluppo della fisica di Galileo Galilei, che forse per primo espresse la necessità che la filosofia della natura si appoggiasse su due solidi pilastri: la matematica da una parte (il libro della filosofia … é scritto in caratteri diversi da quelli del nostro alfabeto … sono … triangoli, quadrati, cerchi…), l’esperimento e la misura dall’altra».

Le domande sulla natura del caldo e del freddo, che si ponevano Galilei e i suoi seguaci, secondo il presidente della Pontificia accademia delle scienze – «potevano allora sembrare altrettanto oziose di quelle che oggi ci poniamo sui buchi neri o sui quark, ma per cominciare a risolverle bisognava imparare a misurare la temperatura o la pressione dell’aria, e perfezionare strumenti come il termometro. Senza questi strumenti non avremmo avuto, due secoli dopo, il motore a vapore o il motore a scoppio. Molte delle ricadute della ricerca scientifica provengono non tanto, o non solo, dalla scoperta di nuove leggi della natura, ma dagli strumenti sviluppati per studiarle. La radio di Guglielmo Marconi è figlia delle onde elettromagnetiche di Maxwell ed Hertz, ma anche della disponibilità di apparati sinora utilizzati per studiare dei fenomeni elettrici. Anche gli acceleratori di particelle oggi usati nella ricerca sulle particelle elementari sono figli di una tecnologia sviluppata nei laboratori ottocenteschi, il tubo a raggi catodici, ma hanno a loro volta trovato numerose applicazioni al di fuori delle scienze fisica, ad esempio nella medicina per la radioterapia, o per l’analisi di opere d’arte».

Nel secolo scorso, dunque, la ricerca sulla struttura della materia ha visto eccezionali progressi. «La stessa esistenza degli atomi – spiega ancora Nicola Cabibbo – è stata dimostrata nei primi anni del secolo, e le loro proprietà sono state chiarite con la affermazione della meccanica quantistica. Da queste scoperte si è aperto un mondo di innovazioni che comprendono gli onnipresenti chip che popolano i calcolatori, e non solo: troviamo microchip negli orologi, nelle auto, negli elettrodomestici, nei telefoni, negli apparati diagnostici per la medicina, o in quelli che hanno permesso il sequenziamento del genoma umano. I microchip, sostituendo tecnologie come le valvole a vuoto o i tubi a raggi catodici, hanno ridotto enormemente il costo dell’elettronica rendendola accessibile a tutti, con ricadute sociali e culturali del tutto imprevedibili; il telefonino ne è un esempio lampante». È certo difficile – ammette Cabibbo – prevedere attualmente quali nuove tecnologie possano emergere dalle ricerche di oggi, come per Galilei sarebbe stato difficile prevedere che le sue ricerche sulla natura del calore avrebbero in futuro reso possibile l’elicottero di Leonardo. Dalle ricerche sulle particelle elementari, condotte al CERN da scienziati di paesi e continenti diversi che avevano bisogno di scambiarsi informazioni e dati, è nata l’invenzione del Wide World Web (“grande ragnatela mondiale”), l’internet di cui non sappiamo più fare a meno; chi avrebbe potuto prevederlo? Non sappiamo quindi quali innovazioni discenderanno dalle ricerche attualmente in corso; su alcune possiamo fare ipotesi ragionevoli, ad esempio nei calcolatori o in modi più economici per sfruttare le energie rinnovabili, ma le più importanti ci sorprenderanno».