Firenze
Pentecoste: Gambelli, “lo Spirito si posi su ciascuno di noi e riempia le case e i luoghi dove lavoriamo e fatichiamo”
Pubblichiamo il testo dell'omelia proclamata stamattina in Cattedrale di Santa Maria del Fiore dall'arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli nella Solennità di Pentecoste

Il racconto del dono dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste si apre con i discepoli raccolti in quella «casa» tradizionalmente identificata come il cenacolo in cui avevano celebrato la Pasqua con Gesù, e in cui egli aveva promesso loro il suo Spirito consolatore. Il cenacolo farà così da sfondo ai momenti decisivi in cui la Chiesa nascente prende coscienza di sé e muove i suoi primi passi. Tuttavia, subito dopo la morte di Gesù il cenacolo più che luogo dell’attesa del compiersi delle promesse sembra ridursi per i discepoli a una sorta di rifugio, un riparo dal mondo in cui chiudersi dentro «per timore dei Giudei» (Gv 20,19), come nota il vangelo di Giovanni. La comunità dei discepoli di Gesù sembrerebbe destinata, in questo modo, a ridursi a una delle piccole sette di Israele: chiusa in sé stessa, chiusa al mondo, piena di paure e destinata a conservare un mero ricordo del perduto maestro. Tuttavia, come abbiamo potuto contemplare lungo tutto l’itinerario del tempo pasquale, fin da subito ogni tentazione di chiusura viene vinta, permettendo alla comunità dei discepoli, e così alla Chiesa, di riconoscere la reale ampiezza e portata della propria missione.
Il cenacolo dalle porte sbarrate in cui gli apostoli si sono chiusi per timore non impedisce, infatti, al Signore risorto di manifestarsi loro: «venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “pace a voi!”» (Gv 20,21). La vita del Risorto si manifesta così, innanzitutto, come una vita che non può essere trattenuta, più tenace della morte, essa si rivela più forte di ogni chiusura e paura: per quanto si possa essere fragili o peccatori, per quante porte si possa chiudere e per quanta paura si possa avere, niente può revocare l’iniziativa che Dio ha preso nei confronti dell’uomo sua creatura. Lo abbiamo visto nell’Ascensione. Veramente cielo e terra si sono legati nel Signore Gesù in modo del tutto nuovo e permanente: l’umanità nostra — patita e vissuta da Gesù fin sulla croce — è portata dal Risorto nel cuore stesso del mistero di Dio. Comprendiamo così che è Dio a non conoscere chiusure, Egli per primo è uscito da sé stesso, nel Figlio si è aperto al mondo per attrarci nell’orbita della sua stessa vita divina. Come rivela lo stesso Gesù ai suoi, nel Vangelo appena proclamato: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). È proprio di questo prender dimora di Dio in noi che oggi rendiamo grazie in questa festa di Pentecoste. Lo Spirito Santo, come abbiamo sentito, riempendo «tutta la casa dove si trovavano» tocca personalmente «ciascuno di loro» i quali ora spalancano le porte del cenacolo al mondo, a tutti i popoli a «ogni nazione che è sotto il cielo».
Proprio così, nell’immagine del cenacolo che da luogo chiuso, di difesa, si apre al mondo e a tutti gli uomini, possiamo scorgere una più profonda trasformazione, è l’esistenza dei discepoli a non essere più la stessa: Dio si è “legato” realmente alle loro vite, è attraverso la povertà delle loro persone che la vita del Risorto – lo «spirito di Cristo» come lo chiama san Paolo – realmente si fa largo nel mondo. Colui che riceve il dono dello Spirito, infatti, non può più semplicemente vivere “chiuso”, per sé stesso, egli appartiene ora all’amore stesso di Dio «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito» (Rm 5,5), sperimentando così quel decisivo decentramento che apre alla realtà, al mondo, all’uomo nei suoi bisogni e ferite. La Chiesa sempre nuovamente rinasce in coloro e da coloro che accogliendo la vita risorta di Cristo sperimentano nel cammino delle loro vite questa fondamentale apertura che vince ogni estraneità e distanza fra gli uomini, che porta a farsi incontro a tutto e a tutti con «gli stessi sentimenti di Cristo» (Fil 2,5). È questo Dio che «primerea», come ci ha ricordato tante volte Papa Francesco, che sempre nuovamente ci plasma come Chiesa, per essere segno visibile per tutti di questa fondamentale “apertura di Dio” che tutto abbraccia di noi, perdonando il male e piegandosi sulle nostre ferite e drammi, fino a poter realmente riconoscere il volto tenero di Dio, fino a sentirlo realmente «Abbà! Padre».
Un pensiero oggi va alla piccola Kata scomparsa due anni fa nella nostra città. Continuiamo instancabili a pregare per lei, perché possa tornare dalla sua famiglia, non perdiamo la speranza. Ci rivolgiamo a Dio Padre perché protegga lei e insieme a lei tutti i bambini che in questo momento soffrono per le guerre, la povertà, l’ingiustizia.
Volgiamo infine lo sguardo a questa nostra grande cattedrale in cui siamo riuniti, stupefacente nella sua imponenza rispetto all’umile cenacolo in cui erano radunati i discepoli e, tuttavia, più grande di questo prodigio architettonico, più commovente della nostra grande cupola, è il fatto che realmente Dio ci fa dono della sua vita, dello Spirito di Cristo. Come ci ricorda San Paolo siamo noi il tempio che Dio ha scelto di abitare, noi siamo «tempio di Dio» perché «lo Spirito di Dio abita in noi» (cf. 1 Cor 2,16; Rm 8, 9). Fratelli e sorelle, è attraverso di noi, attraverso le nostre vite talvolta ammaccate o ferite che la tenerezza di Dio vuole farsi conoscere da tutti gli uomini, non cediamo alla tentazione della chiusura al mondo o alle paure, non lasciamoci scoraggiare dalle nostre fragilità: realmente «Cristo è in voi», perché attraverso di voi come templi vivi e operosi la sua carità e tenerezza raggiunga ogni uomo e donna, affinché il suo Spirito si posi su ciascuno, trasformi le nostre relazioni, riempia le case dove viviamo, i luoghi dove lavoriamo e fatichiamo: perché là dove gli uomini vivono nel bisogno e nell’indigenza, là dove l’ingiustizia sembrerebbe avere la meglio, possiamo essere Chiesa viva e operosa, trasparenza dell’amore di Dio, che ha aperto il suo grembo di misericordia al mondo: a tutti gli uomini e donne, di ogni tempo e luogo.