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Pillola abortiva in ambulatorio: no alla propaganda, l’aborto non è come bere un bicchiere d’acqua

È necessario ribadire che la propaganda a favore della RU486 è una provocazione dallo scopo squisitamente ideologico di rendere l’aborto un fatto tanto banale (basta bere un bicchier d’acqua) da far dimenticare la distruzione di un essere umano che si trova nella fase prenatale della sua vita. Funzionale alla propaganda è il falso ritornello che la RU tutela la salute della donna e diminuisce la sua sofferenza per l’ «IVG» Sappiamo bene che non è affatto così.

È necessario poi riflettere sull’incompatibilità dei consultori con l’intervento abortivo e sull’inadeguatezza degli ambulatori per quanto riguarda l’aborto mediante RU. L’art. 2 della legge 194 afferma che i consultori assistono la donna «contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurla all’interruzione della gravidanza». È chiaramente un compito alternativo a quello di effettuare l’aborto. La conferma viene dall’incipit dello stesso art. 2: «i consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975 n. 405 […] assistono la donna in stato di gravidanza». L’art. 1 della legge 405/75 impone ai consultori «la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento». La salute del figlio viene tutelata insieme a quella della madre e togliere la vita non tutela certo la salute. Dai lavori preparatori della legge risulta che l’inserimento dei consultori familiari nella 194 ha la funzione essenziale di prevenire l’aborto non solo prima del concepimento, ma anche dopo il concepimento. Dunque, effettuare gli aborti nei consultori costituirebbe uno snaturamento totale della loro essenziale funzione.

Per quanto riguarda la RU in ambulatorio, bisogna tenere conto della differenza tra aborto chirurgico e aborto farmacologico (con la RU-486): nel primo caso il distacco e l’espulsione del figlio avvengono contemporaneamente; nel secondo caso no. Per questo, l’AIFA (Determinazione n. 1460 del 24 novembre 2009) aveva autorizzato l’immissione in commercio della RU stabilendo che «deve essere garantito il ricovero […] dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento. Tutto il percorso abortivo deve avvenire sotto la sorveglianza di un medico del servizio ostetrico-ginecologico». È vero che una donna dopo aver assunto in ospedale la RU-486 può lasciare il presidio sanitario e tornarvi al momento dell’espulsione, ma la dimissione volontaria è cosa diversa dalla programmazione di un regime di intervento frazionato quando i rischi per la salute della donna imporrebbero la continuità del ricovero.

I Centri di Aiuto alla Vita (CAV) di tutta Italia (in Toscana 17) svolgono un servizio prezioso a tutela della vita nascente e della maternità durante la gravidanza. Essi sono un modello per le istituzioni e testimoniano che la donna, se liberata dai condizionamenti, è la prima e più forte alleata del figlio che vive e cresce dentro di lei. La difesa dei bambini in viaggio verso la nascita, in collaborazione con le loro madri, è scopo fondamentale di uno Stato che voglia essere laico e civile; uno Stato che, se rinuncia a punire l’aborto non deve però rinunciare a difendere il diritto alla vita con altri mezzi di più alto profilo e di maggiore efficacia. In questa prospettiva è urgente una riforma dei consultori pubblici affinché siano unicamente ed esclusivamente un’autentica alternativa alla c.d. «IVG» e quindi una risorsa per la salute e la serenità delle donne.