Mondo

Pizzaballa (patriarca Gerusalemme), “stare nel conflitto sperando di più, donando e perdonando senza stancarsi”

Il patriarca latino di Gerusalemme card. Pierbattista Pizzaballa questa mattina, al Santo Sepolcro, nella Città Santa, ha celebrato la Messa del Giovedì Santo

“Stare nel conflitto, attraversare la notte amando di più, credendo di più, sperando di più, donando e perdonando senza stancarsi: questa è la via della vita, quella vera”: come vivere la Pasqua nelle “dolorose circostanze attuali” secondo il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa che questa mattina, al Santo Sepolcro, nella Città Santa, ha celebrato la Messa del Giovedì Santo.

“La guerra, con il suo carico di violenza e di odio, di sofferenza e di morte, rende difficile celebrare la festa” ha riconosciuto il patriarca, ma se la Pasqua “è la celebrazione della passione e risurrezione di Cristo, se essa rende attuale per noi, qui e ora, il passaggio dalla morte alla vita, allora non è solo questa Pasqua a essere difficile ma è la Pasqua stessa che è sempre difficile, è una festa difficile, come è difficile la vita cristiana”.

“Difficile la Pasqua lo fu innanzitutto per Gesù” ha spiegato il card. Pizzaballa, che “arrivò a sudare sangue nello sforzo di mantenersi fedele a suo Padre che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, e ama gli ultimi quanto i primi”.

Perciò “è difficile essere cristiani della Pasqua, uomini della Risurrezione”. “Le circostanze attuali della nostra festa pasquale – ha ricordato il patriarca latino – non sono in fondo così diverse da quelle della Pasqua del Signore. Come allora, anche oggi il desiderio di pace troppo facilmente si confonde con il bisogno di vittoria. Come allora, anche oggi la via di Barabba sembra convincere più di quella di Gesù”.

Smarrimento e confusione sono i sentimenti degli apostoli “in quella notte suprema e drammatica” e dei discepoli di oggi nelle circostanze attuali: “anche noi ci ritroviamo smarriti e confusi, tentati di addormentarci per la tristezza in un irenismo rinunciatario, che non ha il coraggio della parresia, di lasciarsi ferire dal dolore altrui. Oppure, come Pietro, siamo tentati anche noi di prendere la spada, cominciando a colpire, lasciandoci così investire da sentimenti di violenza e di rifiuto, che però conducono solo alla morte. O peggio ancora, corriamo il rischio di tradire il Maestro svendendo il Suo messaggio e la Sua profezia, rinunciando alla grazia del perdono e del dono di sé, che invece portano alla vita vera”.

L’esempio viene ancora una volta da Cristo che “attraversa la notte peggiore della sua vita con un amore più grande, donandosi fino in fondo prima nell’acqua versata sui piedi dei discepoli, poi nei segni del pane spezzato e del vino offerto e infine nel sacrificio di sé sulla Croce. Stare nel conflitto, attraversare la notte amando di più, credendo di più, sperando di più, donando e perdonando senza stancarsi: questa è la via della vita, quella vera”.

Da qui la presa di coscienza di un impegno: “Come cristiani dovremmo avere la forza e il coraggio di parole e gesti diversi, oserei dire alternativi, di fronte al dolore e alla notte del mondo, anche se questi risultassero difficili fino a essere incomprensibili. Ciò che celebriamo sull’altare – ha concluso Pizzaballa – deve poi trasformarsi in carità operante nel mondo. Le parole e i gesti del Cenacolo, le parole e i gesti della Pasqua devono diventare nostri, perché possiamo portare luce nelle tenebre, riconciliazione nei conflitti, conforto nella prova. Dietro l’esempio del Maestro, vogliamo e dobbiamo alzarci dalla mensa eucaristica per portare nel mondo lo stesso desiderio di bene del Maestro, e continuare nel mondo il fermento celeste del pane del Mistero. E tutto ciò non potrà mai essere il frutto di uno sforzo umano. Con le nostre sole forze noi non potremmo mai fare nostro questo stile, così alternativo e veramente rivoluzionario, lo stile dell’amore e del dono di sé. La vita cristiana non è la fatica di Sisifo (inutile, che non porta a nulla, ndr.), ma la risposta generosa, convinta e grata di chi ha sperimentato la gioia del perdono di Dio”.