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Povertà: Caritas, quasi 200mila le persone incontrate dai centri d’ascolto, più uomini che donne

Nel corso del 2017 sono state 197.332 le persone incontrate dai centri d’ascolto della Caritas. Il dato emerge dal volume «Povertà in attesa. Rapporto Caritas italiana 2018 su povertà e politiche di contrasto» presentato oggi a Roma presso la Fondazione Con il Sud.

Nel Rapporto vengono presentate e analizzate le informazioni relative a 1.982 strutture collocate in 185 diocesi. Attualmente (dato aggiornato ad agosto 2018) i centri d’ascolto delle diverse tipologie (parrocchiali, zonali/vicariali e diocesani) sono arrivati a quota 3.366. Delle persone incontrate nel 2017, il 42,2% è di cittadinanza italiana, il 57,8% straniera. Se nel nord e nel centro prevalgono gli stranieri (rispettivamente 64,5% e 63,4%), nel sud le storie intercettate sono per lo più di italiani (67,6%).

Tra gli stranieri la quota più numerosa proviene dal Marocco (18,1%) e dalla Romania (12%). Nel complesso si conferma la diminuzione degli stranieri provenienti dall’Europa dell’Est a fronte di un ulteriore aumento degli africani. Al cambiamento delle dinamiche migratorie (ma anche al peggiore andamento della disoccupazione maschile rispetto a quella femminile) può essere ascrivibile il sorpasso degli uomini sulle donne tra le persone che si rivolgono ai centri, dopo quasi vent’anni di prevalenza femminile. Oltre 13 mila stranieri (l’11,9%) sono rifugiati o richiedenti asilo, provenienti soprattutto da Sudan (14,7%), Nigeria (11,3%) ed Eritrea (9,4%). E’ abbastanza alta la percentuale di stranieri con permesso di soggiorno (74,5%), ma il numero molto alto di mancate risposte potrebbe nascondere una maggiore quota di irregolari, in aumento in alcuni territori. Fenomeno che viene messo in relazione con i casi di «irregolarità di ritorno» (persone che in passato erano «regolari») e con il mancato riconoscimento della protezione internazionale.

Pesano disoccupazione e bassa istruzione, ma anche solitudine e rotture familiari. Tra le quasi 200 mila persone incontrate nei centri d’ascolto l’età media è 44 anni. I giovani tra i 18 e i 34 anni rappresentano la classe più numerosa (25,1%); tra gli italiani prevalgono le persone delle classi 45‐54 (29,3%) e 55‐64 anni (24,7%); i pensionati costituiscono il 15,6%. Le persone incontrate risultano per lo più coniugate (45,9%) e celibi/nubili (29,3%). Aumentano le storie di solitudine e, di contro, diminuiscono le situazioni di chi sperimenta una stabilità relazionale data da un’unione coniugale. La rottura dei legami familiari può costituire un fattore decisivo per l’entrata in una condizione di povertà. Ed è in crescita anche il numero dei senza fissa dimora.

Il 63,9% delle persone ascoltate, circa 89mila persone, dichiara di avere figli. Tra queste, oltre 26mila persone vivono con figli minori, la cui situazione risulta particolarmente preoccupante perché le deprivazioni materiali attivano spesso dei circoli viziosi che tramandano di generazione in generazione le situazioni di svantaggio. Oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%)I disoccupati ascoltati nel 2017 rappresentano il 63,8%; tra gli stranieri la percentuale sale al 67,4%.

Il bisogno ha tante dimensioni e spesso si sovrappongono. In linea con gli anni precedenti, nell’analisi dei bisogni di chi si rivolge ai centri di ascolto spiccano anche per il 2017 i casi di povertà economica (78,4%), seguiti dai problemi di occupazione (54,0%) e dai problemi abitativi (26,7%), in aumento rispetto al 2016. All’interno di questa categoria si nota un evidente incremento, dal 44,3% al 52,5%, della situazione di chi è privo di un’abitazione.

Alle difficoltà di ordine materiale seguono altre forme di vulnerabilità che in molti casi si associano alle prime: problemi familiari (14,2%), difficoltà legate alla salute (12,8%) o alle migrazioni (12,5%). Su 100 persone quasi 40 hanno manifestato tre o più ambiti di difficoltà. Solo il 36,5% ha espresso difficoltà riferite ad una sola dimensione di bisogno (percentuale in calo rispetto all’anno precedente). Le situazioni più frequenti di sovrapposizione di bisogni sono quelle in cui si combinano povertà e disagio lavorativo. Tuttavia il 46,1% degli utenti non dichiara problemi occupazionali e c’è un 4,2% che si è rivolto ai centri per problematiche di tipo non economico (malattia mentale, separazione, morte di un congiunto, difficoltà nell’assistenza di familiari, problemi di giustizia). Le richieste più frequenti restano comunque quelle relative a beni e servizi materiali (62,1%), in crescita rispetto al 2016, e così pure gli interventi e le risposte (62,9%). Tra questi prevalgono le distribuzioni di pacchi viveri, di vestiario e l’erogazione di pasti alla mensa. Nel 2017 sono stati realizzati circa 2 milioni 600mila interventi, in lieve diminuzione rispetto al 2016.

Il bilancio provvisorio dell’attuazione del Reddito d’inclusione. L’attuazione del Reddito d’inclusione (Rei) ha avuto inizio il 1° dicembre 2017. Fino al giugno 2018 ne ha potuto beneficiare il 60% degli aventi diritto (poco più di 1 milione su 1,7 milioni totali). E’ una percentuale significativa per una misura relativamente «giovane» e un risultato che segnala un buon attecchimento iniziale del Rei nei territori. Dal 1° giugno 2018 – ricorda il Rapporto – sono venuti meno i criteri familiari e la grave povertà costituisce l’unico requisito d’accesso. Questo significa che la platea degli aventi diritto si è allargata fino a raggiungere la quota di circa 2,5 milioni d’individui. Resta quindi ancora da coprire l’altra metà di quei 5 milioni in povertà assoluta oggi presenti in Italia. Le analisi sulla situazione dopo il 1° giugno, peraltro, mostrano che il diritto al Rei non viene assicurato in tutte le aree geografiche del Paese in maniera corrispondente alla presenza della povertà assoluta (in Italia il 44% delle famiglie in povertà assoluta ha diritto al Rei; nel Sud e nel Centro la percentuale si colloca tra il 50 ed il 54% dei nuclei indigenti lì presenti, mentre nel Nord è tra il 31% ed il 33%). L’importo medio del Rei, inoltre, risulta ancora lontano dall’obiettivo di colmare la distanza tra il reddito disponibile delle famiglie e la soglia di povertà assoluta. Tradotto in cifre, si tratta di salire in media dagli attuali 206 euro mensili a 396; ciò significa, ad esempio, per una famiglia di una persona passare da 150 a 316 euro e per un nucleo di quattro da 263 a 454.

Il Reddito di cittadinanza riprenda e valorizzi l’esperienza del Rei. Il Reddito d’inclusione (Rei), da ampliare e migliorare in tanti aspetti, non va però smontato per dar vita a una nuova misura con un profilo radicalmente differente. Altrimenti si rischia di assestare un colpo fatale alla possibilità di avere politiche incisive contro la povertà nel nostro Paese. La sfida – sottolinea il Rapporto – è quella di riuscire a far convivere l’entusiasmo e le aspettative (realistiche e non miracolistiche) con le difficoltà attuative e la necessità dei tempi lunghi. L’annunciata introduzione del Reddito di cittadinanza – osserva ancora il Rapporto – è destinata a portare con sé novità di rilievo che ci si augura tengano conto dell’esperienza maturata nell’attuazione del Rei. Questa esperienza, sia nei suoi punti di forza così come nelle sue criticità, rappresenta un patrimonio di sapere concreto che merita di essere valorizzato. Il Rapporto, quindi, auspica che al momento di disegnare le prossime tappe della lotta alla povertà nel nostro Paese il legislatore non prescinda da tale prezioso patrimonio.