Vita Chiesa

Progetto culturale: il dopo-Verona

Si è soffermato su tre aspetti mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, intervenendo al 4° incontro nazionale dei responsabili e dei collaboratori dei Centri culturali presenti nelle 226 diocesi italiane, svoltosi a Roma dal 26 al 28 aprile, intitolato “Dopo Verona. Il cantiere del Progetto culturale”: “il senso del Convegno” di Verona, un accenno alla “nota pastorale in corso di pubblicazione” e gli sviluppi del progetto culturale.

CHIESA UNITA. Il Convegno di Verona, per il segretario generale della Cei, “è stata anzitutto un’esperienza di Chiesa unita al suo Signore” e ciò perché “ha raccolto i frutti di un lungo cammino di preparazione corale e condivisa, segno di una partecipazione popolare e diffusa, propria della tradizione italiana”. I lavori del Convegno sono stati “percorsi da uno spirito dinamico e propositivo, ma anche aperti a un confronto energico sui problemi e sulle questioni sul tappeto”. L’assise nella città scaligera, ha proseguito mons. Betori, “ha mostrato una Chiesa che cerca ‘una profonda sintonia con l’uomo’. La scelta dei cinque ambiti non è stata una ‘trovata’ mediatica, ma rispondeva all’esigenza di riscoprire una pastorale centrata sulla persona”. Centrare tutto in Cristo, ha spiegato il presule, “permette di accogliere tutto l’uomo: ecco il senso profondo della ‘pastorale integrata’, non già e non semplicemente un coordinamento degli sforzi, ma un invito perché l’uomo contemporaneo possa incontrare Gesù Cristo a tu per tu”. Per il vescovo, vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione e cittadinanza “esprimono le dimensioni della vita concreta di ogni giorno. Metterle al centro dell’azione pastorale significa cercare di prendere atto che la nostra vita è il teatro dell’azione di Dio”.

IL SÌ DI DIO. L’obiettivo della nota pastorale dopo Verona, al momento all’esame dei vescovi, che dovranno approvarla nella prossima assemblea generale, ma che ha già ricevuto un consenso di massima da parte del Consiglio episcopale permanente, “è – ha chiarito mons. Betori – riconsegnare il ‘messaggio’ e il ‘metodo’ di Verona alle Chiese particolari” Le chiavi di lettura della Nota sono essenzialmente quattro: “la rilettura del cammino del Convegno come occasione per fare un esercizio di discernimento e di corresponsabilità ecclesiale”; “il primato di Dio nella vita del cristiano e nell’azione della Chiesa”; “la ricerca delle forme da dare alla testimonianza missionaria perché risalti il ‘sì’ di Dio all’uomo e dunque l’uomo contemporaneo possa incontrare, attraverso di noi, la bellezza, la ragionevolezza e la praticabilità della sequela di Cristo”; “il rinnovamento della pastorale nel segno della speranza, dell’attenzione alla persona e alla vita, dell’unità tra le diverse vocazioni, tra le molteplici soggettività ecclesiali, tra le dimensioni fondamentali della vita cristiana”. Mostrare “il grande sì della fede è la cifra dell’intero documento”: “Il testo lascia intendere – ha osservato il segretario della Cei – che è nella nostra sollecitudine per le persone, nell’unità fra noi discepoli e credenti, nella qualità spirituale e umana delle nostre comunità che gli uomini e le donne di oggi possono leggere il ‘sì’ di Dio a loro stessi”.

LE SFIDE ATTUALI. Qual è il futuro del progetto culturale dopo Verona? Sottolineando come l’esperienza del progetto culturale sia molto cresciuta, mons. Betori ha evidenziato come esso possa essere utile per affrontare le sfide di oggi, riflettendo su temi quali il “rapporto tra le generazioni”, per cui “la famiglia fondata sul matrimonio non è semplicemente il frutto di un contratto, ma è il simbolo del passaggio tra le generazioni”; “il rapporto tra ‘memoria e cambiamento’ o, da un altro versante, quello tra ‘carismi e istituzioni’”; “il rapporto tra ‘ragione e verità’”; “il ‘mistero dell’uomo e della donna’”, rispetto al quale “oggi sembra di scorgere due rischi. Uno è quello di un’antropologia che si nutre di concezioni perlomeno sospette, e che parte dall’assunto che il cosiddetto ‘genere’ sia solo costruito, senza alcuna rispondenza naturale. L’altro è quello di una sistemazione troppo rapida, che cerca di conciliare un po’ frettolosamente istanze a volte scottanti”. In realtà, “la questione non è affatto secondaria per il nostro tempo. Si tratta pertanto di affrontarla con la dovuta serietà, per mostrare come la visione cristiana dei rapporti tra l’uomo e la donna non riguarda una costruzione moralistica e chiusa, ma risponde all’intima natura di entrambi”. Guardando al futuro, il presule ha sottolineato che “il progetto culturale si propone di educarci alla speranza, vale a dire di mostrarne le ‘ragioni’ e di ideare e sperimentare le modalità concrete mediante le quali il vissuto cristiano, personale e comunitario, si comunica come testimonianza di speranza”. “Il nostro lavoro, nei molteplici ambiti dell’evangelizzazione, è – ha detto mons. Betori – di mostrare che al centro del cristianesimo c’è un ‘lógos’, una parola che diviene la nostra ‘via’ e ‘vita’” Di qui, ha concluso, la proposta, emersa al Convegno di Verona, “del progetto culturale nella sua trasversalità, come una preoccupazione e una ‘cura’ comune a tutti i settori del nostro impegno”.