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Prolusione del card. Ruini al Consiglio permanente Cei (23 gennaio 2006)

Il testo integrale della Prolusione del presidente dei vescovi italiani, il card. Camillo Ruini, in apertura dei lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (23 gennaio 2006).

Venerati e cari Confratelli,ci incontriamo mentre è ancora vivo in noi il ricordo di quella positiva esperienza di comunione che è stata l’Assemblea Generale di Assisi. Nel medesimo clima di preghiera, di amicizia e di fraternità affronteremo i temi del nostro ordine del giorno, confidando sempre nel Signore che ci illumina e fortifica con il suo Santo Spirito. Infatti, sebbene siano molti i motivi di preoccupazione, sono ben più grandi e profonde le ragioni per le quali dobbiamo rendere grazie, ogni giorno, alla provvidenza misericordiosa di Dio che custodisce i passi della Chiesa e non abbandona la famiglia umana.

1. Il nostro saluto, deferente, affettuoso e grato, va anzitutto al Santo Padre. Con il passare dei mesi diventano sempre più forti e coinvolgenti il suo Magistero di verità e il suo invito a seguire Cristo nella via dell’autentico amore, e parallelamente crescono e si approfondiscono l’affetto e la gratitudine verso di lui, in ogni categoria di persone.

In attesa della sua imminente prima Enciclica – il cui senso e scopo egli stesso mercoledì scorso ha chiaramente indicato – vorrei soffermarmi, tra i suoi numerosi interventi di grande significato, sul discorso del 22 dicembre alla Curia Romana, per gli auguri natalizi. Benedetto XVI ha fatto memoria in primo luogo del suo predecessore Giovanni Paolo II, e in particolare della straordinaria lezione che egli ci ha lasciato, con la parola e con la vita, riguardo alla misericordia di Dio, che pone un limite alla potenza del male, ed al senso radicalmente nuovo, di amore e di salvezza, che la passione di Cristo dona alla sofferenza umana. Poi, ricordando la Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia e il Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, ha sottolineato come l’adorazione eucaristica sia “la più coerente conseguenza dello stesso mistero eucaristico”, perché soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza personale, profonda e vera del Figlio di Dio che si unisce a noi.

La parte più ampia di questo discorso del Papa è dedicata al Concilio Vaticano II, nel 40° anniversario della sua conclusione. Benedetto XVI si interroga sulla recezione del Concilio, che è stata difficile in vaste parti della Chiesa, e individua l’origine di tali difficoltà nel contrasto di due ermeneutiche. Una di esse, che si potrebbe chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”, ritiene che il vero spirito, la novità e l’intenzione profonda del Concilio sarebbero espressi, più che dai testi conciliari, frutto di compromessi, dagli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: ne derivano da una parte il rischio di una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare e dall’altra un’indeterminatezza riguardo al concreto insegnamento del Concilio, che lascia spazio ad ogni estrosità. Così però viene fraintesa la natura stessa di un Concilio: esso non è una specie di Costituente, che può sostituire una costituzione con un’altra. La costituzione essenziale della Chiesa viene invece dal Signore e dai Vescovi deve essere fedelmente custodita.

All’ermeneutica della discontinuità si oppone l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, come hanno chiaramente insegnato gli stessi Papi del Concilio, Giovanni XXIII e Paolo VI. Dove, nella recezione del Vaticano II, questa ermeneutica è stata seguita, “è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi”: oggi, 40 anni dopo il Concilio, possiamo rilevare che il positivo è più grande di quanto potesse apparire nell’agitazione degli anni intorno al 1968 e che il seme buono cresce: perciò cresce anche la nostra profonda gratitudine per l’opera svolta dal Vaticano II.

Questa diagnosi estremamente puntuale di Benedetto XVI sull’interpretazione e la recezione del grande Concilio non ha dunque soltanto un interesse storico, ma è ricca di indicazioni quanto mai significative per il cammino presente e futuro della Chiesa. Rifacendosi a Paolo VI, Benedetto XVI le sviluppa in riferimento alla “grande disputa sull’uomo, che contraddistingue il tempo moderno”, e al connesso rapporto tra Chiesa ed età moderna. La rottura consumatasi con un liberalismo radicale ed anche con le scienze naturali che pretendevano di abbracciare tutta la realtà e di rendere superflua l’”ipotesi Dio”, oltre che con una certa forma di scienza storica che reclamava per sé la parola ultima ed esclusiva sull’interpretazione della Bibbia, sembrava irreparabile, e la Chiesa, specialmente al tempo di Pio IX, formulò “aspre e radicali condanne di tale spirito dell’età moderna”. Intanto, però, la stessa età moderna aveva conosciuto degli sviluppi, con la rivoluzione americana, che aveva offerto un modello di Stato diverso e più aperto verso le religioni, e con le scienze naturali che diventavano più consapevoli dei propri limiti e lasciavano nuovamente aperta la porta alla domanda su Dio, mentre da parte cattolica la dottrina sociale diventava un modello importante tra il liberalismo radicale e la teoria marxista, e uomini di Stato cattolici dimostravano in concreto “che può esistere uno Stato moderno laico, che tuttavia non è neutro riguardo ai valori, ma vive attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo”.

Benedetto XVI individua pertanto “tre cerchi di domande”, che “nel loro insieme formano un unico problema” e che attendevano una risposta: definire in modo nuovo il rapporto sia tra fede e scienze moderne, tanto naturali che storiche, sia tra Chiesa e Stato moderno, sia tra fede cristiana e religioni del mondo, in particolare tra la Chiesa e la fede di Israele.

Il Concilio ha affrontato tutti questi ambiti e in ciascuno di essi è emersa una forma di discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le distinzioni tra le concrete situazioni ed esigenze storiche, non risultava abbandonata la continuità dei principi. Così il Papa mostra quale sia, in concreto, la natura della vera “riforma” operata dal Vaticano II – e dell’”ermeneutica della riforma” – che consiste “in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi”: le decisioni della Chiesa riguardanti posizioni contingenti e mutevoli dovevano infatti a loro volta essere necessariamente esse stesse contingenti. Il caso sul quale Benedetto XVI si sofferma maggiormente è quello della libertà di religione, dove il Concilio, “riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa”, in piena sintonia con l’insegnamento di Gesù stesso e con la Chiesa dei martiri. Una Chiesa missionaria, che sa di essere tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve necessariamente impegnarsi per la libertà della fede: essa vuole trasmettere il dono della verità, che esiste per tutti, e al contempo assicura i popoli e i loro governi di non voler distruggere con ciò le loro identità e le loro molteplici culture, ma far crescere invece l’unità e la pace tra gli uomini e tra i popoli.

Il Papa aggiunge una precisazione di grandissima importanza: chi si era aspettato che il “sì” fondamentale detto dal Concilio all’età moderna, la sua “apertura verso il mondo” – espressione del resto assai imprecisa –, facessero dileguare ogni tensione, aveva sottovalutato le tensioni interiori e le contraddizioni della stessa età moderna, oltre che quella pericolosa fragilità della natura umana che minaccia il cammino dell’uomo in ogni periodo della storia. Tali pericoli non sono scomparsi con le nuove possibilità e il nuovo potere dell’uomo sulla materia e su se stesso, ma assumono invece nuove dimensioni. Anche nel nostro tempo la Chiesa resta pertanto un “segno di contraddizione”. Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell’uomo: era invece suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, “per presentare a questo nostro mondo l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza”.

Il passo compiuto dal Vaticano II verso l’età moderna appartiene dunque, conclude il Papa, al problema del rapporto tra fede e ragione, che si presenta in forme sempre nuove: in concreto, la situazione che il Concilio ha dovuto affrontare è paragonabile all’entrata in relazione della fede biblica con la cultura greca, nei primi secoli del cristianesimo, o della cristianità medievale con il pensiero aristotelico, nel XIII secolo. Il Concilio ha tracciato, sia pure solo a larghe linee, la direzione essenziale del dialogo attuale tra fede e ragione: adesso “questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento”.

Così, cari Confratelli, Benedetto XVI indica, con lucidità e senso critico pari alla fiducia e alla speranza teologale, il quadro e l’obiettivo entro e verso i quali anche la Chiesa italiana, per parte sua, è chiamata a procedere. Per farlo in maniera autentica e feconda è essenziale anzitutto coltivare in noi, con la grazia del Signore, quell’immagine di Chiesa che il Papa stesso ha richiamato nell’omelia della Messa dell’Immacolata, l’8 dicembre, proprio nel giorno anniversario della chiusura del Concilio. “In Maria – ha detto Benedetto XVI – incontriamo l’essenza della Chiesa in modo non deformato. Da lei dobbiamo imparare a diventare noi stessi ‘anime ecclesiali’, così si esprimevano i Padri, per poter anche noi, secondo la parola di San Paolo, presentarci ‘immacolati’ al cospetto del Signore, così come Egli ci ha voluto fin dal principio (Col 1,21; Ef 1,4)”.

Il cammino che ci attende in questi mesi, verso il Convegno ecclesiale di Verona, e che ha già avuto un prologo assai incoraggiante nell’incontro del 24-27 novembre a Palermo intitolato “Ricorda, Racconta, Cammina”, riceve ulteriore luce e impulso dalle grandi prospettive indicate dal Santo Padre. A sua volta, il VII Forum del Progetto culturale, svoltosi a Roma il 2 e 3 dicembre sul tema “Cattolicesimo italiano e futuro del Paese”, si è ampiamente avvalso del Magistero di Benedetto XVI. Specialmente in rapporto alle nuove generazioni, che dovranno verosimilmente far fruttificare il messaggio cristiano in un tempo caratterizzato da mutamenti ancora più profondi e accelerati, appare davvero indispensabile che la grande e genuina eredità del Vaticano II indichi la direzione di marcia per l’incontro continuamente rinnovato di Cristo con l’uomo, la sua cultura e la società in cui vive.

Martedì scorso abbiamo celebrato la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, dedicata quest’anno al tema “Ascolta, Israele! La prima delle Dieci Parole: Io sono il Signore, tuo Dio”. Il giorno prima Benedetto XVI aveva detto al Rabbino Capo di Roma: “A voi è vicina la Chiesa cattolica e vi è amica”. Ora è in corso la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che ha per tema “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,18-20): nel pomeriggio di mercoledì avremo la gioia di unirci al Santo Padre che presiederà la celebrazione dei vespri nella Basilica di San Paolo, a conclusione della Settimana. Confidiamo fortemente nell’ecumenismo della preghiera, come via massimamente efficace per giungere alla piena e visibile unità dei cristiani.

2. Il primo Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace si intitola “Nella verità, la pace”, e anche il suo discorso del 9 gennaio al Corpo Diplomatico fa perno sul rapporto tra verità e pace. Nel Messaggio, dopo aver confermato “la ferma volontà della Santa Sede di continuare a servire la causa della pace”, il Papa esprime la convinzione fondamentale che “dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace”, richiamandosi alla parola del Concilio “verità della pace” (Gaudium et spes, 77). In concreto, non ci può essere verità della pace “quando viene a mancare l’adesione all’ordine trascendente delle cose, come pure il rispetto di quella ‘grammatica’ del dialogo che è la legge morale universale, scritta nel cuore dell’uomo”, quando sono ostacolati e impediti lo sviluppo integrale della persona e la tutela dei suoi diritti fondamentali e tanti popoli sono costretti a subire ingiustizie e disuguaglianze intollerabili. La menzogna dunque, che è l’opposto della verità, impedisce la realizzazione della pace, come hanno mostrato nel secolo scorso sistemi ideologici e politici che “hanno mistificato in modo programmatico la verità” e hanno prodotto enormi rovine, mentre anche oggi le “menzogne del nostro tempo … fanno da cornice a minacciosi scenari di morte in non poche regioni del mondo”.

La verità della pace ci chiede di ricuperare la consapevolezza che “tutti gli uomini appartengono ad un’unica e medesima famiglia” e sono accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente: perciò le differenze storiche e culturali vanno valorizzate senza contrapposizioni, coltivando relazioni feconde e sincere e percorrendo le strade del perdono e della riconciliazione. Anzi, la verità della pace deve valere anche nella tragica situazione della guerra e chiede che siano puntualmente osservate le norme del diritto internazionale umanitario: sono pertanto degni di gratitudine i tanti militari impegnati in delicate operazioni di composizione dei conflitti e ripristino di condizioni di pace.

Sia nel Messaggio per la Giornata della Pace sia nel discorso al Corpo Diplomatico il Papa ha dedicato speciale attenzione e parole molto severe e preoccupate al “terrorismo organizzato, che si estende ormai a livello planetario”. Esso nega in modo drammatico la verità della pace e tiene il mondo in stato di ansia e di insicurezza, rendendo più acuto quel “pericolo di uno scontro di civiltà” che “non a torto si è ravvisato” nell’odierno contesto mondiale. Tra le sue cause numerose e complesse, oltre a quelle di carattere politico e sociale, non ultime e più profonde sono quelle culturali e ideologiche, “commiste ad aberranti concezioni religiose”. In concreto, si tratta del nichilismo e del fanatismo religioso, o “fondamentalismo fanatico”: entrambi si rapportano in modo errato alla verità, negandone l’esistenza oppure pretendendo di imporla con la forza. Pur differenti per la loro origine e per i contesti culturali in cui si iscrivono, essi sono accomunati dal disprezzo per l’uomo e per la sua vita e, in ultima analisi, per Dio stesso, di cui il nichilismo nega l’esistenza e la provvidente presenza nella storia, mentre il fondamentalismo ne sfigura il volto amorevole e misericordioso, sostituendo a Lui idoli fatti a propria immagine. Nessuna circostanza vale pertanto a giustificare l’attività criminosa del terrorismo, “che copre di infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale”.

Il Messaggio per la Giornata della Pace registra d’altronde con gioia alcuni segnali promettenti, come il calo numerico dei conflitti armati, senza dimenticare però le guerre che continuano a devastare vaste zone della terra. Denuncia inoltre la fallace prospettiva di quei governi che contano sulle armi nucleari per garantire la sicurezza dei loro Paesi, così come l’aumento delle spese militari e del sempre prospero commercio delle armi. Auspica pertanto con forza che “la Comunità Internazionale sappia ritrovare il coraggio e la saggezza di rilanciare in maniera convinta e congiunta il disarmo”, ponendo realmente in atto il diritto di tutti alla pace. Ne trarranno vantaggio anzitutto i Paesi poveri, “che reclamano giustamente, dopo tante promesse, l’attuazione concreta del diritto allo sviluppo”. Di fatto, meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall’indigenza lo sterminato esercito dei poveri. In questa linea la Chiesa cattolica conferma la propria fiducia nell’ONU e al contempo ne auspica un rinnovamento istituzionale ed operativo, che la metta in grado di rispondere alle esigenze di un’epoca segnata dalla globalizzazione.

Nel discorso al Corpo Diplomatico Benedetto XVI enuclea inoltre il rapporto tra verità e pace “in alcuni semplici enunciati”, che poi sviluppa e applica concretamente a varie situazioni del mondo. Il primo di essi è che “l’impegno per la verità è l’anima della giustizia”: qui si colloca anche il rifiuto del terrorismo. Il secondo afferma che “l’impegno per la verità dà fondamento e vigore al diritto di libertà”: al riguardo il Papa sottolinea che la verità, ogni verità, “può essere raggiunta solo nella libertà” e che ciò vale in maniera eminente “per le verità in cui è in giuoco l’uomo stesso in quanto tale, le verità dello spirito: quelle che riguardano il bene ed il male, le grandi mete e prospettive di vita, il rapporto con Dio”. Insiste pertanto sulla libertà di religione, che deve valere sotto tutte le latitudini e che invece è gravemente violata anche in Stati che vantano tradizioni culturali plurisecolari. Nell’Angelus di domenica 4 dicembre il Papa aveva detto che in vari Paesi questa libertà, “pur riconosciuta sulla carta, viene ostacolata nei fatti dal potere politico, oppure, in maniera più subdola, dal predominio culturale dell’agnosticismo e del relativismo”.

Il terzo enunciato è che “l’impegno per la verità apre la via al perdono e alla riconciliazione”: qui Benedetto XVI non solo ricorda e ripete la “parola luminosa” del suo predecessore “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”, ma affronta l’obiezione, diffusa nella nostra cultura, secondo la quale le convinzioni diverse sulla verità danno luogo a tensioni, ad incomprensioni, a dispute, “tanto più forti quanto più profonde sono le convinzioni stesse”, e storicamente hanno dato luogo addirittura a guerre di religione. Il Papa riconosce che ciò è vero, ma precisa che “è sempre avvenuto per una serie di cause concomitanti, poco o nulla aventi a che fare con la verità e la religione, e sempre comunque perché ci si volle avvalere di mezzi in realtà non conciliabili con il puro impegno per la verità né con il rispetto della libertà richiesta dalla verità”. In specie la Chiesa cattolica, “in quanto anche da parte di suoi membri e di sue istituzioni sono stati compiuti gravi errori in passato”, condanna tali errori e non ha esitato a chiedere perdono, come esige l’impegno per la verità. L’ultimo enunciato, “quasi una logica conclusione” dell’intera riflessione, afferma che “l’impegno per la pace apre a nuove speranze”, perché l’uomo è capace di verità.

Nella parte finale del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace Benedetto XVI chiede ai cattolici di intensificare, in ogni parte del mondo, l’annuncio e la testimonianza del “Vangelo della pace”, proclamando che il riconoscimento della piena verità di Dio “è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace”, e sollecita ogni comunità a impegnarsi in una capillare opera di educazione alla vera pace, che è anzitutto dono di Dio da implorare incessantemente. L’insieme degli insegnamenti contenuti nel Messaggio stesso e nel discorso al Corpo Diplomatico costituisce, in ordine a una tale educazione, un contributo che unisce la profondità dottrinale con la risposta pertinente alle sfide attuali della storia, nella luce perenne della verità cristiana in cui si rivela il Dio che è amore.

3. Cari Confratelli, un rapido sguardo alla situazione internazionale mette anzitutto davanti a noi una fase tanto importante quanto delicata dei tentativi di giungere a una pacifica convivenza in Terra Santa. La grave malattia che ha colpito il Primo Ministro Sharon non sembra far venir meno la spinta verso un tale traguardo in Israele. Sono ora imminenti le elezioni politiche palestinesi: al di là dei loro esiti numerici, è essenziale che tutte le maggiori forze rappresentative di quelle popolazioni, e naturalmente gli stessi israeliani, entrino davvero nella prospettiva ribadita dal Papa nel discorso al Corpo Diplomatico, che cioè lo Stato d’Israele possa sussistere pacificamente in conformità alle norme del diritto internazionale e nel contempo il Popolo palestinese possa sviluppare serenamente le proprie istituzioni democratiche, per un avvenire libero e prospero.

In Iraq le elezioni legislative del 15 dicembre hanno registrato un’alta partecipazione al voto, anche da parte dei Sunniti: per conseguenza, la composizione del nuovo Parlamento risulta assai più equilibrata. Prosegue dunque il faticoso cammino verso la costruzione di autonomi assetti democratici, ma continuano anche gli attentati terroristici, spesso estremamente sanguinosi. La realizzazione di veri accordi tra tutte le componenti della popolazione sembra la premessa indispensabile per isolare i fanatici del terrorismo e far compiere un passo decisivo al processo di pacificazione. In questo contesto il nostro Governo ha annunciato che tutto il contingente italiano rientrerà in Patria entro la fine del 2006.

Sono aumentate, a livello internazionale, la tensione e le preoccupazioni dopo la decisione delle autorità iraniane di togliere i sigilli agli impianti in cui si intende riavviare le attività di ricerca nucleare. Ciò conferma la necessità e l’urgenza di invertire la direzione di marcia, sostituendo all’attuale tendenza alla proliferazione un progressivo e concordato disarmo nucleare.

In Africa, mentre si deve purtroppo registrare una nuova impennata delle violenze nel Darfur, che coinvolgono anche un enorme numero di bambini, senza una reazione adeguata della comunità internazionale, nei Paesi del “Corno d’Africa” la siccità sta provocando una catastrofe umanitaria che richiede con urgenza massicci aiuti alimentari, ai quali anche la nostra Conferenza, costantemente solidale con quelle popolazioni, non mancherà di contribuire.

L’Unione Europea cerca la strada per dare nuovo slancio al proprio cammino e in particolare alla propria presenza sulla scena internazionale, di cui si avverte una grande necessità. Il compromesso raggiunto a dicembre sul bilancio comunitario nel vertice dei Capi di Stato e di Governo è stato rimesso in discussione nei giorni scorsi dal Parlamento europeo, ma sembrano molte, fortunatamente, le probabilità che si giunga presto a un accordo definitivo. Continua intanto, purtroppo, la tendenza del medesimo Parlamento, profondamente errata e gravida di conseguenze negative, a non rispettare il criterio della sussidiarietà e ad approvare risoluzioni che, sebbene non vincolanti per i singoli Paesi, costituiscono una spinta e una specie di pressione morale ad allontanarsi dai cardini stessi della nostra civiltà: così il 18 gennaio è stata approvata una risoluzione che respinge giustamente gli atteggiamenti di discriminazione, disprezzo e violenza contro le persone omosessuali, ma sollecita anche una equiparazione dei diritti delle coppie omosessuali con quelli delle vere e legittime famiglie. Conforta il fatto che gran parte degli europarlamentari italiani si è opposta a tale risoluzione.

4. Nel nostro Paese continua purtroppo ad innalzarsi il livello della conflittualità, in un clima politico sempre più condizionato dall’approssimarsi delle elezioni, che si svolgeranno sulla base della nuova legge elettorale, definitivamente approvata il 14 dicembre.

Tra le altre leggi recentemente varate dal Parlamento alcune riguardano l’amministrazione della giustizia, come quella in materia di attenuanti generiche, recidiva, usura e prescrizione, approvata definitivamente il 29 novembre. Quella riguardante il processo penale, approvata il 12 gennaio, è stata invece rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica. Un problema tanto importante quanto di difficile soluzione che rimane davanti a noi è quello, da tutti riconosciuto, di migliorare ed accelerare il funzionamento complessivo dell’amministrazione della giustizia nel nostro Paese. Un altro e connesso problema strutturale riguarda le condizioni dei detenuti e il sovraffollamento delle carceri: è nuovamente fallito il tentativo di alleggerirlo, certo in maniera soltanto provvisoria, attraverso qualche misura di abbreviazione dei tempi di detenzione.

Un tema intorno al quale si concentrano, ormai da molti mesi, l’attenzione e le polemiche ha a che fare con le normative che riguardano le attività imprenditoriali e finanziarie, e soprattutto con le questioni del controllo di alcuni istituti di credito. In questo contesto hanno avuto luogo le dimissioni del Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e l’approvazione della nuova legge sul risparmio, che modifica anche le procedure di nomina, le attribuzioni e la durata in carica del Governatore. Pochi giorni dopo a tale incarico è stato chiamato Mario Draghi. Rimangono aperte le vicende giudiziarie di alcuni esponenti del mondo bancario e di quello cooperativo, sulle quali si è innestato un aspro dibattito politico. È forte l’auspicio che, in questo come in altri campi, i comportamenti censurabili, o comunque gravemente discutibili, trovino un freno e un limite nella coscienza delle persone prima ancora che nelle norme giuridiche e amministrative, e che il confronto politico ricuperi, anche nel periodo elettorale, l’indispensabile serenità, concentrandosi, più che sulle polemiche reciproche, sui problemi che il Paese ha davanti a sé.

Tra questi rimane prioritario lo sviluppo del Mezzogiorno, attraverso una migliore valorizzazione delle sue specifiche potenzialità, che favorisca anzitutto l’incremento dell’occupazione, e un contrasto alla criminalità organizzata che incida più efficacemente anche sulle sue radici sociali e culturali. Obiettivi urgenti che dovrebbero essere concretamente condivisi sono quelli della cura del territorio, del potenziamento e della modernizzazione delle principali infrastrutture e della riduzione della grave dipendenza energetica del nostro Paese. Purtroppo molti episodi, anche recenti e assai noti, mostrano come sia difficile muoversi in queste direzioni, per la scarsa efficienza di alcuni servizi pubblici essenziali e per la tenace difesa di interessi corporativi, oltre che per resistenze diffuse tra la popolazione. Sarebbe però sbagliato sottovalutare la volontà di ripresa, l’impegno quotidiano nel lavoro, la creatività e la consapevolezza crescente della necessità di innovare, che pure sono largamente presenti tra gli italiani.

Ancora più determinanti, sul medio e sul lungo periodo, sono i grandi temi della famiglia, della natalità e dell’educazione: soprattutto su di essi l’Italia ha bisogno di un forte e durevole impegno, sul versante culturale e morale come su quello delle politiche sociali, per sostenere la famiglia stessa, nucleo fondamentale della società, così che siano più largamente accolte la responsabilità ma anche la gioia di essere genitori, e per offrire alle nuove generazioni concreti e convincenti modelli di vita.

In vista del prossimo appuntamento elettorale confermiamo in primo luogo quella linea di non coinvolgerci, come Chiesa e quindi come clero e come organismi ecclesiali, in alcuna scelta di schieramento politico o di partito, linea che non è frutto di indifferenza o di disimpegno, ma di rispetto della legittima autonomia della politica e ancor prima della genuina natura e missione della Chiesa (cfr Gaudium et spes, 76). Nell’attuale situazione italiana anche con questo atteggiamento intendiamo inoltre contribuire a quel rasserenamento del clima e a quella concordia sui valori e gli interessi fondamentali della nazione di cui si avverte acutamente il bisogno.Nello stesso tempo è nostro dovere riproporre, con rispetto e chiarezza, agli elettori e ai futuri eletti quei contenuti irrinunciabili, fondati sul primato e sulla centralità della persona umana, da articolare nel concreto dei rapporti sociali, e sul perseguimento del bene comune prima che di pur legittimi interessi particolari, che appartengono al patrimonio della dottrina sociale della Chiesa ma, come ha detto il Papa nel discorso del 12 gennaio agli Amministratori della regione Lazio, del comune e della provincia di Roma, non sono “norme peculiari della morale cattolica”, bensì “verità elementari che riguardano la nostra comune umanità”.

Essi non si limitano certo ad alcune tematiche peculiari ma riguardano ogni ambito essenziale dell’esistenza umana: anche in questa occasione ho cercato di concretizzarne alcuni in rapporto alle esigenze attuali del nostro Paese. Il rilievo crescente che vanno assumendo determinate problematiche antropologiche ed etiche anche in sede politica e legislativa, con la tendenza diffusa in molti Paesi e ben presente anche in Italia, come mostrano svariati segnali, ad introdurre normative che, mentre non rispondono ad effettive esigenze sociali, comprometterebbero gravemente il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio e il rispetto che si deve alla vita umana dal concepimento al suo termine naturale, richiede però un supplemento di attenzione a questi temi nelle scelte degli elettori e poi nell’esercizio delle loro responsabilità da parte dei futuri parlamentari. Richiamando a questa speciale attenzione la Chiesa adempie alla sua vocazione di essere “il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana” (Gaudium et spes, 76).

Cari Confratelli, nell’anno da poco terminato ha continuato ad allungarsi l’elenco dei testimoni di Cristo che hanno pagato con la vita l’adempimento della loro missione e non sono mancati, intensificandosi anzi in alcuni Paesi, le violenze e gli atteggiamenti persecutori nei confronti dei cristiani, ed anche di aderenti ad altre religioni. Tutto ciò ci sprona ad essere degni, nella nostra vita e nel servizio pastorale, dell’esempio che riceviamo da questi fratelli e al contempo a rivendicare con coraggio e franchezza, in unione con il Papa, sotto tutte le latitudini il diritto fondamentale della libertà religiosa.

Vi ringrazio del vostro ascolto e di quanto vorrete osservare e proporre. Affidiamo queste giornate di lavoro comune all’intercessione della Vergine Maria, del suo sposo Giuseppe e dei Santi e delle Sante Patroni delle Diocesi italiane.Camillo Card. RuiniPresidente