Lettere in redazione

Quando la Chiesa parla dei «Dico»

Caro Direttore,vorrei esprimere la mia opinione circa l’attuale infuocato dibattito sui Dico. Intanto vorrei precisare che uno Stato laico come quello italiano deve legiferare nell’interesse di tutti i cittadini al di là della loro religione, della propria fede, della propria cultura ecc. La Chiesa, a mio modesto parere, ha il diritto dovere di esprimere la sua opinione, ma non certamente di dichiarare come per esempio sul dibattito sui Dico che i «cattolici non hanno libertà di coscienza» («la Repubblica» di giovedì 29 marzo 2007). La Chiesa non si può sostituire alla coscienza delle singole persone, poiché la coscienza di ogni uomo risponde direttamente a Dio. Questo modo di agire della Chiesa gerarchica cattolica ha portato al fatto che ancora oggi abbiamo molte persone che vogliono sapere dal parroco come comportarsi in diverse situazioni, Non chiedono semplicemente un parere o un consiglio, no vogliono sapere con precisione come comportarsi. Questo retaggio di una vecchia educazione non incoraggia le persone a prendersi le proprie responsabilità.

La legge sui Dico, si dice, distruggerebbe la famiglia. Ma la famiglia è già stata in parte distrutta non penso dallo Stato e tanto meno dalla Chiesa. Certamente però dal benessere, dalla mancanza di punti di riferimento forti come il sapersi decidere di prendere una decisione che vincoli una vita intera. Viviamo in una società dal pensiero debole in cui ciò che decido oggi domani non vale più.

Mi domando come mai altrettanti eccitati dibattiti non si verifichino per i grandi problemi planetari del mondo contemporaneo: le guerre, la fame, l’ingiustizia dilagante, l’inquinamento, lo sfruttamento sistematico, l’accoglienza dello straniero e uguali diritti di tutti gli esseri umani. Certamente la Chiesa ne parla, ma senza riscaldarsi, senza prendere drastiche posizioni come sul fatto dei Dico. Si ha un po’ l’impressione che la gerarchia si infuochi a torto o ragione dei problemi che riguardano le problematiche che nascono da sotto l’ombellico delle persone.

Di fronte ad uno Stato laico il compito dei vescovi e parroci dovrebbe essere quello di mediare alla gente che si dichiara cristiana e che frequenta le nostre chiese che le leggi dello Stato non sempre coincidono con le leggi della Chiesa. Quindi è necessario fare le proprie scelte responsabili da cristiani, che spesso sono contro corrente. I cristiani di oggi che si riconoscono tali devono accettare di essere minoranza e diventare lievito del mondo e la chiesa segno profetico innalzato fra le nazioni.Piero Raffaelliparroco – Montuolo (Lu)

Ti dirò subito, caro don Piero, – e proprio in nome della nostra vecchia amicizia, nata dalla comune stima per il Vescovo Agresti – che dissento da alcune tue affermazioni che prendono spunto da… un falso giornalistico. Infatti la frase virgolettata, che «Repubblica» del 29 marzo 2007 attribuisce alla «Nota Cei a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto» (28 marzo 2007), non c’è affatto nel Documento del Consiglio permanente.

Al di là di questo però e del problema dei Dico, sui quali le posizioni si sono ormai delineate con chiarezza e che ora vanno lasciati al loro iter parlamentare, tu sollevi un problema serio che merita approfondimento. E cioè il valore che per un cattolico assumono le Dichiarazioni della gerarchia e del Magistero, quando attengono a temi socio-politici. A me sembra che un’attenta e integrale lettura della stessa «Nota» possa chiarire molti dubbi. Il compito di questi interventi è quello «di illuminare le coscienze», richiamando i principi di fondo, i punti fermi, al fine di dare un contributo al bene comune. Sta poi ai credenti trovare «il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale».

Questo impegna soprattutto i cattolici che operano in ambito politico che «consapevoli della loro grave responsabilità sociale devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana». Se non lo facessero sarebbero incoerenti. Non si vuole imporre nulla, ma proporre dei valori che – si è detto tante volte – certamente sono vivificati dal Vangelo, ma che sono profondamente umani e che quindi offrono possibilità di incontro. Credo che la Chiesa, quando li richiama, non si intrufoli in questioni che non le competono, ma faccia un servizio all’uomo.