Opinioni & Commenti

Questi trent’anni senza Aldo Moro

di Romanello Cantini

Fu Walter Veltroni a sostenere una quindicina di anni fa nel suo libro «La bella politica» che la morte di Moro significava anche l’inizio della fine della Dc. A parte l’interesse di bottega che spingeva l’allora leader postcomunista ad azzardare una simile affermazione c’è con molta probabilità un rapporto fra il destino di Moro e quello del suo partito anche se è noto che la storia non si fa con i «se».

Nella sua lunga vicenda di leader Moro aveva sempre tenuto fermo il punto del primato della Dc seppure in un dialogo paziente fino alla estenuazione, in una ossessione di convincere che qualcuno ha chiamato addirittura lo «stile pastorale» di Moro.

Ma non molto dopo il maggio 1978 la Dc subì il primo assalto senza difesa con le dimissioni imposte ad un presidente Leone che le successive sentenze dei tribunali dovevano riconoscere assolutamente innocente dalle accuse che gli erano state mosse. Nel corso degli anni ottanta, mentre, nonostante tutto, la Dc conservava intatta la sua maggioranza relativa, con i governi Spadolini e Craxi la guida del governo viene affidata prima ad un partito che ha un sesto dei voti della Dc e poi ad un partito che ne conta poco più di un terzo. Mentre Moro, concludendo il suo discorso all’ultimo congresso a cui partecipò, quello di Roma, aveva detto  «Sia pure così», quasi un amen, di fronte alla ipotesi di una Dc alla opposizione i suoi eredi non seppero smarcarsi dal potere mantenuto a qualsiasi prezzo.

Da quando fu eletto segretario della Dc nel 1959 fino all’ultimo discorso di dodici pagine del 28 febbraio 1978 di fronte alla assemblea dei parlamentari democristiani Moro ha condizionato ogni scelta, tanto più la più difficile, all’unità del partito. Al contrario, dopo la sua morte il partito sarà costantemente lacerato tra «destra» e «sinistra» e perfino fra Tizio e Caio fino a giungere alla fine alla polemica delegittimante e devastante condotta fra il presidente Cossiga e il suo partito con centinaia di ore di accuse in diretta televisiva. È in fondo negli anni ottanta che si fanno le valigie per la diaspora dei democristiani e dei cattolici degli anni Novanta.

Moro, è noto, era dialogante nella forma e fermo nella sostanza. A chi guardava solo alla corteccia del suo agire fece quindi impressione il suo «non ci faremo processare sulle piazze» pronunciato in Parlamento durante la discussione sullo scandalo Lockeed. Ed è lecito domandarsi se una Dc con Moro alla guida avrebbe reagito con lo stesso misto di fatalismo e di opportunismo con cui subì «Mani pulite». Purtroppo talvolta anche la storia della democrazia è fatta dalle pallottole. È accaduto in America con i Kennedy, con Luther King, con Malcom X. Forse è accaduto anche in Italia con Moro.