Italia
Referendum lavoro: ecco le ragioni del «Sì», del «No» o dell’astensione
Qual è il contenuto effettivo di ciascuno dei quattro quesiti in materia di lavoro sul piano degli effetti pratici? E quali gli argomenti a favore e contro? Abbiamo invitato il redazione per un «forum» Ilaria Lani, della segreteria fiorentina Cgil, e Silvia Russo, segreteria generale Cisl Toscana. Anche i sindacati hanno posizioni diverse su questo tema

In Italia l’8 e il 9 giugno i cittadini sono chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativi: quattro riguardano il lavoro e uno la cittadinanza. Di quello sulla cittadinanza ci siamo occupati sul numero scorso. Questa settimana invece ci occupiamo dei temi che riguardano il lavoro. A Toscana Oggi abbiamo organizzato un «forum» al quale hanno partecipato Ilaria Lani, della segreteria fiorentina della Cgil, e Silvia Russo, segreteria generale Cisl della Toscana. Il tema divide anche il mondo del sindacato: la Cgil propone le ragioni del «Sì», mentre la Cisl è per l’astensione (e quindi per il «No»). Ricordiamo infatti che si tratta di referendum abrogativi, in cui si propone ai cittadini di approvare o meno la cancellazione di una legge o di una sua parte. Saranno validi solo se andrà a votare la maggioranza delle persone che hanno il diritto di farlo, cioè almeno una in più della metà, come prevede l’articolo 75 della Costituzione. Questa soglia minima di partecipazione al voto è il cosiddetto quorum.
La prima domanda riguarda la «scheda verde», che interviene sui licenziamenti illegittimi e sul contratto a tutele crescenti. Quali le modifiche?
ILARIA LANI (Cgil): «L’attuale normativa introduce una discriminazione tra chi è stato assunto prima del 2015 e chi dopo: tutte le persone assunte successivamente non godono di un diritto, per noi fondamentale, ovvero quello della reintegra nel posto di lavoro nel caso in cui un giudice accerti l’illegittimità del licenziamento. Parliamo di numerosi casi, sia per licenziamenti disciplinari che per motivi oggettivi. La reintegra è importante perché consente al lavoratore di tornare a testa alta nel proprio posto, e ha anche un forte effetto deterrente: il datore di lavoro sa che, in caso di licenziamento infondato, dovrà reintegrare il dipendente e corrispondere gli indennizzi stabiliti dal giudice. È inoltre utile nei casi di discriminazione, dov’è difficile dimostrare direttamente il carattere discriminatorio: consente di tutelare chi si espone, anche come rappresentante sindacale.»
SILVIA RUSSO (Cisl): «La richiesta di referendum interviene su una legge che è già stata ampiamente modificata, anche dalla Corte costituzionale. Le tutele crescenti, per esempio, sono già state riviste. La reintegra, per quanto ci risulta, esiste ancora per i licenziamenti illegittimi con motivazioni gravi. Inoltre, non abbiamo rilevato un aumento significativo dei licenziamenti. Spesso, poi, i lavoratori non chiedono nemmeno la reintegra, preferendo non tornare in un ambiente che li ha esclusi. Il Jobs Act già oggi prevede indennizzi fino a 36 mensilità. Abrogare la norma potrebbe addirittura riportarci al modello Monti-Fornero, che prevedeva un massimo di 24 mensilità, con il rischio quindi di ottenere meno rispetto alla normativa attuale».
La «scheda arancione» si occupa invece delle indennità nei licenziamenti per le piccole imprese. Cosa cambierebbe?
ILARIA LANI (Cgil): «La normativa vigente prevede per le piccole imprese un tetto massimo di indennizzo pari a sei mensilità: un limite che consideriamo anacronistico. La Corte costituzionale stessa ha evidenziato criticità. Oggi molte piccole imprese, specie nei settori digitali e innovativi, hanno elevati fatturati. Dovrebbe quindi essere il giudice, sulla base della gravità del licenziamento e della solidità dell’azienda, a stabilire l’indennizzo. Togliere il tetto massimo serve anche a rafforzare l’effetto deterrente: se un datore di lavoro sa che potrebbe dover pagare indennizzi elevati, ci penserà due volte prima di procedere con un licenziamento ingiusto».
SILVIA RUSSO (Cisl): «Il quesito mira a eliminare il tetto massimo, ma ciò non garantisce che il giudice conceda indennità più elevate. Sarebbe più opportuno rivedere l’intera norma, introducendo un minimo e un massimo. In ogni caso, chi ha promosso questo quesito avrebbe potuto agire in modo diverso quando era al governo. Ricordo, ad esempio, che il governo Conte ha già modificato diversi aspetti del Jobs Act. Poteva modificare anche questo aspetto. Noi, fin dall’inizio, abbiamo avuto una posizione distinta su questo tema all’interno del mondo del sindacato. Le modifiche si potevano fare per via legislativa, quando tutti chiedevamo di farlo».
La «scheda grigia» tratta il tema dei contratti a termine: come verrebbe modificata la legislazione?
ILARIA LANI (Cgil): «Nel tempo ci sono state molte modifiche. In origine, il contratto a termine doveva essere un’eccezione, non la regola, e prevedeva una “causale” fin dal primo giorno. Oggi, invece, la causale è richiesta solo dopo il primo anno. Il quesito mira a ripristinare l’obbligo sin dall’inizio. Questo servirebbe a limitare fenomeni di turnover, in cui i datori tengono un lavoratore per un anno (senza causale) e poi lo sostituiscono, ricominciando il ciclo. Vogliamo restituire dignità e stabilità al lavoro, riportando il contratto a termine a un uso realmente eccezionale».
SILVIA RUSSO (Cisl): «Il contratto a tempo determinato è oggi uno dei principali strumenti d’ingresso nel mondo del lavoro. Eliminare l’obbligo della causale è vero che ha dato maggiore flessibilità alle aziende. Ma dopo 12 mesi di assunzione, molte aziende tendono a stabilizzare i lavoratori: lo dimostrano anche i dati regionali dell’Irpet, secondo cui la maggioranza delle assunzioni oggi è a tempo indeterminato. Ciò significa che lo strumento ha funzionato. Il problema, piuttosto, riguarda il lavoro povero e il part-time involontario. Il quesito non inciderebbe su queste situazioni. Le aziende che praticano un uso distorto del personale – con “dumping” e rotazioni – lo fanno per motivazioni che richiedono soluzioni a livello di contrattazione territoriale».
Infine, la «scheda rosa» tocca il tema della responsabilità solidale negli appalti: si risolverebbe la questione sicurezza?
ILARIA LANI (Cgil): «Proponiamo di estendere la responsabilità solidale anche ai rischi specifici, in particolare per la salute e la sicurezza. Pensiamo ai cantieri, agli infortuni, spesso gravissimi. Il caso di via Mariti a Firenze è emblematico. La catena di responsabilità viene spesso scaricata verso il basso, lasciando i lavoratori senza tutele. Con questa modifica, anche l’azienda appaltante risponderebbe degli infortuni, qualora l’impresa esecutrice non sia in grado di farlo. Questo non solo rafforzerebbe l’effetto deterrente, ma garantirebbe giustizia e indennizzi adeguati alle vittime.»
SILVIA RUSSO (Cisl): «Controllare i subappalti è fondamentale, ma abrogare questa norma non cambierà molto: esiste già una responsabilità estesa. Il vero problema sta nell’uso improprio dei contratti. Spesso non vengono utilizzati i contratti corretti: ad esempio, in edilizia si impiega un contratto metalmeccanico per risparmiare, riducendo però le tutele, soprattutto in materia di sicurezza. Più che un referendum, servirebbe rafforzare la contrattazione e la partecipazione dei lavoratori all’interno delle aziende».
Vi chiedo una riflessione conclusiva sul referendum dell’8 e 9 giugno. È uno strumento efficace per questo settore?
ILARIA LANI (Cgil): «In questi anni la legislazione è sempre stata meno attenta alla tutela di chi lavora, quindi pensiamo che il referendum sia prima di tutto uno strumento per dare un grosso segnale anche alla politica che in questi anni ha ridotto le tutele. Poi sulle singole norme si riaprirebbe lo spazio anche per andare a fare tutti i correttivi che riteniamo migliori. Anche se il referendum è uno strumento che ci consente solo di abrogare le leggi, credo che in questo momento sia uno strumento importante per ridare dei diritti e per riaprire finalmente una discussione con la politica, per poter ridare al lavoro il valore che merita. Poi, in questa fase dove purtroppo vediamo un calo della partecipazione al voto, penso che oggi sia decisivo anche attraverso il referendum riportare le persone a votare: la partecipazione è importante per rafforzare la nostra democrazia».
SILVIA RUSSO (Cisl): «Come organizzazione sindacale, crediamo in una via alternativa: promuoviamo la partecipazione diretta dei lavoratori alle scelte, anche attraverso la nuova legge sulla partecipazione. Questo permette di incidere davvero sulle condizioni di lavoro, tramite le rappresentanze sindacali. Riguardo ai referendum, purtroppo spesso la partecipazione è bassa e, soprattutto negli ultimi anni, non si è mai dimostrato uno strumento realmente risolutivo. In Italia manca oggi un vero riconoscimento della politica da parte dei cittadini che crea quindi una mancanza di partecipazione. Spetta alla politica stessa recuperare credibilità, promuovendo riforme strutturali credibili. Il Jobs Act, sul quale si può essere anche in disaccordo, è stata però l’ultima riforma organica sul lavoro: serve tornare a una stagione di progettualità vera».