Il film: “Le città di pianura”, il senso della vita nascosto nell’ultima bevuta
Felice esordio di Francesco Sossai capace di rivelare lo smarrimento di una generazione e di una regione, il Veneto, che ha trasformato la “terra” in “territorio”

A un dato punto di questa storia strampalata, picaresca e a forte tasso alcolico, Giulio, il giovane studente napoletano che studia architettura all’Università di Venezia, si trova in una villa storica dove fa un commento sugli affreschi decorativi di scuola del Veronese: «È un capriccio, un paesaggio che non esiste, immaginario. Qui si vede che volevano unire il paesaggio delle montagne a quello lagunare, senza tutte quelle città di pianura in mezzo». Il regista Francesco Sossai (con un’idea di cinema molto precisa ma al contempo umile, tanto da rinunciare alla scritta: “Un film di…”) ha voluto esprimere in questa scena il senso della sua opera prima: realizzare un “capriccio” giocando sul paesaggio veneto, dalle Alpi al mare, ricavandone non uno sfondo suggestivo, ma un elemento antropologico per capire un mondo in decadenza.
È una trasformazione barbarica quella in atto, di cui sono emblemi l’autostrada Lisbona-Treviso-Budapest che deturpa gli spazi ad uso della velocità, i supermercati o i distributori anonimi, i bar o i ristoranti che cessano l’attività, gli infissi di alluminio anodizzato che suggellano le villette della piana. Di ciò che storicamente quel paesaggio aveva rappresentato in termini di bellezza naturale, di lavoro agricolo, di intuizioni architettoniche sembra restare qualche traccia che solo il buon Giulio sa cogliere.
In questo percorso spaziale ed esistenziale il giovane è accompagnato da due angeli alcolisti, Carlobianchi e Doriano, cinquantenni sopravvissuti al mito dell’espansione economica degli anni Novanta, arricchitisi grazie alle manovre losche del loro amico Eugenio (detto Genio), capace di stornare montature difettate dalla fabbrica di ottica dove lavorava prima di essere scoperto e fuggire in Argentina. I due compagni di traffici e bevute raccontano a Giulio le gesta epiche del mitico Genio, sorta di Godot di cui si aspetta un ritorno e in cui il giovane si identifica avendo ormai ceduto alla tentazione di farsi coinvolgere nelle scorribande notturne dei due in perenne crisi etilica. Con felice intuizione, il regista ci mostra dei flashback filtrati dalla fantasia di Giulio, con lui stesso nei panni del Genio (del male?) di cui i novelli Estragone e Vladimiro gli parlano, finché il Godot trevigiano arriva davvero – ma sarà una delusione. Comunque l’angelo Doriano fa notare in più occasioni che la “divina Provvidenza” interviene quando meno ci se lo aspetta e le situazioni si ribaltano.
Un altro nume tutelare di questo film (di cui bisogna segnalare un frequente ricorso alle imprecazioni tipiche della regione, mitigate da un cambio di consonante per non cadere nella vera e propria bestemmia) è Il sorpasso (1962), il classico della commedia all’italiana che, in pieno boom economico, raccontava l’incontro tra il nuovo tipo di affarista senza scrupoli destinato a cadere in piedi (Gassman) e lo studente pieno di valori umanistici (Trintignant), preservato dal fascino della corruzione proprio da un incidente mortale. In questo caso, rispetto al film di Dino Risi, c’è meno cinismo e una maggiore volontà di riscatto, di speranza, di fiducia che forse un’altra occasione esista davvero. Come dice Carlobianchi a proposito di un cono gelato che sta assaporando: «Me lo aspettavo amaro, invece è dolce nel finale», considerazione che si attaglia anche alla nostra pellicola. In questo caso il termine pellicola è del tutto appropriato: Le città di pianura è girato in 16 e in 35mm., come i film di un tempo, con una grana e dei colori che il digitale non consente (perfino i titoli sembrano realizzati in analogico). Ottimi risultati che fanno ben sperare per il futuro professionale e creativo di Francesco Sossai.
Le città di pianura
Regia: Francesco Sossai; soggetto e sceneggiatura: F. Sossai e Adriano Candiago; consulente alla sceneggiatura: Franz Rodenkirchen; fotografia (colore): Massimiliano Kuveiller; montaggio: Paolo Cottignola; musica: Krano; interpreti: Filippo Scotti, Sergio Romano, Pierpaolo Capovilla, Roberto Citran, Andrea Pennacchi; produzione: Marta Donzelli e Gregorio Paonessa; distribuzione: Lucky Red; formato: 1,85:1; origine: Italia-Germania, 2025; durata: 100 min.