Il film: “Superman”, perché il mondo ne ha (ancora) bisogno

Il «Superman» di James Gunn inaugura una nuova era per la DC Comics al cinema, e sfida il mondo con un eroe umano, gentile, in netta controtendenza rispetto all'America di oggi

Uno dei motti più noti di Superman, eroe di punta della DC Comics, è sempre stato “Truth, Justice and the American Way”, ovvero “Verità, giustizia e il modo di vivere americano”. Oggi, però, quell’American Way ha ben altro significato rispetto a quello che poteva avere nel 1938, data del suo debutto a fumetti, o anche rispetto al 1978, quando l’indimenticato Christopher Reeve portò sul grande schermo il personaggio per Richard Donner.

James Gunn, incaricato insieme a Peter Safran di rilanciare i personaggi DC al cinema dopo il fiasco della versione cupa, violenta e seriosa di Zack Snyder, si trova così di fronte a un dilemma non da poco: come poter riproporre al mondo di oggi il supereroe più iconico di sempre, popolare sì ma perennemente a rischio anacronismo, vestito dei colori della bandiera di un paese che non fa neanche più finta di essere quella guida morale del mondo libero che sognava di diventare?

La risposta sta tutta nella costruzione del personaggio principale, con David Corenswet che pone l’accento più sul “man” che sul “super”, e che viene guidato da Gunn a definire l’eroe più potente del mondo a partire dai suoi momenti di fragilità e debolezza, e soprattutto attraverso le sue relazioni: con l’amata Lois Lane, con cui condivide un’intervista che è probabilmente la scena migliore del film, con gli amici e colleghi del Daily Planet, con i genitori biologici e adottivi, con i “colleghi” supereroi della sgangherata Justice Gang e col tenerissimo ma distruttivo super-cane Krypto, e perfino con i nemici, che Superman si ostina caparbiamente a voler salvare prima ancora che sconfiggere.

Il film comincia in medias res, col mondo che conosce Superman da anni e con il cattivissimo Lex Luthor, genio megalomane con complesso di inferiorità che un bravo Nicholas Hoult in buona parte modella su Elon Musk, già impegnato a volerlo distruggere. Il tempo è l’oggi, per cui le armi di Luthor passano attraverso le campagne diffamatorie sui social network, attraverso fake news e canali televisivi compiacenti (qualcuno ha detto Fox News?), attraverso quindi la manipolazione di un’opinione pubblica fin troppo felice di odiare questo o quell’altro bersaglio indicati dal capopopolo di turno.

In parallelo alla guerra fisica e simbolica di Luthor contro Superman, se ne svolge un’altra tra due paesi fittizi ma fin troppo riconoscibili, col dittatore di Boravia che tenta di invadere il vicino Jarhanpur col pretesto di liberarne la popolazione da una (inesistente) tirannide. Mentre le nazioni del mondo tergiversano, bloccate più dai propri interessi che dai trattati internazionali a cui si appellano, Superman interviene: la sua visione, definita “naive ma ben intenzionata” da un ufficiale del Pentagono, vede il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, il debole che ha bisogno di essere protetto e il prepotente che deve essere fermato. Non però, come da visione di Snyder, attraverso un uso della forza indiscriminato, da “poliziotto del mondo” che impone disciplina e attira un rispetto misto a paura, ma attraverso un’attenzione quasi masochistica a far sì che nessuno si faccia male, “cattivi” compresi, in modo da guidare con l’esempio, da ricordare all’umanità – lui, un alieno e, come ricorda Gunn, un immigrato – cosa significhi essere umani davvero.

«Superman» è un blockbuster ricco di humor e di effetti speciali, dal ritmo impeccabile e condito da un’intelligentissima autoironia. Ma è più di questo: è una sfida alla logica della legge del più forte, un appello a un uso più attento, umano e gentile del potere, un ribadire che, anche nel 2025, il mondo ha bisogno di Superman. Di quello vero, però.

SUPERMAN di James Gunn. Con David Corenswet, Rachel Brosnahan, Nicholas Hoult, Edi Gathegi. USA, 2025. Fantastico.