Essere fedeli e servire: i due messaggi di Gesù

Gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta la nostra fede!» Chi di voi se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: vieni subito e mettiti a tavola? O non gli dirà piuttosto: preparami da mangiare, rimboccati le vesti e servimi.

Due messaggi ci sono offerti dal vangelo di questa domenica: uno sulla fede; l’altro sul servizio.

Gesù risponde: se aveste fede quanto un granellino di senape… fareste cose impossibili. Con una sola parola, sradicare un gelso e trapiantarlo in mare. Evidentemente, siccome non succede, non avete fede neanche quanto una capocchia di spillo. Il discorso sulla fede è amplissimo; né qui c’è spazio anche solo per iniziarlo. Qualche brevissima riflessione, questa sì.

Necessaria è la fede per dare un senso alla vita, alla sofferenza, alla morte. Mi interrogo e mi chiedo: che senso ha la mia vita? Perché sono nato? Perché devo soffrire? Perché anelo a una felicità che qui non trovo? Perché ho il concetto di eternità se poi non esiste? Fuori dalla fede non trovo risposte. Nietzsche, nella «Gaia scienza» esalta la morte di Dio: «Noi, assassini di Dio! Abbiamo staccato la terra dal suo Sole. Ma ora precipita nel buio, nel vuoto, nell’abisso, nel nulla. È sempre più freddo, è sempre più notte. Noi lo abbiamo ucciso. Ma come troveremo pace, noi, più assassini di ogni assassino». E sappiamo che dalla sua filosofia sono nati i campi di sterminio…

Foscolo scrisse nei «Sepolcri»: «Dal dì che nozze e tribunali ed are / Dier alle umane belve esser pietose /  Di sè stesse e d’altrui…» Indicava quali segni di civiltà tre cose: l’istituzione del matrimonio (nozze); l’esercizio della giustizia (tribunali) e il culto della religione (are). Erodoto, il più grande storico dell’antica Grecia, lasciò scritto: «Troverai città senza mura, popoli senza confini, ma non troverai gente senza religione». E Ludwig Wittgenstein: «Credere in Dio vuol dire che la vita ha un senso. La fede è come una fiaccola che ci fu consegnata al mattino della vita. Nell’incerto chiarore dell’alba, la fiaccola ci fu luce sui primi passi e ci parve inutile/ingombrante; forse sbrigativamente si è buttata via. Mi auguro che, quando scenderanno sollecite le ombre della sera e verranno meno gl’inganni, si invochi quella luce così necessaria…».

Ma vogliamo accennare anche al secondo tema proposto dal Vangelo: il servizio. A prima vista ci può sembrare urtante questo padrone così esigente, che pretende dal suo servo, stanco e sudato, che si rimbocchi le maniche e che subito si metta a servirlo. Ma non guardiamo al comportamento del padrone; puntiamo, invece, l’attenzione sul comportamento del servo: discepolo del Signore. Bene, il discepolo non deve accontentarsi, ma deve svolgere il suo servizio fino in fondo; con generosità e impegno; semplicemente con la consapevolezza di dover compiere il proprio dovere. Che è il volere del Signore. Nel nostro dovere c’è il Suo volere. E la vita non è piacere, ma dovere; non è passione, ma missione. Servizio, appunto. Ricordo la poesia di Tagore: «Sognai che la vita era gioia. Mi sveglia e vidi che era servizio. Servii e il servizio fu gioia». Spendersi, donarsi è ciò che veramente dà senso a lottare, soffrire, lavorare, sacrificarsi, operare, vivere. È più bello dare che ricevere.

*Sacerdote cappuccino