Quel fratello maggiore che ragiona come noi

Il Vangelo di questa domenica riporta le tre parabole di Gesù sulla misericordia. Gesù le dice perché deve difendersi dall’accusa di ricevere i peccatori e addirittura di mangiare con loro! Le prime due parabole della pecora smarrita e della moneta perduta sono molto simili: le due cose sono perdute e le due persone vanno alla ricerca, al termine c’è la festa.

La parabola del Padre Misericordioso, o del Padre incompreso, ha delle peculiarità proprie: «Chi di voi, interroga Gesù, se ha cento pecore e ne perde una non lascia le 99 nel deserto e va in cera di quella perduta, finché non la ritrova?!». Sorprendente questo Pastore che si accorge subito della pecora perduta. Se ne avesse avute 10 o 20 lo avrei capito: ma su 100 com’è che se ne accorge subito?! È il Pastore che conosce le sue pecore e le chiama una ad una per nome! S’incammina alla ricerca, affronta fatica e stanchezza, disagi e sacrifici, non si dà pace finché non la ritrova. Una volta ritrovata se la pone sulle spalle per sentire il calore della lana e il battito del suo cuore. Non la fa camminare. Tutto contento corre a chiamare gli amici ed i vicini per fare festa: «Gioite con me! Ho ritrovato la mia pecora». Sentiamo in quel «mia» tutto l’affetto: ora che ha trepidato la ama ancora di più: ora che l’ha fatto soffrire. La parabola si conclude con una dichiarazione incredibile: «c’è più festa in cielo per un peccatore convertito, che per 99 giusti che non hanno bisogno di conversione!».

Queste sono le feste in cielo! La parabola della moneta perduta è gemella: questa moneta, che forse fa parte della collana, è rovinata nel buio di un angolo della casa. Subito la donna mette in moto la ricerca: accende la lampada, spazza attentamente dappertutto, non si dà pace finché non ha la gioia di averla ritrovata. Allora come il Pastore, chiama a raccolta lei amiche vicine perché si rallegrino con lei e facciano festa. Ed anche qui abbiamo una conclusione stupefacente: «c’è gioia davanti agli angeli di Dio anche per un solo peccatore che si converte».

Voli di angeli in cielo, in danze di gloria. La parabola del Padre misericordioso è la più nota: né d’altra parte c’è qui spazio per commentarla. Il figlio giovane pretende la sua parte di eredità che il padre poteva benissimo negargli. Ma lo accontenta. Raccolto il gruzzolo si allontana. Lontano no avrà più gli occhi del padre. La vita lo chiama: vivere! Levarsi tutte le voglie! Assaporare tutti i piaceri! Solo che, finiti i soldi, si spengono le luci, tacciono le canzoni; gli amici lo abbandonano. E si ritrova nudo e affamato, ridotto perfino a badare ai porci. Da questa situazione miserevole, ripensa alla casa di suo padre e prende la decisione: «mi alzerò, ritornerò, confesserò a mio padre che ho peccato. Chissà che mi tenga almeno come suo garzone…  E si mise in cammino. Ed era ancora lontano» (notiamo questo lontano)… non poteva dunque riconoscerlo, ora ridotto ad un lurido barcollante straccione; non poteva, ma il cuore saltato in gola, gli gridava che quello era suo figlio. Ed allora fece quello che nessun uomo adulto deve fare (ci rimette in dignità): uscì fuori, si mise a correre. Commosso fin nel profondo delle sue viscere, di amore paterno; si getta su di lui, lo abbraccia, lo copre di baci, non gli fa neanche finire la confessione. «Preso, presto!» comanda a tutti: «il vestito più bello, i sandali nuovo, l’anello, uccidete il vitello ingrassato per questo ritorno. L’orchestra inizi i canti e le danze. Facciamo festa tutti!».

Ci accorgiamo che questo padre, durante l’assenza del figlio, non ha fatto altro che preparare la festa del ritorno… Sappiamo del fratello maggiore che non capisce: ragiona come noi: «Ha rovinato tutto il patrimonio e gli fa anche festa?!» Se anche lui non ha perdonato, non è entrato, è ancora fuori… Come Dio Padre perdona a noi, anche noi perdoniamo.

*Sacerdote cappuccino