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Rubrica: Risponde il teologo

4 Maggio 2024

Affidare una parrocchia a un diacono o a laici: cosa dice il Diritto canonico

È possibile che una parrocchia in cui non c'è il parroco sia affidata a un diacono, a una coppia di sposi o a una catechista? La risposta del teologo: la "piena cura d'anime" richiede un sacerdote

di padre Francesco Romano
(Foto archivio Toscana Oggi)

Credo che siano molte ormai le piccole chiesette che non hanno un parroco residente, e in cui il prete viene solo saltuariamente per dire Messa. È possibile che una parrocchia in cui non c’è il parroco sia affidata a un diacono, a una coppia di sposi o a una catechista?
Carla Venturi

Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto canonico
La «cura d’anime» fa parte di quell’ambito della pratica pastorale che si riferisce alla particolare assistenza che il ministro sacro deve prestare alle anime di quanti sono affidati alla sua cura pastorale. Da qui derivano le espressioni come «pastore in cura d’anime» e «uffici curati», cioè incarichi a cui è annessa la cura delle anime.
La cura d’anime può essere svolta a più livelli. Quello più alto prende il nome di «piena cura d’anime», plena cura animarum, che richiede da parte del ministro sacro la potestà d’ordine in grado tale da poter corrispondere alle necessità spiritali di una comunità di fedeli, in particolare la celebrazione dell’Eucaristia, il sacramento della penitenza e l’unzione degli infermi.
Per questo motivo il can. 150 così recita: «L’ufficio che comporta la piena cura delle anime, per il cui adempimento è necessario l’esercizio dell’ordine sacerdotale, non può essere conferito validamente a chi non è stato ancora elevato al sacerdozio».
L’ufficio di parroco è l’esempio più evidente della necessità di essere insigniti del requisito del sacro ordine del presbiterato da permettere al sacerdote che abbia le qualità richieste sia dal diritto universale che da quello particolare di offrire gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto la parola di Dio e i sacramenti (cf. can. 213) e di adempiere più in generale alla cura pastorale della parrocchia (cf. can. 521 §2). Per questo motivo il can. 521 §1 dispone «perché una persona sia nominata parroco validamente, si richiede che sia costituita nel sacro ordine del presbiterato» per poter adempiere a tutte le funzioni specificamente parrocchiali recensite al can. 530.
Il requisito del carattere sacerdotale per la provvisione di un ufficio che comporta la piena cura delle anime, oltre, come si vede, a essere sottoposto a clausola invalidante esplicitata dall’avverbio «validamente» (cf. can. 150), non è suscettibile di prescrizione, pertanto il trascorrere del tempo non potrà sanare l’eventuale invalidità della nomina qualora la provvisione dell’ufficio fosse avvenuta in assenza dell’ordinazione presbiterale (cf. can. 199, n. 6).
La figura sacramentale e giuridica del parroco in grado di adempiere alla plena cura animarum non è sostituibile con nessun’altra persona che non sia insignita dell’Ordine sacerdotale e qualora l’ufficio divenga vacante o il parroco sia impedito nell’esercizio dell’ufficio pastorale, il vescovo diocesano deve designare quanto prima l’amministratore parrocchiale, cioè il sacerdote che supplisce o sostituisce il parroco, non un diacono o un fedele laico (cf. can. 539).
Nel trattare questo argomento non si dimentichi che vi è un ministero generale esteso a tutti i fedeli della Chiesa con idonei requisiti. Il can. 151 nel disporre che non sia differita senza un grave motivo la provvisione di un ufficio che comporta la cura d’anime, non parla più in questo caso di «piena cura d’anime», ma semplicemente di «cura d’anime» quale può essere l’ufficio di rettore di una chiesa (cf. can. 556) o di cappellano (cf. can. 564), sempre insigniti del carattere sacerdotale, al quale potrebbe essere affidata almeno una parziale cura pastorale di una comunità.
Abbiamo visto che a chi non è stato ordinato sacerdote non può essere conferito l’ufficio che comporta la piena cura d’anime. Tuttavia questa disposizione del can. 150 non va confusa con quella del can 517 §2 che prevede che il vescovo diocesano per la penuria di presbiteri demandi a un diacono o ad altre persone non insignite del carattere sacerdotale, per esempio un accolito, un lettore, un catechista, o a una comunità di persone, la partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, per espletare funzioni che siano consentite dal proprio stato ecclesiale, a condizione di costituire anche un sacerdote che in quanto munito della potestà d’ordine e della facoltà di parroco sia il moderatore della cura pastorale.
Deve essere messo in evidenza con tutta chiarezza che in questo caso non si tratta del conferimento dell’ufficio parrocchiale a chi è privo del sacramento del presbiterato, ma dell’autorizzazione data a favore di un diacono o di un laico idoneo, per adempiere solo determinate funzioni parrocchiali che è canonicamente in grado di svolgere.

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