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Rubrica: Risponde il teologo

4 Gennaio 2011

Ci sarà mai la pace sulla Terra?

di Archivio Notizie

Da ogni parte si chiede pace e… tutti la auspichiamo! Per noi cristiani, e per i popoli che vivono nella terra che «ospitò» Gesù, ci sarai mai pace? In ogni parte del mondo c’è persecuzione e morte per i cristiani, specie in quelle zone dove vi furono le prime origini del cristianesimo… Quelle persecuzioni sono il «segno» lasciato da Gesù per essere, noi cristiani, suoi seguaci? Dio permette ciò per farci comprendere che essere cristiani significa seguire la sorte di suo Figlio? Da duemila anni è così… e così dovrà continuare fino alla fine dei tempi? Oppure un giorno le cose cambieranno?

Gino Galastri Risponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia moraleUn giorno le cose certamente cambieranno quando vi saranno i  nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia così come ha promesso il Signore Gesù (cf. 2Pt 3,13). Nel frattempo la costruzione della pace dipende dalla buona volontà degli uomini, per cui non è tanto che Dio permette le persecuzioni per farci rendere conto che essere cristiani significa seguire la sorte di suo Figlio, piuttosto i cristiani sono spesso chiamati ad abbracciare la croce perché gli uomini non permettono a Dio di entrare nella loro vita. Al riguardo è di grande stimolo ed interesse la riflessione che ci offre Benedetto XVI nel Messaggio per la celebrazione della 44° giornata mondiale della pace, che sottolinea che proprio la libertà religiosa è oggi la via per la pace.

Infatti la pace è un dono di Dio e al tempo stesso un progetto da realizzare, mai totalmente compiuto. Una società riconciliata con Dio è più vicina alla pace, che non è semplice assenza di guerra, non è mero frutto del predominio militare o economico, né tantomeno di astuzie ingannatrici o di abili manipolazioni…. è invece risultato di un processo di purificazione ed elevazione culturale, morale e spirituale di ogni persona e popolo, nel quale la dignità umana è pienamente rispettata (n. 15).

Purtroppo invece succede che l’esclusione della religione dalla vita pubblica, le sottrae quello spazio vitale che apre alla trascendenza che consente di orientare le società verso principi etici universali (cf. n. 7), senza i quali diventa difficile stabilire ordinamenti nazionali e internazionali in cui i diritti e le libertà fondamentali, elementi imprescindibili per la costruzione della pace, possano essere pienamente riconosciuti e realizzati (cf. ibid.).

Tale situazione deriva da un male inteso senso della libertà che la conduce ad essere nemica o indifferente verso Dio per finire col negare se stessa e a non garantire il pieno rispetto dell’altro (n. 3), dando vita ad una volontà che, in quanto si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti (n. 3), e coltiva l’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, mentre invece è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani (ibid.).

A questo proposito il fondamentalismo religioso e il laicismo sono forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e del principio di laicità (n. 8), che producono entrambe forme di violenza attraverso l’assolutizzazione di una visione riduttiva e parziale della persona umana e che favoriscono, nel primo caso, forme di integralismo religioso e, nel secondo, di razionalismo intollerante. Mentre invece Dio chiama a sé l’umanità con un disegno di amore che, mentre coinvolge tutta la persona nella sua dimensione naturale e spirituale, richiede di corrispondervi in termini di libertà e di responsabilità, con tutto il cuore e con tutto il proprio essere, individuale e comunitario (ibid.).

Per questo, se si vuole che le leggi e le istituzioni di una società siano realmente strumenti per edificare la pace, esse non possono ignorare la dimensione religiosa dei cittadini e devono commisurarsi  all’essere della persona, per poterlo assecondare nella sua dimensione religiosa, la quale non essendo una creazione dello Stato, non può essere manipolata, ma deve piuttosto ricevere riconoscimento e rispetto (cf. n. 8).In definitiva si richiede oggi un serio impegno nel promuovere le dimensioni della giustizia e del diritto di ciascuno, che non possono essere poste in balia dell’arbitrio del legislatore o della maggioranza, perché la giustizia consiste in qualcosa di più di un mero atto produttivo della legge e della sua applicazione. Essa implica il riconoscere a ciascuno la sua dignità, la quale, senza libertà religiosa, garantita e vissuta nella sua essenza, risulta mutilata e offesa, esposta al rischio di cadere nel predominio degli idoli, di beni relativi trasformati in assoluti. Tutto ciò espone la società al rischio di totalitarismi politici e ideologici, che enfatizzano il potere pubblico, mentre sono mortificate o coartate, quasi fossero concorrenziali, le libertà di coscienza, di pensiero e di religione (n. 8).

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