Esistono altre forme di vita nell’universo? Cosa dice la teologia
La fede cristiana non ha mai negato la possibilità che esistano altre forme di vita, anche intelligenti, nel cosmo

Vorrei sapere cosa dice la teologia rispetto alla possibilità che nell’universo esistano altri pianeti abitati di forme di vita simile alla nostra. Da tempo infatti la scienza ci parla di questa possibilità, la fantasia si è sbizzarrita nell’immaginare l’aspetto dei possibili extraterrestri. Di fatto però non c’è ancora mai stata nessuna dimostrazione attendibile che quella umana non sia l’unica forma di vita dotata di coscienza in tutto l’universo. Per la teologia tutto ciò è possibile, o è da escludere?
Massimo Giannelli
Risponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia morale
Nell’antichità la tesi di una pluralità di mondi è stata sostenuta da Epicuro e negata da Aristotele. La fede cristiana non ha mai negato la possibilità che esistano altre forme di vita, anche intelligenti, nel cosmo. In epoca moderna essa fu affermata in base ad argomenti non troppo dissimili sia da pensatori cristiani come Niccolò Cusano, che interpretava la parabola della «Pecorella smarrita» (cf. Lc 15,4-7) vedendo nelle 99 pecore le specie aliene che non hanno peccato e in quella smarrita la specie umana, sia da critici del cristianesimo come Giordano Bruno.
Il tema è stato preso in considerazione ripetutamente anche da parte di alcuni teologi del Novecento quali Teilhard de Chardin, Paul Tillich, Karl Rahner, anche se l’atteggiamento teologico prevalente, a parte alcune eccezioni, continua ad attendere effettive evidenze dell’esistenza di intelligenze extraterrestri per affrontare sistematicamente la questione.
Premesso che il Magistero non si è mai espresso in maniera esplicita sull’argomento, sono tuttavia possibili alcune puntualizzazioni.
Si può ammettere l’esistenza di altri mondi e altre vite, anche più evolute della nostra, senza per questo mettere in discussione la fede nella creazione, nell’incarnazione, nella redenzione. Come esiste una molteplicità di creature sulla terra, così potrebbero esserci altri esseri, anche intelligenti, creati da Dio. Non possiamo porre limiti alla libertà creatrice di Dio. Di fatto noi conosciamo di Dio solo quanto egli ci ha rivelato come necessario per la nostra salvezza e nessuno conosce a priori se e cosa Dio Creatore abbia rivelato di sé e del suo amore salvifico a eventuali altre creature intelligenti (cf. Gv 14,2: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore»).
Anche se la Bibbia non è un libro di scienza, come cristiani crediamo che Dio sia il creatore dell’universo e che noi non siamo il prodotto della casualità ma i figli di un padre buono, il quale ha per noi un progetto d’amore. Allo stesso tempo la teoria del big bang resta la migliore spiegazione che abbiamo dal punto di vista scientifico sull’origine dell’universo, non è in contraddizione con la fede ed è ragionevole. L’universo, infatti, anche se molto grande non è infinito perché ha un’età: circa quattordici miliardi di anni secondo le conoscenze più recenti. Per cui, se ha un’età, significa che ha un limite: è nato in un determinato momento e da allora si espande continuamente.
Gli astronomi ritengono che l’universo sia formato da cento miliardi di galassie, ciascuna delle quali è composta altrettanti miliardi di stelle. Molte di queste, o quasi tutte, potrebbero avere dei pianeti. Tutto ciò non consente di escludere che la vita si sia sviluppata anche altrove. L’astrobiologia studia proprio questo aspetto e ha fatto molti progressi negli ultimi anni.
L’essere umano più che al centro del creato è al centro di una Rivelazione divina diretta a lui, finalizzata a fargli conoscere la sua dignità, il suo bene e la sua felicità. L’eventuale scoperta di vita oltre i confini della Terra non pregiudicherebbe le verità essenziali della fede cristiana che manterrebbero la loro validità.
L’immagine di Dio Trinità mantiene inalterato il suo significato. L’esistenza di una paternità e di una filiazione, legate al processo generativo comune a ogni vivente, sono concetti universali, come universale è il concetto di un Amore-Dono che rimanda all’idea di comunione, riconoscibile da ogni vita libera e cosciente.
Il mistero di Cristo, Verbo incarnato, non è estraneo a ogni forma di vita che sappia di essere creatura in un mondo creato. Dio ha assunto in Cristo una natura creata, è entrato nello spazio e nel tempo facendo propria l’esperienza del limite come ogni creatura. Nel suo corpo risorto, il Cristo ha rivelato la non definitività della corruzione e del degrado, prefigurando un destino che appartiene all’intero universo, non solo all’uomo (cf. Rm 8,19-23). Per cui è ragionevole pensare che, a causa dei limiti intrinseci a ogni comunicazione fra possibili civiltà extraterrestri, il valore «cosmico» dell’Incarnazione del Verbo più che al genere umano sia affidato allo Spirito Santo, capace di riferire e legare al Figlio-Verbo ogni vita e ogni creatura. Analogamente a quanto accade per gli uomini di tutti i tempi che non sono entrati in contatto storico con l’evento salvifico della Pasqua di Gesù Cristo, è lo Spirito che conduce al Figlio-Verbo e rende efficace in loro la sua salvezza. In ogni caso, è ragionevole presumere che il Creatore abbia i suoi modi di farsi riconoscere e, eventualmente, anche di farsi presente, presso tutte le sue creature, volute e create a Sua immagine e somiglianza, che non consiste tanto in una somiglianza fisica quanto in quella spirituale come esseri capaci di ragionare, di scegliere liberamente, di amare, di donarsi, di creare comunione sentendosi responsabili gli uni del bene degli altri e, soprattutto, capaci di comunione nell’amore col loro Creatore.