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Rubrica: Risponde il teologo

7 Ottobre 2009

Fede e filosofia: è possibile dimostrare con la ragione l’esistenza di Dio?

di Archivio Notizie

Il mio parroco dice che non si può dimostrare razionalmente il fatto che Dio esista o non esista, e che i tentativi che la filosofia ha fatto in passato, in un senso e nell’altro, sono falliti. In base a cosa, allora, si può credere o non credere? È solo un fatto «sentimentale», o una scelta arbitraria? O un dono che viene dall’alto?

Valentina Pugi Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofiaLa lettrice tocca un punto sensibile: se credere nell’esistenza di Dio fosse un atto arbitrario, come ritenere che erri chi crede in Giunone, la moglie di Giove? Quali migliori motivazione ne avrebbe? Se poi Dio fosse addirittura contrario alla ragione avremmo il dovere di negarlo, ritiene San Tommaso. Dunque c’è – deve esserci – una relazione tra la ragione e Dio, se esiste. Per stabilire ciò due sono le modalità: o uno va a vedere le cose come stanno passando nell’al di là; oppure tenta un ragionamento che abbia una consistenza veritativa e accertativa. Questo ragionamento si chiama «dimostrazione»: dice Aristotele che la dimostrazione scientifica è un ragionamento che procede da premesse conosciute e certe, e la conclusione è necessaria. Ora di dimostrazioni vi sono di vari tipi, per lo meno tre. La dimostrazione matematica parte da assiomi assoluti, per esempio «dato un piano su cui passano ecc…», per cui le dimostrazioni saranno assolute e necessarie: incontestabili e certe. La dimostrazione scientifica ha meno certezza, perché è vero che parte da un’esperienza, ne fa un’ipotesi esplicativa, ne attua la verifica che accerterà se la ipotesi è vera o falsa, tuttavia l’esperienza è limitata, e questo – secondo le teorie moderne – impedisce di arrivare a delle leggi o teorie esplicative assolute. Comunque Dio non può essere un dato di esperienza, per cui la dimostrazione scientifica in questo caso non può applicarsi.

Ne rimane ancora una, propria della filosofia, che si muove da ciò che è certo a ciò che lo causa. È un metodo che applica chiunque. Per esempio esco dalla stanza e sul tavolo non c’è niente, torno un attimo dopo e vi trovo una mazzetta da un milione di euro. Ho dunque esperienza di un fatto: che prima non c’era nulla e dopo c’è il denaro. Questo fatto è contraddittorio, non è normale, perché i tavoli non producono soldi da se stessi. Per cui ritengo ragionevolmente che il motivo della presenza del denaro sia stata prodotta da una «causa», e chiamo tale causa: benefattore. È evidente che io non ho visto niente, ma è anche evidente che esperimento e costato che sono in presenza di qualcosa che prima non c’era. Indubbiamente una causa, c’è stata. Ora chi sarà questo benefattore? Questo è un discorso successivo che svolgerò in seguito. Cercherò in ragione delle tracce lasciate di stabilire chi sia il «benefattore-causa». Ma nessuno dubiterebbe che una causa vi sia stata.

San Tommaso procede in questo senso. Ritiene che nel mondo vi siano dei fenomeni che richiedano una causa. Per esempio nella «terza via» prende in considerazione il fatto della «contingenza» (ciò che può essere e non essere) delle cose del mondo: queste ci sono e non ci sono, e siccome non esistono per se stesse, se esistono – come di fatto esistono – lo debbono a una Causa, che noi indicheremo come Dio. San Tommaso vuol dimostrare che una Causa bisogna che ci sia dal momento che esistono cose che esistono solo perché qualcuno ha deciso di farle esistere. Dimostrato ciò, San Tommaso comincia a indagare chi e come sia questa «Causa», e qui le cose si complicano: sarà un essere eterno, infinito, perfetto,…? Sarà Creatore, Uno, Trino…? Tuttavia, mi ripeto, l’intento primo di San Tommaso è quello di dimostrare che una Causa è necessaria per l’esistenza di cose contingenti. Chi e come sia questa Causa andremo poi a vedere, alcune sue caratteristiche possiamo scoprirle con il ragionamento, altre (come la Trinità) ce le rivela la fede, ma il ragionamento dimostrativo circa l’esistenza di Dio è una vera e valida dimostrazione.

La critica dei moderni – secondo i quali le prove non sono valide – tocca alcuni aspetti senz’altro importanti: che la contingenza non c’è, che la causalità non è valida perché è un fenomeno del soggetto, che la ragione non può superare l’esperienza. Non posso qui affrontare questi temi. Ma anche Kant ritiene che il possibile (contingente) non può esistere senza il necessario, se dunque esiste significa che c’è anche l’Ente necessario o Causa. E questo è indicato come «Dio». Dunque Dio è ragionevolemente fondato da tale dimostrazione, chi e come sia si potrà discutere, e senz’altro il Dio di Gesù Cristo è ben più articolato che non quello dei filosofi, degli Ebrei e degli Islamici.

In conclusione a me pare che la fede in Dio rimandi a una ragionevole sua dimostrazione, il fideismo (condannato dal Concilio Vaticano I) e l’arbitrarismo portano a una fede incontrollata e indeterminata. Il parroco probabilmente voleva dire che nessuno riesce a delineare con la ragione il volto vero di Dio, chi e come sia esattamente, e su ciò possiamo dargli ragione, perché l’unico che ha presunto di svelare il volto di Dio è stato Gesù Cristo al quale solo con la fede abbiamo accesso.

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