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Rubrica: Risponde il teologo

22 Maggio 2007

Perché la mamma non può fare la «madrina»?

di Archivio Notizie

Vorrei sapere se una mamma può fare da madrina per la figlia che passa a Cresima

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Risponde padre Valerio Mauro, docente di  Teologia SacramentariaLa domanda posta è molto semplice, come pure la risposta. Può diventare l’occasione per una sia pur breve riflessione sui compiti dei genitori nei confronti della fede dei propri figli. La signora chiede se una mamma può svolgere il compito di madrina per la figlia che riceve il sacramento della confermazione. La legislazione della Chiesa prevede norme simili per il battesimo e la confermazione. Il canone 893 del Codice di diritto canonico, relativo alle condizioni necessarie perché un fedele possa adempiere l’incarico di padrino della confermazione, rinvia a quanto richiesto dal canone 874, relativo ai padrini del battesimo. Qui, fra le altre condizioni richieste, troviamo scritto che «non sia il padre o la madre del battezzando». E quindi la medesima risposta bisogna darla per la confermazione.

Ci si può domandare il perché. A mio avviso, la richiesta della signora non è del tutto fuori luogo. Se i genitori sono coloro che avviano alla fede i figli, li accompagnano nel loro cammino di crescita spirituale, condividono con loro l’esperienza di fede all’interno di una comunità ecclesiale, perché non potrebbero assumersi l’incarico di padrino in quei sacramenti che sigillano la fede cristiana, battesimo e confermazione? Un primo livello di risposta risiede nella storia di questi due sacramenti, ma un altro tipo di approfondimento mi sembra più utile. In fondo, sono proprio quei motivi sopra indicati che invitano a riflettere meglio sul compito che i genitori hanno verso la fede dei figli. Il Concilio Vaticano II si è espresso in modo limpido.

All’interno di quella «che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori con la parola e l’esempio devono essere per i loro figli i primi maestri della fede» (Lumen gentium, 11). In modo ancora più esplicito il decreto sull’apostolato dei laici afferma che «i coniugi cristiani sono cooperatori della grazia e testimoni della fede reciprocamente e nei confronti dei figli… Sono essi i primi araldi della fede ed educatori dei loro figli» (Apostolicam actuositatem, 11). In un eccellente documento del 1975, la Conferenza Episcopale Italiana non esita a parlare del compito dei coniugi, nato dalla novità di grazia del sacramento del matrimonio. In modo specifico, «i coniugi compiono il loro ministero e impegnano i loro carismi, oltre che nella testimonianza di una vita condotta nello Spirito, nell’educazione cristiana dei figli, e in modo privilegiato nel camminare con loro nell’itinerario dell’iniziazione cristiana» (Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 104).

Per i genitori, dunque, non occorre assumersi l’incarico di padrini, perché hanno già un loro compito preciso, derivato dalla grazia santificante del sacramento del matrimonio. Come scrivevo qualche settimana fa in questa stessa rubrica, la figura dei padrini è sottoposta al discernimento della comunità, attraverso la figura del parroco. Questo discernimento non è applicabile ai genitori, che accompagnano il cammino di fede dei figli per quello che sono e per il dono dello Spirito specifico del matrimonio cristiano. Alla fine, presentarsi come padrini sarebbe sminuire il profondo senso spirituale insito nel loro essere sposi e genitori in Cristo.

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